Com’era prevedibile, non è bastata la notte elettorale a rendere noto il nome del nuovo presidente degli Stati Uniti. Biden sembra in netto vantaggio ma le divisioni interne sono lontane dall’essere sanate. A partire dal conteggio dei voti per posta.
Il voto per posta
In fondo si sapeva, e ne avevamo scritto, che i risultati della notte non sarebbero stati quelli definitivi e che ci sarebbe stato da aspettare. Ma una cosa è saperlo a livello razionale, un’altra è viverlo.
In America ci sono tre modalità per votare: il voto in presenza (il primo martedì di novembre), il voto anticipato in persona e il voto per corrispondenza. Le modalità di questi voti cambiano da stato a stato. A sabato 1 novembre, oltre il 60 per cento dei votanti del 2016 avevano già votato, la più alta percentuale di voto anticipato della storia americana. Questi voti sono a netta maggioranza democratica, tanto che Trump ha continuato a ripetere che il voto anticipato equivale a frode. Così non è, ed è addirittura possibile seguire l’iter del proprio voto e sapere quando è arrivato a destinazione e quando è stato contato.
Anche come e quando vengono contati i voti cambia da stato a stato. In molti stati il voto anticipato espresso in persona è stato contato per primo: il che ha dato l’illusione, a inizio serata, che Biden potesse vincere la Florida. Quindi è stato contato il voto in presenza del 3 novembre. Infine, restano da contare i voti per posta, e anche qui le modalità cambiano da stato a stato. In alcuni stati le buste devono arrivare entro la data del voto in persona, in altri basta che siano inviate per quel giorno. Le poste stanno tenendo in ostaggio 300mila voti, nonostante un ordine della Corte di spicciarsi a processarli. In tutti gli stati chiave i voti per posta ancora devono essere contati, e addirittura in Pennsylvania e North Carolina la legge concede dieci giorni per completare la procedura.
Una volta finito il conteggio sono possibili e verosimili richieste di riconteggio da parte del perdente e in alcuni casi – la Florida per Al Gore, forse la Pennsylvania quest’anno – è teoricamente possibile arrivare fino alla Corte Suprema. È quello che spera Trump, potendo contare su una Corte a solida trazione conservatrice dopo la (non a caso) affrettata nomina di Amy Barrett. Vi è poi evidenza di tentativi da parte dei repubblicani di procedure (per esempio dando ai democratici provisional ballots) per invalidare il voto democratico, per non menzionare tattiche da Jim Crow per rendere difficoltoso l’esercizio del voto o invalidare le schede degli afroamericani. Negli Usa, infatti, poiché si deve dichiarare la propria affiliazione politica e poiché questa informazione è pubblica, è molto facile sapere cosa uno verosimilmente voterà.
Cosa ci dicono per ora le elezioni
Anche se una vittoria di Biden appare statisticamente più probabile, i giochi sono dunque ancora aperti. In attesa di avere il dato definitivo e lo spaccato del voto stesso, alcuni dati appaiono evidenti.
Primo: la Camera dovrebbe verosimilmente restare nelle mani dei Democratici e il Senato in quelle dei Repubblicani, anche se i dem guadagnano due senatori (John Hikenlooper in Colorado e Mark Kelly in Arizona) e ne perdono uno. Per chiunque sarà Presidente non sarà facile governare, ma lo sarebbe ancor meno per Biden, che potrebbe tra le altre cose avere grandi difficoltà a vedere le sue nomine governative approvate dal Senato.
Secondo: il paese è spaccato non solo tra Nord e Sud, ma anche e soprattutto tra aree urbane (pro democratiche anche al Sud) e aree rurali (conservatrici quasi ovunque). Il fatto che manchino al conteggio più voti delle aree urbane che rurali è quello che fa pensare che la via della presidenza sia più verosimile per Biden che non per Trump.
Terzo: il voto latino è più frammentato di quello nero, con i cubani e i venezuelani della Florida massicciamente per Trump – anche quelli che avevano votato Hillary nel 2016 – e i messicani del West pro-Biden in numeri maggiori che per Hillary.
Ultimo ma non ultimo per importanza: con ancora molti voti da contare, Biden ha già preso più voti di Hillary Clinton nel 2016: oltre 69 milioni, contro i 65 milioni di Hillary. Ma la cosa più inaspettata è che – nonostante tutto – anche Trump ha aumentato i suoi voti: 66 milioni contro i 62 del 2016, un dato che, visto lo stato del paese, ne conferma l’estrema frammentazione e antagonizzazione. Un presidente che soffiasse sul fuoco di queste divisioni potrebbe far esplodere tutte le contraddizioni a lungo sopite e, con esse, il paese.
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