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Riforma del Mes: la responsabilità necessaria

L’economia europea è un sistema fortemente interconnesso, nel quale alcuni paesi si configurano come “esportatori” di rischi. L’Italia è uno di questi e i nostri politici dovrebbero tenerne conto quando discutono riforme come quella del Mes.

Riforma del Mes: dove eravamo rimasti

A dicembre dell’anno scorso in Italia imperversava il dibattito sulla riforma del Mes. È una riforma utile ad aumentare il grado di integrazione finanziaria europea, visto che il fondo del Mes potrà intervenire in futuro anche per sostenere banche a rischio grazie al sistema di Common backstop, una sorta di paracadute finanziario da aprire durante il processo di risoluzione bancaria. La previsione rende quindi più solido il sistema bancario europeo e per il nostro paese si tratta certamente di un elemento positivo, se consideriamo i gravi rischi che possono correre i nostri istituti finanziari.

Inoltre, vengono introdotte semplificazioni procedurali sulle “condizionalità” imposte agli stati debitori, che spesso preoccupano i politici nazionali. Il recente contributo di Angelo Baglioni e Massimo Bordignon spiega molto bene i meriti tecnici della riforma. In sintesi, il Mes costituisce un passo significativo verso l’integrazione europea (benché di natura intergovernativa, e non comunitaria), affiancato da un richiamo alla responsabilità nella gestione del debito pubblico.

L’Eurogruppo ha ora dato l’approvazione alla modifica del trattato, anticipando al 2022 l’introduzione della clausola di Common backstop. Tuttavia, l’intesa deve essere formalizzata in un vertice tra capi di governo, passando prima per il sì dei Parlamenti di ogni singolo stato aderente. L’Italia si è così ritrovata nuovamente spaccata sul Mes e la sua riforma, con parte della maggioranza che ha minacciato di non sostenerla in Parlamento.

Assumere un simile atteggiamento antagonista, arroccandosi su posizioni non di merito, ma ideologiche, è un chiaro segnale di irresponsabilità politica. Porre un veto alla riforma del Mes, infatti, sarebbe stato un segnale pericoloso per coloro che investono sul nostro debito, tanto più che l’Italia non ha fatto abbastanza per mettersi completamente al riparo dalla necessità di dovervi un giorno ricorrere a quelle risorse. In tempi così difficili, sarebbe invece necessario compiere un gesto di responsabilità, rimettendo al centro del dibattito la costruzione di serie politiche strutturali per la sostenibilità del nostro debito.

Una presa di coscienza, numeri alla mano

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Un’analisi del 2020 di Bomprezzi e Passerini (“Directionality of spillovers in the EMU: Evidence from the EU sovereign debt crisis 2020) porta qualche evidenza in merito. Gli autori mostrano quanto siano interconnesse le economie dell’Eurozona stimando gli spillover sia dei rendimenti che della volatilità tra i titoli di stato in un campione di 10 paesi, di cui 8 dell’area monetaria comune e 2 esterni inclusi come controlli. L’algoritmo è quello di Francis Diebold e Kamil Yilmaz e viene applicato ai rendimenti quinquennali dei titoli di stato, rilevati a livello giornaliero dal 2009 al 13 novembre 2020 dal sito FactSet. Si sono scelti questi dati per eliminare dall’analisi il rischio indotto da shock passeggeri. La tecnica utilizzata permette sostanzialmente di stimare l’intensità delle relazioni – “spillover” appunto – in entrambe le direzioni tra tutti i paesi considerati. L’algoritmo è stato applicato sia ai rendimenti che alla loro deviazione standard, una misura di volatilità e dunque di rischio percepito dagli investitori.

Si possono trarre due principali conclusioni. Primo, intensità e frequenza degli spillover tra paesi dell’Unione monetaria tendono ad aumentare con l’incedere della crisi del 2008 e raggiungono i massimi durante i periodi di turbolenza (come elezioni o momenti di shock). Quest’ultimo fatto è dovuto probabilmente all’interconnessione del sistema bancario europeo, che è stata la principale cinghia di trasmissione del rischio sovrano durante la crisi

In secondo luogo, sia per quanto riguarda l’analisi dei rendimenti che della loro volatilità, emergono due gruppi di paesi: il primo composto dall’Italia – e in parte dalla Francia – i cui spillover netti (cioè, trasmessi meno ricevuti) sono positivi e intensi in tutto il periodo d’analisi, e il secondo composto invece dai rimanenti paesi Uem con spillover in larga parte negativi.

