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La sostenibilità del debito italiano, prima e dopo il 2020

A causa della recessione da Covid, il debito pubblico dell’Italia salirà di venti punti percentuali. Ma a influire sulla sostenibilità dei nostri conti pubblici saranno soprattutto l’orientamento dell’Europa e il buon uso dei fondi ricevuti.

I conti pubblici prima della Nadef

Il governo è al lavoro per produrre le nuove stime di finanza pubblica rilevanti – tra le altre cose – per dare una prima valutazione sul se e sul che cosa è cambiato nella sostenibilità del debito pubblico dell’Italia dopo che l’economia italiana è stata colpita dalla prima ondata della pandemia sperimentata nella prima parte dell’anno.

Con la pubblicazione della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza è possibile aggiornare le stime ufficiali che il governo aveva formulato nell’aprile 2020. Il quadro di aprile conteneva già – sia pure solo in termini di previsioni – il brusco cambiamento di scenario successivo al crollo del Pil del febbraio e marzo di quest’anno.


Fonte: Documento di economia e finanza.

Come riportato nella tabella, già nell’aprile 2020 il governo si attendeva un calo del Pil tendenziale (cioè prima degli interventi correttivi operati dal governo in corso d’anno per il 2020 e il 2021) nell’ordine dell’8 per cento per il 2020 con un rimbalzo del 4,7 per cento atteso per il 2021. In altre parole, fatto 100 il livello del Pil del 2019, il governo si attendeva di ritrovarsi con un Pil 2021 pari a 96,3, corrispondente a un mancato recupero di 3,7 punti percentuali rispetto ai valori del 2019.

Per attenuare queste tendenze gravemente recessive sul 2020 e in attesa del rimbalzo del 2021, nel corso del 2020 il governo ha messo in campo varie misure compensative classificate nel Def di aprile come “misure urgenti di rilancio economico” (ulteriormente rafforzate durante l’estate). Semplificando, si è trattato del differimento di adempimenti fiscali, di misure di sostegno generico al reddito di disoccupati, autonomi e altre categorie, di “congelamento” dei posti di lavoro esistenti e di supporto ai settori più colpiti (soprattutto la filiera del turismo).

A seguito dell’adozione delle misure elencate sopra, nel Def di aprile l’indebitamento netto era atteso in crescita sopra al 10 per cento del Pil per il 2020 (esattamente al 10,4 per cento del Pil) per poi calare al 5,7 per cento del Pil nel 2021. In parallelo, il rapporto debito-Pil era dato in crescita sopra i 155 punti di Pil nel 2020 per poi calare di poco sotto al 153 per cento a fine 2021.

I conti pubblici e la sostenibilità del debito italiano dopo la Nadef 2020

Poi hanno cominciato ad arrivare i dati veri dei primi trimestri del 2020 che hanno indotto il governo a modificare un po’ (in peggio) le sue previsioni. Nella Nadef 2020 (in via di approvazione nel weekend) si troverà probabilmente un calo del Pil al 9 per cento rispetto al 2019 e un debito pubblico 2020 al 158 per cento del Pil, poi in calo già nel 2021 e nel triennio successivo. Insomma: un calo del Pil peggiore del previsto, più deficit e più debito pubblico. Ma numeri non drammaticamente diversi e peggiori rispetto a quelli già presentati nel mese di aprile.

Nell’insieme (e in attesa di vedere i numeri ufficiali della Nadef 2020), è possibile fare qualche prima valutazione relativa alla sostenibilità del debito pubblico dell’Italia. Dopo tutto, è questa la domanda che gli investitori si faranno domani: passata la tempesta, il debito pubblico dell’Italia sarà più o meno sostenibile rispetto a prima del Covid? La risposta dipende dall’evoluzione presumibile del debito pubblico in rapporto al Pil dell’Italia. Partendo dal denominatore del rapporto, rimane che il crollo sotto zero della crescita del Pil (-9 per cento nel 2020) e il sostanziale azzeramento dell’inflazione tendono a fare aumentare il rapporto debito-Pil a parità di deficit. Ma se 1) il crollo del Pil sarà temporaneo e se 2) il deficit pubblico sarà riassorbito e riportato vicino al 3 per cento come il governo annuncia di voler fare, la spinta verso l’alto del numeratore del rapporto debito-Pil sarà temporanea. In questo caso, la grande recessione del 2020 potrebbe tradursi solo in un accresciuto livello del rapporto debito-Pil (160 per cento, invece di 140 per cento) senza indurre ulteriori effetti di avvitamento nel corso del tempo senza che gli eventi degli ultimi mesi mutino in negativo la capacità di rimborso del suo debito da parte dell’Italia. Intanto, nonostante i chiari di luna che oggi appaiono non del tutto rassicuranti, lo spread tra Btp e Bund è in calo rispetto alla prima metà dell’anno e rimane inferiore a 140 punti base.

