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Riforma dell’Irpef: ci siamo quasi?

Negli ultimi mesi si sono succedute svariate proposte di revisione dell’imposta sulle persone fisiche. Ad alcune però sembra mancare una visione d’insieme coerente. Perché non è il numero delle aliquote a determinare l’efficacia di un’imposta.

Le proposte non mancano

Dopo la pausa estiva si è ripreso a discutere, al momento solo per sommi capi, di alcune possibili linee di intervento per la riforma del sistema tributario e dell’Irpef in particolare. Sembra che si navighi ancora a vista. Alcune proposte, formulate anche da alti esponenti del Governo, non sembrano avere una visione d’insieme, come l’estensione della cedolare secca sui canoni di locazione e l’abbassamento della rispettiva aliquota. Altre proposte sono invece più organiche – come quella di Longobardi, Pollastri e Zanardi – e altre ancora di vedute più generali, mentre si attendono i lavori della Commissione per la riforma fiscale dell’Ordine dei commercialisti, coordinata da Carlo Cottarelli.

In un recente articolo abbiamo discusso come l’Irpef e i suoi effetti di equità e di efficienza dipendano da tre fattori: la base imponibile, le aliquote e le detrazioni per lavoro e famiglia. Il vero tassello mancante continua ad essere un serio dibattito sulla base imponibile, che qui non si discute più. Molta eco ha avuto la proposta di riformare l’imposta in direzione di una progressività continua, sulla scia del sistema tedesco. E sui giornali spesso si legge a chiare lettere che il sistema in questo modo garantirebbe un’aliquota “personalizzata” per ogni contribuente. In realtà le cose non stanno proprio così. I tecnicismi per generare progressività dell’imposta personale sono più d’uno. In Italia dal 1974 applichiamo una progressività per scaglioni accompagnata da una progressività per deduzione o detrazione. Questa struttura, chiaramente, determina già un’aliquota media per ogni contribuente.

Si fa presto a dire progressività

Dal punto di vista teorico, invece, la progressività continua definisce ex ante una forma funzionale per l’andamento dell’aliquota media al variare del reddito. Questo tipo di progressività non è nuova per il nostro paese. L’imposta complementare sul reddito, introdotta nel 1923 e rimasta in vigore fino al 1973, era caratterizzata proprio da una progressività continua (l’aliquota media si determinava da un polinomio contenente la radice quadrata del reddito imponibile) che, dal 1958, prevedeva un’aliquota media crescente dal 2 al 65 per cento. Tale imposta, tuttavia, era in grado di garantire un gettito non elevato (circa il 4 per cento delle entrate tributarie correnti nel 1972), poiché applicata solamente ad un quinto dei contribuenti complessivi.

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Il passaggio a un sistema di questo tipo può comportare svantaggi di comunicazione tra fisco e contribuenti: l’utilizzo di un polinomio per il calcolo dell’imposta potrebbe generare dubbi sulla sua chiarezza da parte di molti contribuenti, che avrebbero però il vantaggio di leggere immediatamente il loro debito di imposta, senza doversi districare con un sistema che oggi è troppo articolato. Ormai, inoltre, l’amministrazione finanziaria è in grado di produrre adeguati software per il calcolo dell’imposta (si pensi al 730 precompilato). Questo tipo di progressività può produrre anche vantaggi: è in grado per esempio di tenere maggiormente sotto controllo l’andamento dell’aliquota marginale effettiva al variare del reddito, andamento che è più erratico nel sistema attuale, a causa dell’interazione tra aliquote marginali legali crescenti col reddito e detrazioni per lavoro e famiglia decrescenti. Se però l’aliquota media servisse solamente per il calcolo dell’imposta lorda, ovvero senza considerare le detrazioni, la semplicità del sistema verrebbe ridimensionata, a meno di introdurre contemporaneamente un sistema come l’assegno unico per le famiglie, slegato cioè dalla struttura dell’imposta.