Figura 1 – Spillover della volatilità totale da inizio 2009 al 13/11/2020

Figura 2 – Spillover della volatilità netta per diversi paesi da inizio 2009 al 13/11/2020

Note: Sull’asse orizzontale i giorni dal 2009 al 13/11/2020, su quello verticale l’intensità degli spillover. Elaborazioni sui rendimenti a 5anni delle obbligazioni sovrane raccolti da FactSet.

L’interpretazione degli autori è la seguente: il primo gruppo è fatto da paesi che sono influenzati prevalentemente da fattori domestici, ma la cui rilevanza in termini economici – e bancari – li rende esportatori di rischio, mentre il secondo è costituito da paesi che viceversa non subiscono l’influenza interna, ma quella indotta dall’esterno. L’intensità degli spillover e le loro differenze sono statisticamente ed economicamente significative. L’analisi è robusta ad alcuni controlli: la Germania è rilevante considerando gli spillover sui rendimenti (li influenza, presumibilmente in modo positivo), ma non quando si considera la volatilità (non è una fonte di rischio), tanto da venir scartata per mancanza di variabilità dall’algoritmo, mentre i due paesi non-Uem non sono mai significativi.

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Dalla coscienza alla responsabilità

Alla luce di ciò, è chiaro che le scelte economiche dell’Italia non debbano solo porsi come ancillari a quelle europee o in ribelle antagonismo con esse, ignorando eventuali effetti collaterali per il resto dell’Eurozona. Devono essere prese, invece, nella consapevolezza dei significativi effetti che generano.

Ad esempio, di fronte all’eventualità che l’Olanda debba intervenire in soccorso del sistema bancario italiano, la sostenibilità del debito pubblico olandese risulta ancora più legata alla salute economica dell’Italia. Ciò si tradurrebbe quindi in un’ulteriore amplificazione degli spillover sui rendimenti di stato. In questo senso, la scelta del Mes diventa una chiara presa di responsabilità. Il nuovo sistema di backstop è un importante scudo per il nostro fragile sistema bancario. Quindi, risulta evidente che i membri dell’Eurozona, nell’offrire un sistema di difesa contro una potenziale crisi di solvibilità o nell’esporsi ancor di più alla volatilità dei nostri titoli di stato, chiedano in cambio garanzie.

La semplificazione burocratica e procedurale per la ristrutturazione del debito non è una minaccia sostanziale, ma una garanzia formale, sostanziata dalle relazioni economico-finanziare che abbiamo esposto. È auspicabile che vengano riconosciute e che i nostri politici ne tengano conto nelle loro scelte.

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  1. Francesco Manfredi

    Perchè il MES? Qual’è la ragione prima?Costringere l’Italia a ristrutturare il proprio debito pubblico,visto che l’Italia non provvede pur avendo una notevole ricchezza privata.Appena ci sarà un governo italiano euroscettico la ristrutturazione del debito avverrà.Spero di sbagliare.

    • Belzebu'

      Appena ci sarà un governo euroscettico, spero sia cosi’ responsabile da amministrare il paese con le regole pratiche con cui si amministra un’azienda, con tutte le conseguenze che ne conseguono.
      Non possiamo continuare in eterno a far strangolare di tasse chi intraprende per mantenere una setta di imbroglioni e di ladri.

  2. ANTONIO PETRINA

    Se si vuole con la riforma del MES UN ORGANISMO tecnico indipendente per far rispettare ,nel periodo che verrà, le finanze di un singolo stato europeo ,perchè non possono valere le regole attuali per cui se 2 paesi come Polonia ed Ungheria non sono d’accordo alle condizioni del RP , accettano con riserva il piano dei restanti paesi europei, ma con la facoltà loro concessa dal trattato UE di adire la Corte di Giustizia ?
    Meglio di così!?

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