Qualcosa potrebbe andare storto. Ad esempio, se l’Europa politica (governi, Commissione e Bce) chiudesse troppo presto l’ombrello protettivo a fronte delle accresciute necessità di finanziamento dell’Italia. E anche se l’Italia spendesse male i fondi ricevuti attraverso il Recovery Fund. Per ridurre il rischio che ciò accada, è importante che da subito il governo italiano delinei chiaramente una strategia di gestione del suo debito pubblico. Non per il 2021 e 2022, ma per i prossimi venti anni. Prendere impegni vincolanti con gli investitori in presenza di apparentemente fragili governi di coalizione: è questa la difficile sfida che i governi italiani di oggi e di domani sono chiamati a vincere nell’interesse di tutti.

Leggi anche:  La spending review che colpisce il Pnrr

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  1. Savino

    Condivido in pieno. Aggiungo che il debito pubblico italiano resta insostenibile, nel medio-lungo periodo, a prescindere dall’emergenza pandemica. Chi ci governa sta basando le proprie possibilità di manovra sul bilancio esclusivamente su una presunta pioggia di danari provenienti dalla UE, ancora tutta da discutere nel merito del come, del quanto e del quando. Si continua a fare finta che la spesa pubblica corrente sia allocata bene e si continua a spacciare per investimenti quelli che sono sperperi di natura assistenzialistica ai fini clientelari ed elettorali. La vicenda Tridico, inoltre, ci dimostra ancora una volta che la revisione della spesa dello Stato e della spesa pubblica tout court deve comprendere (e deve cominciare da) tutte le leggerezze sulle carriere manageriali. Prendiamo il campo (di competenza regionale) della sanità. Mai come in questi ultimi mesi possiamo definire sovravalutata e sproporzionata la retribuzione di un manager sanitario nel paragone con le incapacità di intervento e la scarsità delle performance mostrate su tematiche essenziali come la medicina di territorio o la rsa.

    • Filippo burlando

      sono molto preoccupato per questo crollo economico del nostro paese…

  2. Henri Schmit

    Non vedo alcun rischio che l’UE chiuda il suo ombrello protettivo. Il debito italiano è sostenibile unicamente perché è inquadrato dall’€sistema: coordinamento, convergenza, stabilità, whatever it takes. Solo se l’Italia abbandonasse di sua iniziativa la rete di protezione, la fiducia crollerebbe, il debito diverrebbe insostenibile e la fiducia internazionale crollerebbe. Abbandonare, minacciare di farlo o di poterlo fare sono gradi dello stesso rischio. L’incapacità conclamata del governo (presente e precedente) sia di progettare che di realizzare le riforme epocali presupposte dal Recovery plan europeo incidono meno perché impercettibilmente la politica economica e fiscale del paese è sempre di più determinata dall’eurogruppo o, per dirla in modo più polemico, dalla Troika. Vedo 2 scenari alternativi a quello attuale: un governo nazionalista euroscettico, che se facesse sul serio porterebbe al crollo del paese, e a una riforma drastica dell’€sistema. O un governo efficiente e responsabile che farebbe di iniziativa propria e MEGLIO quello che ora viene improvvisato su “suggerimento” (coordinamento rinforzato e forzato del NGEu) di “Bruxelles” (Commissione, Francia&Germania, BCE, FMI, OCSE). Prima o poi gli elettori capiranno che a loro conviene essere governati da questo potere terzo, non democratico, dispotico, piuttosto che dai politici eletti attuali. È questo il significato positivo della sovranità, NON fare quello che si vuole, MA essere responsabili di quello che fa.

