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Perché Qe e monetizzazione del debito non sono sinonimi

Quantitative easing e monetizzazione del debito sono profondamente diversi per natura e obiettivi. E soprattutto il secondo porterebbe alla perdita di uno dei beni pubblici più importanti dell’Europa di oggi: l’indipendenza della banca centrale.

Due strumenti per lo stato

Quando uno stato deve finanziare le proprie spese (scuole, strade, ospedali) può ricorrere a due strumenti: emettere debito o incrementare la tassazione. Sotto certe condizioni, i due strumenti sono equivalenti. Le risorse che lo stato raccoglie con maggior debito assorbono il risparmio privato, che potrebbe essere indirizzato ad altri usi (finanziare le imprese). In più, se gli agenti economici sono lungimiranti, anticipano che maggiore debito oggi significherà più alta tassazione futura, e perciò incrementano subito il loro risparmio precauzionale. Questi effetti tendono ad attenuare l’effetto espansivo sull’economia derivante da più spesa pubblica.

Non necessariamente, però, il maggior debito deve essere finanziato da risorse prese a prestito dal settore privato. L’emissione di titoli potrebbe essere assorbita dalla banca centrale, che li acquisterebbe emettendo base monetaria (cioè riserve).

L’importante differenza è che nel caso di finanziamento monetario del debito non si verificano né lo spiazzamento dell’investimento privato né l’effetto di aumento del risparmio privato (in previsione di maggiore tassazione futura). Potenzialmente, quindi, il finanziamento monetario delle nuove emissioni di debito produce il massimo effetto espansivo della spesa pubblica.

Perché dunque non procedere sempre così? Immaginiamo una banca centrale che si impegni oggi ad acquistare ogni nuova emissione di debito dello stato. Così facendo, rinuncia completamente a gestire la quantità di moneta emessa nel sistema economico. Gli agenti capirebbero facilmente che la banca centrale non avrebbe l’autonomia operativa, ad esempio, per contrarre la quantità di moneta in circolazione quando l’economia esibisse spinte inflazionistiche. Quindi, nel regime di finanziamento monetario, non solo la banca centrale alimenterebbe l’effetto inflazionistico di maggiore spesa pubblica, ma quell’effetto verrebbe amplificato dal lievitare delle aspettative di inflazione.

L’indipendenza delle banche centrali

La teoria economica ha compreso molto bene il punto e non è un caso che la conduzione della politica monetaria sia stata negli ultimi decenni svincolata da quella della politica fiscale. L’idea chiave dell’indipendenza della banca centrale ha posto le basi – nei paesi avanzati, ma gradualmente anche in molti paesi in via di sviluppo – per una riduzione permanente del livello di inflazione rispetto agli alti e costosi livelli degli anni Ottanta e Novanta. Una lezione che pare dimenticata.

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Oggi è infatti molto diffusa l’idea che le recenti politiche di acquisto di titoli di stato da parte della Banca centrale europea (il cosiddetto Quantitative easing) equivalgano a un finanziamento monetario del debito. Per giunta, si dice, senza che abbia dato alcun segno di incremento dell’inflazione in Europa. Il finanziamento monetario del debito sarebbe dunque possibile senza alcun costo inflazionistico.

In realtà, il Qe è cosa ben diversa dal finanziamento monetario del debito. Mentre il secondo consiste in un impegno permanente ad acquistare i titoli di stato emessi dallo stato (e a tenerli sul proprio bilancio), il primo ha per costruzione una natura temporanea. Nessuna banca centrale che abbia operato con il Qe negli ultimi anni ha mai segnalato, in alcun modo, che i titoli di stato acquistati sarebbero stati mantenuti sul bilancio in via permanente. È un aspetto cruciale, eppure sempre ignorato nel dibattito comune. Non è un caso che la Bce non abbia mai preso alcun vincolo ad acquistare titoli di stato dei paesi europei precludendosi la possibilità di rivenderli (seppur gradualmente) in futuro. In altre parole, la banca centrale utilizza il Qe come strumento non convenzionale di politica monetaria in un quadro di piena autonomia dalla politica fiscale. Autonomia, cioè, di decidere in futuro di rivendere quei titoli per regolare la massa monetaria in circolazione quando l’inflazione dovesse ricominciare a crescere. La stessa cosa vale per il Giappone, spesso indicato come esempio virtuoso in cui la banca centrale sta acquistando quote crescenti del debito pubblico.

