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Quante implicazioni dalla negoziabilità dei crediti fiscali

Il “decreto Rilancio” estende notevolmente la negoziabilità dei crediti fiscali sui lavori di ristrutturazione edilizia. La norma solleva varie questioni: dall’impatto sui conti pubblici agli effetti macroeconomici, alla possibile creazione di moneta.

I Ccf hanno un impatto sui conti pubblici?

Il decreto legge 34/2020 (“decreto Rilancio”, articoli 121 e 122) estende in modo radicale la negoziabilità dei crediti fiscali associati a lavori di ristrutturazione edilizia: amplia le tipologie di spese ammissibili al di là dei soli interventi di riqualificazione energetica, elimina i limiti alla platea dei soggetti che possono acquistare i crediti e rende esplicito che non esiste limite al numero di cessioni di uno stesso credito. Con ogni probabilità l’estensione deriva dalle proposte circa la creazione di “moneta fiscale” o “certificati di compensazione fiscale” (nel seguito Ccf) che sono state avanzate a partire dal 2012 con modalità e ambizioni diverse (qui un riepilogo ragionato delle proposte). La norma solleva varie importanti questioni.

Al pari di tutti i crediti d’imposta derivanti da politiche di incentivazione fiscale (associate a lavori in edilizia, acquisto di mobili o altro), i Ccf prefigurano una tax expenditure che comporta un abbattimento del gettito fiscale futuro. Rispetto ad alcune proposte originarie che arrivavano a ipotizzare “mini Bot” per pagare debiti della pubblica amministrazione”, i Ccf rappresentano una declinazione della “moneta fiscale” assai meno estrema e la ratio principale sottesa alla loro introduzione sembra essere quella di garantire una maggiore efficacia alla misura incentivante. Tuttavia, come ribadito da Roberto Perotti, sotto il profilo contabile i Ccf hanno un impatto analogo a una riduzione delle imposte di pari ammontare; a parità di spesa, il minor gettito fiscale determina la necessità di un maggior indebitamento sul mercato. Anche la Ragioneria generale dello stato, nel 2018, aveva ritenuto che una loro libera negoziabilità li avrebbe assimilati a titoli di debito.

I Ccf hanno un valore economico per i contribuenti e generano una passività per lo stato: contro un diritto per il contribuente a pagare meno tasse in futuro esiste per lo stato un “minor diritto” a incassare future tasse a parità di aliquote. Per esempio, nell’ambito di un’operazione immobiliare con bonus del 110 per cento, il cittadino può cedere il credito d’imposta all’impresa che esegue i lavori e quest’ultima lo può cedere a sua volta a una banca che eroga la liquidità. Le banche acquistano i Ccf nella misura in cui lo stato si impegna ad accettarli in futuro in pagamento di imposte dovute. Lo stato, quindi, incasserà meno imposte dalla banca. Sia nel caso di tradizionali titoli del debito pubblico, sia in quello dei Ccf il settore privato attribuisce valore a una promessa pubblica: nel primo caso si tratta della promessa di pagare le cedole e rimborsare il capitale, nel secondo caso si tratta della promessa di accettarli in pagamento di imposte future.

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Detraibilità e taglio delle aliquote

Politiche di detraibilità fiscale hanno un impatto macroeconomico diverso rispetto a un alleggerimento del carico fiscale attuato con un taglio delle aliquote? Una riduzione delle aliquote fiscali non pone condizioni sull’utilizzo da parte del contribuente delle risorse derivanti dalla minor tassazione e produce un onere sostanzialmente prevedibile per il bilancio pubblico. L’impatto sul Pil dipende dalla propensione al risparmio delle famiglie e dalle tipologie di beni sui quali si indirizza l’eventuale aumento di domanda aggregata.

Al contrario, la concessione di una detraibilità fiscale come quella prevista per interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici è condizionata al fatto che la spesa si indirizzi verso specifiche tipologie di beni e servizi, alle quali si riconosce un valore meritorio (associato al loro alto impatto sul moltiplicatore, sull’ambiente e sull’occupazione). L’onere per le finanze pubbliche, in questo caso, dipenderà dai livelli di spesa messi in pratica dal contribuente.

È dunque possibile che, a parità di onere per le finanze pubbliche, un credito d’imposta abbia un maggiore effetto espansivo e un più forte impatto sull’occupazione rispetto a una riduzione della tassazione. Ciò vale sia per i crediti di imposta non negoziabili che per quelli negoziabili.

La negoziabilità dei Ccf si può associare a maggiori effetti macroeconomici?