La proposta di Longobardi, Pollastri e Zanardi va in questa direzione. È molto articolata e si caratterizza per l’applicazione di diverse aliquote medie, una per ogni tipologia di lavoro, che inglobano nel calcolo non soltanto le attuali aliquote legali, ma anche le detrazioni per lavoro; la proposta, contestualmente, prevede l’eliminazione del “bonus Renzi”; poiché le attuali detrazioni per famiglia dovrebbero essere sostituite dall’assegno unico per i figli, in fase di studio, dalla proposta in esame rimarrebbero fuori solamente le detrazioni per oneri perché specifiche per ogni contribuente. Sarebbe quindi una struttura impositiva in grado di ripulire le irregolarità oggi esistenti, in primo luogo l’andamento delle aliquote marginali effettive. Oltre alle condivisibili caratteristiche appena descritte, la bontà tecnica della proposta risiede nella costanza di quella che in termini tecnici si chiama residual progression, ovvero il rapporto tra la variazione percentuale del reddito netto e la variazione percentuale del reddito lordo per la stragrande maggioranza dei contribuenti. Il parametro in oggetto può essere modificato a piacimento per definire l’intensità dell’effetto redistributivo desiderato. Un sistema basato quindi su pochi parametri, molto elastico, tecnicamente semplice, anche se matematicamente complesso ai più.

Le criticità

C’è poi un altro aspetto che non può non essere oggetto di riforma: il “bonus Renzi”, recentemente esteso, riguarda ormai la maggior parte dei lavoratori dipendenti e non è più una misura razionale, a meno di non voler completamente ridimensionare nel tempo il ruolo dell’imposta personale. Deve quindi essere ricondotta all’interno della struttura d’imposta. Il problema è prettamente politico: eliminare il bonus e sostituirlo nell’Irpef genera contribuenti perdenti e vincenti, caratteristica che rende difficile parlare di questo tema. Sono state proposte anche riforme in grado di superare questi problemi. Non tutte le parti politiche sono però concordi sulle linee guida da seguire. Alcuni preferirebbero una revisione della scala delle aliquote. L’ipotesi più discussa è il passaggio dall’attuale sistema con cinque aliquote ad un sistema con meno aliquote, finanziandolo parzialmente con l’auspicabile taglio delle detrazioni per oneri.

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Le risorse in gioco non sembrano però essere molte, tra i 5 e i 10 miliardi di euro (e peraltro si moltiplicano le voci di un rinvio della riforma a partire dal 2022). L’ipotesi di ridurre gli scaglioni sarebbe probabilmente più costosa in termini di gettito. Con questi numeri, e per perseguire l’obiettivo primario e condivisibile di ridurre le imposte sul ceto medio-basso, lo scenario più concreto potrebbe essere quello di un aumento delle aliquote da cinque a sei, scorporando l’ampiezza del terzo scaglione e riducendo l’aliquota dall’attuale 38 al 32 per cento nella prima parte, come recentemente proposto.

Ma non è tanto il numero delle aliquote che determina la bontà di una imposta, anche perché sottostanti queste scelte ci sono, da una parte, giudizi di valore che devono essere condivisi dalla collettività e, dall’altra, vincoli di gettito. Per esempio in origine l’Irpef era caratterizzata da 32 scaglioni, ma la quasi totalità dei contribuenti rientrava nei primi dieci, generando una progressività più formale che sostanziale. Non è quindi tanto lì il punto. Riformare non vuol dire sempre e comunque rivoluzionare. Riformare vuol dire prendere atto delle problematiche attuali e porre rimedio in modo equilibrato.

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11 commenti

  1. Henri Schmit

    Riformare vuol dire avere una visione per i prossimi 20/30 anni. Non può essere ideata sotto la pressione dell’epidemia. I lavori di riflessione citati nel testo (accessibili solo a pagamento) preesistevano. Ma per riformare davvero serve consenso, conoscenza diffusa (oltre la volontà e la forza politica). Fare meno vuol dire correggere, modificare, migliorare, se va bene. Un’opportunità come quella del 2020/21 non si ripresenterà facilmente. Il paese è pronto?