Si noti qui un punto sottile. Molti osservatori superficiali cantano le lodi del Qe giapponese come presunto esempio di monetizzazione del debito esente da costi inflazionistici. Ma il fatto che il Qe non determini inflazione è in realtà negativo. Perché il Giappone, proprio come l’Europa, si trova bloccato in una trappola della liquidità, in cui lo strumento principe della politica monetaria, il tasso di interesse nominale, è vincolato al limite zero. In tale situazione, la politica monetaria è impotente. Una delle strade è cercare di stimolare le aspettative di inflazione per comprimere al ribasso i tassi di interesse reali e spingere così al rialzo consumi e investimenti.

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Decantare le lodi del Qe perché permetterebbe di espandere la quantità di moneta senza costi inflazionistici è dunque come felicitarsi del suono roboante di un martello che pesta invano nell’acqua.

La natura e l’obiettivo del Qe sono profondamente diversi da un regime di monetizzazione del debito. Con il Qe l’obiettivo della banca centrale è di raggiungere un rialzo graduale, ma contenuto, dell’inflazione, in linea con il target. Mantenendo l’autonomia di regolare la massa monetaria in futuro quando l’inflazione dovesse ricominciare a crescere. La monetizzazione del debito non porterebbe ad altro, prima o poi, che a una perdita di controllo sull’andamento dell’inflazione (una tassa regressiva che colpisce innanzitutto i più poveri). E soprattutto porterebbe alla perdita di uno dei beni pubblici più importanti che l’Europa possiede oggi: l’indipendenza della banca centrale.

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10 commenti

  1. alessandro casanova

    Mi scusi professore, ma proprio perchè il “martello pesta invano nell’acqua”, perchè non approfittarne espandendo la spesa pubblica “stimolando le aspettative di inflazione” e “spingere così al rialzo consumi e investimenti” monetizzando poi il debito? L’indipendenza della Banca Centrale in questo momento è un “valore” che merita di essere sacrificato

  2. jacopo Foggi

    Ma non si potrebbe invertire il ruolo allora, consentendo alla Banca centrale di emettere titoli suoi, invece che dello Stato, per assorbire la moneta in eccesso?

    • michele

      Se la banca centrale è indipendente li ha già gli strumenti per assorbire moneta, senza bisogno di emettere titoli. I titoli poi avrebbero una scadenza, alla qual scadenza la banca centrale dovrà rimettere moneta ai creditori….

  3. Fabrizio Fabi

    Mi pare ci sia un altro e ben più grave effetto negativo, sia del QE sia della monetizzazione del debito: entrambi tengono artificiosamente alti i prezzi degli asset (immobili, quote di imprese, asset finanziari). Così favorendo i ceti possidenti a scapito degli altri, e soprattutto gli anziani a scapito dei giovani. E si riduce la mobilità sociale e si favoriscono i consumo superflui a scapito degli investimenti davvero produttivi.
    Senza una politica fiscale rigorosa e oculata, tutti i problemi vengono solo differiti, e aggravati, per via QE o monetaria.

  4. Henri Schmit

    Impeccabile, chiarissimo, grazie! Vorrei solo insistere sul fatto che la politica monetaria indipendente (annunciata, eseguita, applaudita e contestata) di acquisto di titoli di debito pubblico della BCE si avvicina molto ad un impegno autoimposto un po’ sotto la costrizione dell’inerzia/inefficacia delle politiche fiscali degli Stati. Tende a diventare molto sottile la differenza fra politica monetaria indipendente e finanziamento monetario dei debiti pubblici. Ergo perché la BCE continua ad esortare gli Stati membri (misure espansive, riforme) e l’UE (recovery plan) a fare la propria parte per non aumentare la costrizione esistente. Infine, se si passasse da una politica monetaria di acquisto titoli a una politica di monetizzazione del debito, si dovrebbe a più forte ragione rispettare il capital key ben diverso delle quote nazionali di debito pubblico in circolazione. Quindi il danno/rischio varrebbe per tutti, per tutte le economie, ma il problema del debito ITALIANO specifico eccessivo rimarrebbe lo stesso.