La negoziabilità dei crediti d’imposta, fortemente estesa dal Dl 34/2020, può determinare un maggiore impatto su reddito e occupazione in ragione di due considerazioni: a) la possibilità di cessione del credito da parte di soggetti incapienti può aumentare il livello aggregato di detrazione associato a ogni livello di spesa (la negoziabilità garantisce che nessuna parte della detraibilità sia “sprecata”) e può indurre un aumento di spesa da parte degli stessi incapienti. b) In presenza di mercati finanziari imperfetti, la negoziabilità può ridurre i problemi di liquidità di soggetti razionati sul mercato del credito.

Per esempio, nel caso estremo del bonus 110 per cento, è possibile per il contribuente realizzare lavori edilizi senza sostenere alcun esborso finanziario. Per soggetti con vincoli di liquidità, la possibilità di cedere Ccf garantiti dallo stato rende quindi possibile la realizzazione di progetti edili che avrebbero altrimenti richiesto un indebitamento con garanzie personali. Se si considera che un’altissima percentuale delle famiglie italiane (circa il 75 per cento) è proprietaria di abitazioni e che una parte rilevante ha redditi e patrimoni finanziari bassi (ed è quindi razionata), è possibile che l’impatto macroeconomico del credito d’imposta sia amplificato dalla negoziabilità dei crediti fiscali. È quindi possibile che la “semplice” negoziabilità del credito generi un importante aumento della domanda aggregata: a parità di distribuzione del reddito e della ricchezza e a parità di aliquote fiscali, è possibile che la negoziabilità aumenti i volumi di spesa e l’impatto sul Pil.

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I Ccf danno luogo a creazione di moneta?

In una prima accezione, la negoziabilità rende liquido il credito di imposta e quindi permette di usare il Ccf come “moneta” per pagare prestazioni. Ciò non prefigura però la creazione di nuova moneta: la banca anticipa la liquidità a fronte della cessione del credito.

In una seconda accezione, ci si può chiedere se i Ccf attivino la creazione di nuova moneta da parte del sistema bancario. Tale possibilità dipende dallo status attribuito dalla Banca centrale europea ai Ccf posseduti dalle banche in termini di capitale di vigilanza che devono accantonare: occorrerebbe che la Bce equiparasse i Ccf a titoli tradizionali di debito. Qualora la Bce accettasse i Ccf come collaterale per rifinanziamenti, la negoziabilità dei Ccf darebbe luogo a ulteriore creazione di moneta.

Quest’ultima ipotesi appare tuttavia di difficile realizzazione dal momento che – contrariamente a quanto accade per un soggetto privato italiano – la Bce non trarrebbe alcun valore dal possesso dei Ccf: essi attribuiscono un diritto al pagamento di minori imposte allo stato italiano che risulta privo di rilevanza per la banca centrale.

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Perché Immuni non piace

  1. Savino

    I CCF sono l’illusione di una mancetta per il contribuente e hanno la fonte in ennesimi scostamenti di bilancio, cioè debiti caricati sul futuro. Per contrastare le povertà emergenti, uniche degne di ristoro, mi chiedo quand’è che si comincerà a parlare di prelievo patrimoniale dai ricchi che la stanno sfangando e quand’è che si comincerà a parlare di eliminazione delle spese pubbliche inutili a partire dagli emolumenti non meritati conferiti all’evanescente management sanitario.

  2. Francesco Chini

    Ringrazio l’autore per avere citato questo testo del quale ho fornito un contributo alla sua realizzazione.

  3. bob

    in questa interessante analisi non si è tenuto conto di un dettaglio tecnico strutturale, non solo importante, ma direi vitale e fondamentale per questo Paese. Il degrado immobiliare diffuso! Che non solo crea un danno estetico, ma soprattutto crea pericolo costante quotidiano. Se a questo aggiungiamo un’ esigente bisogno di migliore utilizzo delle fonti energetiche ( ci sono condomini con caldaie vecchie di 50 anni) si nota che progettare una qualsiasi forma di “sostentamento” ( piuttosto che dire incentivo) diventa prioritario. Non so se il Bonus sia la soluzione. Ma la priorità del problema non può essere affrontata sottolineando che con il Bonus lo Stato avrà meno entrate fiscali. “Puntellare muri pericolanti” è la priorità assoluta soprattutto per un Paese allo sbando da almeno 40 anni. O lasciamo tutto alla malora, o cerchiamo chi ci offre un Piano Marshall 2 . Oppure quali altre soluzioni ci sono?
    Per valutare il fenomeno pensate solo nei prossimi anni all’enorme patrimonio degli Enti Religiosi posti in dismissione perchè inultilizzato

  4. Andrea

    I CCF hanno una qualche “scadenza”?