  3. Vincenzo Provenza

    Caro Francesco ma veramente pensi che un Paese di vecchi rapaci possa pensare al di là del proprio orizzonte temporale. Dovrebbe esser chiaro che non ci è mai occupati del patto fra generazioni e anche oggi Quota 100 porta voti alle classi dirigenti. Senza il trauma di un default che rimetta totalmente in discussione il nostro Patto sociale ritengo inutile procedere a mere questioni accademiche. uesta cleptocrazia dei banchi di scuola con le rotelle deve esser cacciata per poter ripartire. PAgherei pur di sbagliarmi

  4. Rainbow

    Da tempo sono convinto (da prima del Covid che ha solo amplificato il problema) che il debito pubblico italiano richieda prima o poi una soluzione “strutturale”. Per soluzione strutturale intendo o una patrimoniale di scopo,oppure una cartolarizzazione del Debito,esistono in questo senso diverse proposte avanzate da Economisti importanti come Marcello Minenna,ed altri. Ovviamente,questa seconda opzione,richiede il consenso dell’Europa,ma bisognerebbe almeno parlarne mentre ora una cosa del genere è un tabù! Oppure,sempre con il consenso dell’Europa,si potrebbe fare una parziale monetizzazione del Debito trasformando una porzione di esso in perpetual bonds. A mio avviso,la linea seguita finora degli avanzi primari è deflattiva ed inefficace nel ridurre il Debito perchè ci costringe a comprimere sempre di più la domanda aggregata (la Spesa Pubblica italiana corrente,investimenti,scuola,sanità in primis,ma anche quella per la Pubblica amministrazione,è sotto la media UE ed è ferma in termini reali al livello del 2010!) e la compressione della domanda aggregata tiene il Pil asfittico. Prima lo capiremo,prima ne usciamo. La storia ci insegna che tutti i Debiti Pubblici di una certa consistenza (quello Inglese e quello tedesco del dopoguerra) sono stati ridotti soltanto con misure strutturali,o con l’inflazione!

    • P

      Non sono d’accordo. In questa disamina (fintamente) ragionevole manca sempre un piccolo particolare : l’evasione fiscale (ovviamente mai nominata). PRIMA di tutti gli interventi non solo va debellata ma vanno fatte emergere le distorsioni che abbiamo subito per decenni. Altrimenti stavolta va a finire male, molto male. Te lo assicuro

  5. piero

    In giro per l’Europa, c’è un sacco di gente che si sta mangiando non le mani ma i gomiti per aver accettato l’ingresso dell’Italia nell’euro, in deroga ai parametri (60% debito/PIL). Si fidarono della parola di quel brav’uomo di Ciampi, ma furono fregati dai nuovi governanti italiani. Per fortuna, non possono tornare indietro e devono continuare ad assistere un paese “troppo grande per fallire”; la ricetta greca non si può applicare. Il pericolo per l’Italia però potrebbe venire dall’interno. Se il prossimo governo sovranista nero/verde dovesse passare dalle parole urlate in piazza (da qualche ciarlatano/a incompetente) ai fatti, sarebbero “augelli senza zucchero”. L’unica speranza è che alla prova dei fatti se la facciano sotto, come è successo con il governo sovranista giallo/verde.

    • Henri Schmit

      Sante parole! L’unica speranza è di insistere sulla “realtà dei fatti” e rifiutare il discorso facile auto-ingannevole che dà la colpa sempre a qualcun altro, promosso dai nazional-sovranisti ma condiviso “in foro interno” dal 90% della popolazione pensante. Bisogna sconfiggere le falsità urlate e ripetute nei media.

  6. antonio petrina

    Tutte le interpretazioni sul debito pubblico non ci salveranno dal fatto della crisi e dai buoni debiti che con il RP ,come ha detto Draghi,faranno uscire il paese dalla crisi economica , risalire la china a ripagare il debito vecchio e nuovo.Ai posteri l’ardua sentenza!

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