  5. Ettore

    Dopo la pandemia Il Debito Pubblico diverra’un problema comune perche’quasi tutti i Paesi Ue, Germania compresa, avranno un livello di indebitamento superiore a quello previsto dai Trattati Istitutivi. Per cui, giocoforza, occorrera’trovare una soluzione comune, non convenzionale,,strutturale, al problema del Debito Pubblico. Ormai anche molti Economisti mainstream, Olivier Blanchard in primis, sostengono che le regole del fiscal compact
    stante la loro pro-ciclicita’, la loro inapplicabilita’ concreta,vanno cancellate e sostituite con regole qualitative flessibili parametrate alla situazione di ciascun Paese. Oggi anche Vincenzo Visco, sul Sole24h, sostiene che il Debito Pubblico, cosi’come come e’avvenuto in passato, quando ha raggiunto un ammontare troppo elevato, richiede una ristrutturazione concordata; ci sono gia’diverse proposte formulate da vari Economisti (Minenna,Massimo Amato,etc). Il Debito italiano, dopo la pandemia, raggiungera’una soglia vicino al 200% del Pil, e’assurdo pretendere di riassorbirlo con la politica degli avanzi primari che e’stata perseguita negli ultimi 30 anni che ha compresso la domanda aggregata (la spesa primaria italiana e’ferma in termini reali al livello del 2009, ed e’sotto la media europea su tutti i macro-aggregati tranne la voce pensioni) e asfissiato il Pil. La Storia Economica dimostra che nessun Paese avanzato,tranne il Belgio, e’riuscito a riassorbire un Debito pubblico troppo elevato con gli avanzi primari.

  6. AS

    Gentile Professore, spero che voglia/possa rispondere a questa domanda: per quale motivo la moneta emessa da una Banca Centrale figura nel passivo del suo stato patrimoniale, come se fosse un debito? Mi sembra sorprendente visto che non sussiste obbligo di convertire tale moneta in oro, come accadeva in un lontano passato. Siamo in presenza di un mero artificio contabile oppure ha un vero fondamento economico?

  7. “La monetizzazione del debito non porterebbe ad altro, prima o poi, che a una perdita di controllo sull’andamento dell’inflazione (una tassa regressiva che colpisce innanzitutto i più poveri). E soprattutto porterebbe alla perdita di uno dei beni pubblici più importanti che l’Europa possiede oggi: l’indipendenza della banca centrale.”
    L’Autore dimentica che siamo in deflazione, ciò sta distruggendo l’economia reale, un po’ di inflazione sarà un toccasana e la cancellazione del debito pro quota è l’unica via d’uscita, non si perderà nessun controllo sull’inflazione; la cancellazione potrà avvenire in più tranche; perché si deve perdere l’indipendenza della BCE, se è lei stessa che prenderà tale decisione. Il divieto è solo l’acquisto diretto del debito, pertanto ciò che non è vietato è permesso.

  8. Daniele

    L’obiettivo del QE non è affatto quello di raggiungere un rialzo graduale, ma contenuto, dell’inflazione, in linea con il target. Il QE è servito semplicemente per migliorare lo stato patrimoniale delle Commercial Banks, offrendo loro nuova liquidità in cambio di assets che, nella crisi finanziaria del 2008-2009, avevano perso gran parte del loro valore. Il QE non può generare inflazione in alcun modo, come dimostrato empiricamente negli ultimi 13 anni. È semplicemente un aumento di base monetaria e non di moneta circolante. Il QE genera invece asset price inflation e wealth gap.

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