    • Francesco Chini

      No, però i CCF hanno una maturazione. Ossia, dopo due anni e un giorno dalla loro data di emissione è possibile utilizzarli a sconto di ogni obbligazione finanziaria verso le amministrazioni pubbliche. (Si tratta di un meccanismo simile a quello previsto già oggi con l’econobonus 110%, solo che nel caso dell’ecobonus mi pare che la valenza fiscale sia “spalmata” su cinque anni e la maturazione avvenga ogni anno per un quinto del totale, sicché facendo una media la maturazione fiscale degli sconti corrisposti con l’ecobonus è di due anni e mezzo. Invece, con il CCF la maturazione della valenza fiscale si standardizza e scatta sempre dopo due anni e un giorno dalla data di emissione per ciascun CCF.)

  5. PURICELLI BRUNO

    Ottima la relazione, buoni i CCF. Purtroppo, per un paese come l’Italia attuale, non ci permetteranno alcuna svolta economica. Avevo proposto di consegnare allo Stato l’utilizzo del 10% del valore delle nostre abitazioni di proprietà per 30 anni senza far sborsare un euro ai proprietari che si impegnerebbero a pagare l’odierno 10% solo tra 30 anni in caso di fallimento dello Stato il quale pagherà debiti e pensioni, da subito, con titoli messi ad hoc sul relativo sottostante pari a circa 400 mld. Risparmieremmo la media di 30 mld /a che ci permetterebbero di arrivare al 9° anno con una situazione, rispetto ad oggi, di autoalimentazione per il maggior Pil raggiunto. Poichè il debito non sarebbe stato toccato, il Pil sarebbe cresciuto dando lavoro riducendo le tasse di 10Mld/a ed altre cose come aumento dei salari ai lavoratori di società private del 30%. cambieremmo il paese per scolarizzazione, cultura. rispetto civile e sicurezza sul territorio e del territorio!
    I politici hanno avuto paura a studiarla ed ora abbiamo i CCF che sono meglio di niente. I miei titoli ad hoc sono creati sul sottostante dei “pagherò” dei cittadini sul valore della propria abitazione. Il risparmio consente la retrocessione di un premio pari al valore per cui ci si è impegnati coi pagherò. Egr.Professore, vorrebbe studiare questa proposta? Grazie per l’attenzione.

  6. Enrico D'Elia

    Il governo ha tentato l’ennesima maldestra operazione di ingegneria finanziaria dando un nome nuovo (CCF) ad una vecchia forma di debito sovrano, con l’aggravante che i diversi passaggi di mano dei CCF comporteranno sicuramente commissioni e margini per gli intermediari. Questo significa che i beneficiari originari dei CCF vedranno eroso l’ammontare effettivo del beneficio, esattamente come avviene per il bonus 110%, in cui il 10% è appunto il compenso previsto per ditte e banche che accettano la cessione. Mi sembra un ottimo modo per aumentare il costo complessivo del debito pubblico a parità di tassi e di ammontare. Eppure qualche giorno fa Maria Cannata ci aveva messo in guardia contro questi trucchetti proprio su questo sito.

  7. enzo

    veramente un ottimo articolo, se mi è permesso professore l’unica cosa che lo stato avrebbe dovuto fare è quella di creare delle previsioni di intervento. Quindi non pensare ad una proposta come il 110% e attuarla in un paio di mesi. Ma ragionare ( anche in segreto nei ministeri) per molti mesi, calcolare il più realisticamente su quanti condomini è idealmente esercitabile calcolando così la spesa che poi non sarebbe altro che il minor gettito fiscale che lo stato potrebbe vedersi arrivare nei 5 anni successivi. Da qui ( molto importante) prevedere un calcolo parallelo, di entrate ( iva sui materiali e lavori, tassazione dei lavori ecc ecc) che il nascere di migliaia di cantieri farebbe nascere. Niente niente che a fronte di una perdita di i 110 ci troviamo ad incassare 90 ( butto cifre a caso) , arrivando così a generare una enormità di posti di lavoro, far ripartire i consumi con una spesa di 20.

    Mentre è molto difficile prevedere un “kick start” solo riducendo le imposte. È sicuramente facile per la ragioneria delll stato prevedere il minor gettito entrante ma impossibile prevedere sviluppi economici perchè affidati al “buon cuore” di chi genera lavoro ( mi riducono le tasse: posso tenermi i soldi in banca, posso portarli all’estero, posso assumere dipendenti, posso bruciarli ecc ecc)

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