  2. Paolo Lazzari

    Concordo con quello che dice lei professore, almeno in sostanza.
    Le faccio notare una cosa: il bonus Renzi, se lo devo considerare da un punto di vista teorico a me non piace.
    Ma da un punto di vista pratico mi piace tantissimo perché sono uno dei 6 (?) milioni di contribuenti che lo percepisce.
    Non sto criticando ciò che lei dice, ma, nel caso, spero di essere un contribuente ” vincente”, altrimenti non oso pensare a quanto guadagnerei ( non le dico quanto guadagno adesso).
    Non sento mai nessuno parlare di aumentare il netto in busta paga.
    Mi chiedo perche

  3. Fabrizio Fabi

    A me sembra più urgente un abbassamento generalizzato (per esempio: un paio di punti percentuali per tutti), finanziandolo con un aumento delle imposte patrimoniali, in primis reintraducendo l’IMU sulla prima casa.
    Inoltre, le detrazioni IRPEF sarebbero da applicare anche in caso di “incapienza”, generando quindi rimborsi. Rimodulando il tutto, si potrebbe anche sostituire questa “IRPEF negativa” (= rimborsata) all’intero reddito di cittadinanza e bonus Renzi

  4. Dall’articolo e dari commenti si evince che parlare di riforma fiscale significa parlare di IRPEF. Questo evidentemente perchè la maggior parte ha un reddito da lavoro dipendente. Vorrei solo far notare che esiste per milioni di contribuenti il reddito da lavoro autonomo e quello che colpisce non è solo l’IRPEF ma anche IRAP e Contributi Sanitari che portano la tassazione al 65% anche per redditi che non superano i 50 mila euro. Questo deprime il settore (ex ceto medio) – marginalizzandolo e quindi allargando la disoccupazione. Aldilà delle sparate di Salvini sul 15% per tutti credo che in effetti allo stato costi meno un autonomo che paga tasse ridotte piuttosto che un disoccupato. Mi piacerebbe poi molto un’indagine de “LaVoce” sul costo effettivo per la sanità di un lavoratore autonomo e di un lavoratore dipendente, tenuto conto delle evidenti minori tutele che gli autonomi hanno (sopratutto nel settore femminile). Perchè il reddito di cittadinanza non può essere anche uno stimolo per la creazione di microimprese con diversa tassazione? Magari in questo modo avremo anche figure ormai sparite (riparatori e piccoli artigiani, piccoli negozi di quartiere che erano il primo segnale di socialità per le periferie)

  5. Enrico D'Elia

    Ebbene sì: la redistribuzione del reddito è un gioco a somma zero, che prevede vincenti e perdenti. Solo sul lungo periodo il gioco può comportare effetti di secondo ordine sull’efficienza del sistema economico con vantaggi (o svantaggi) per tutti. È futile concentrarsi sulla tecnica della tassazione dei redditi. Con pochi parametri si può approssimare qualsiasi sequenza di aliquote effettive, compresi bonus, detrazioni e deduzioni attuali. Quello che manca è un dibattito serio sul grado di sperequazione dei redditi e di pressione fiscale (ossia di riduzione dei servizi pubblici) che si è disposti a tollerare. Peccato che un approccio così trasparente faccia solo perdere voti.

  6. Ugo

    E’ impressionante il silenzio da parte di tutti i commentatori sulla proposta Ruffini di radicale trasformazione dell’imposta sul reddito personale che sostanzialmente rivoluzionerebbe un modello 1973 fallito dal suo esordio e sempre più redistributivo non secondo la Costituzione ma dagli evasori agli ottemperanti. La proposta Ruffini fa leva sulla tecnologia superando di getto la impostazione dichiarativa, primo ostacolo al controllo efficace sui redditi riportando alla realtà il prelievo che più di tutti dovrebbe incarnare la capacità contributiva e che oggi è soltanto un logoro arnese oggetto di continue rivisitazioni di facciata…detrazioni, bonus, aliquote. Il prelievo per cassa che dovrebbe estendersi a tutti i soggetti minori a prescindere dalla natura giuridica reintrodurrebbe le imposte reali di ricchezza mobile,

  7. sandro urbani

    l’evasione è concentrata nel settore del lavoro autonomo ; perché non permettere la detrazione totale di tutte le spese sanitarie in primis ( qui vale la regola che se paghi cash sono x euro se vuoi la fattura sono x + il 30/40% ) poi quelle per quanti sei costretto chiamare per la manutenzione della casa , oggi esiste solo il contante. mi piace segnalare il caso dell’intendente di finanza di una zona dell’Emilia che tempo ebbe a scovare parecchi costruttori edili evasori e alla stampa stupita ebbe a chiarire che aveva sommato tutte le dichiarazioni corroborate da regolari fatture presentate per ottenere il credito d’imposta , se cercate negli archivi dei quotidiani trovate la notizia .
    In altre parole “mors tua vita mea”

  8. Carlo

    La proposta di Cofindustria di abolire il sostituto di imposta, al di là della fattibilità, pone in luce il problema delle elevate tax expenditures.
    Se i datori di lavoro versano in un anno 100 di Irpef, l’anno successivo lo Stato ai dipendente ne rimborsa, ad esempio, 20, quindi l’effettivo incasso di Irpef per lo Stato è 80 ma le sanzioni sono parametrate su 100. Infatti la sanzione per omesso versamento delle ritenute è del 30% come per l’Ires o l’Irpef degli imprenditori individuali.
    Quindi sarebbe opportuno che la sanzione fosse parametrata sulla differenza fra Irpef incassata sulle ritenute e quella rimborsata con la dichiarazione dei redditi, differenza che continuerà ad ampliarsi, se la detrazione del 110% verrà utilizzata in dichiarazione e non come sconto in fattura o ceduta a soggetti finanziari.
    Oppure ridurre le ritenute cancellando le tax expenditures in modo che in caso di crisi le imprese possano gestire meglio la liquidità trovando un accordo dilatorio con i dipendenti per gli stipendi mentre il pagamento delle ritenute non ammette dilazioni.

  9. Giuseppe GB Cattaneo

    Chiunque provi ad immaginare una riforma delle imposte per assicurare un gettito fiscale sufficiente ai bisogni dello Stato e l’equità scritta in Costituzione dovrebbe immediatamente capire che si tratta di un compito che richiede competenze diversificate molto distanti fra loro – giuridiche, economiche, statistiche, matematiche, informatiche, in ultimo anche politiche – e può essere svolto solo attraverso una collaborazione interdisciplinare che metta in rete università, istituti di ricerca e parti sociali e quindi necessita di finanziamenti non irrilevanti (i quali peraltro potrebbero essere assicurati da parte delle Fondazioni bancarie, che finora hanno dilapidato inutilmente un patrimonio publico). Non vedo, allo stato dei fatti, questa consapevolezza.

  10. enzo de biasi

    Pur apprezzando l’articolo è mancata un visione d’insieme. Parlando di tassazione, da decenni l’attenzione è quasi unicamente sul reddito da lavoro, versione lavoro dipendente tassata alla fonte ed autonoma in via successiva. La prima questione da risolvere è quella di mettere tutti i percettori di reddito da lavoro sullo stesso piano come negli USA, l’IRPEF va pagata ex post per tutti. Accanto al reddito da lavoro, come insegnava Marx due secoli or sono , ci sono altri due fattori fattori che producono profitti e quindi reddito per le persone : il capitale ed i terreni e fabbricati. Nell’era moderna, XX secolo, si sono aggiunti i prodotti finanziari. Ebbene anche in questi comparti la legiferazione italiana necessita di un riordino radicale per gli aspetti fiscali. Circoscritta la base imponibile oggetto di revisione, il contribuente tipo non può riferirsi solo al singolo ma le tassazione/agevolazioni deve pesare sui 4 cespiti anzidetti e va considerata in relazione al reddito prodotto e goduto dalla famiglia nel suo insieme , unioni civili incluse. Viceversa, siamo alle solite: la montagna partorirà il topolino.

    • Henri Schmit

      Condivido quest’analisi. Gli studiosi più bravi, come l’autore, raramente osano affrontare la questione fiscale nella sua generalità. Senza preparazione teorica e riflessione organica (coerenza, efficienza e sostenibilità) nessuna riforma può avere un impatto oltre il contingente e l’efimero, spesso illusorio e peggiorativo (cf. l’ominosa flat tax tanto commentata anche su questo forum). Solo un grande lavoro di ricerca aperto e collettivo (che in altri paesi è stato compiuto da gruppi di ricercatori) può fornire il quadro pee una vera riforma fiscale. L’apertura riguarda sia gli attori politici e gruppi d’interesse nazionali che i modelli esteri e gli studi (e raccomandazioni) delle organizzazioni internazionali.

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