Solo 9 miliardi per il capitolo “Salute”. Ma il Piano di ripresa e resilienza contiene altre misure che, se realizzate, possono avere ricadute positive sulla salute dei cittadini. Vanno però definite meglio le strategie sul futuro dei servizi sanitari.
Le risorse per la salute nel Piano
Qualche settimana dopo la pubblicazione, la discussione sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnnr) per quanto riguarda il capitolo relativo alla “Salute” rimane piuttosto monotona. Il messaggio principale, se non unico, da parte di tutti gli interessati (ministero della Salute e professionisti della sanità inclusi) è che i 9 miliardi indicati dal presidente del Consiglio nella bozza preparata per il Consiglio dei ministri sono troppo pochi per rilanciare la sanità pubblica. Certo, è imbarazzante il confronto con i 68 miliardi di risorse richiesti per la realizzazione della ormai famosa lista di 22 progetti da parte del ministero della Salute. È imbarazzante anche perché denota una totale mancanza di confronto e di coordinamento tra la presidenza del Consiglio (che ha steso la bozza) e il ministero della Salute, che – ragionevolmente – a un certo punto dovrà pure essere coinvolto nella realizzazione di alcuni degli interventi. Poche, invece, le osservazioni sulla questione che dovrebbe essere centrale nel dibattito: cosa prevede davvero il Pnrr per la missione “Salute”, che, a rigore, dovrebbe esplicitare la strategia del governo per migliorare la salute degli italiani.
Le ricadute di altri interventi
Una prima osservazione, importante per quanto banale, è che la missione definita “Salute”, in realtà, riguarda i “Servizi sanitari”, prevedendo investimenti in “Assistenza di prossimità e telemedicina” e “Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria”. Bene chiarirsi le idee sul punto e rimarcare, se ce ne fosse ancora bisogno, che la salute è frutto di molteplici fattori, che vanno dai comportamenti individuali ai determinanti sociali (la povertà e l’emarginazione sociale), fino alla qualità dell’ambiente, incluso quello urbano, e comprendono anche l’accesso ai servizi sanitari, che (se efficaci e appropriati) consentono di migliorarla davvero.
Da questo punto di vista, nel Pnrr compaiono numerose azioni che, pur non rientrando strettamente nella missione “Salute”, possono avere effetti positivi sulla salute; ed è difficile non essere d’accordo con quelle che sembrano essere affermazioni di principio più che veri e propri progetti. Per fare qualche esempio, nell’ambito della componente “Vulnerabilità, inclusione sociale, sport e terzo settore” inclusa nella missione “Parità di genere, coesione sociale e territoriale” si parla di interventi di rigenerazione urbana per contrastare il degrado dei territori. Il successo di una iniziativa simile, garantendo anche la legalità come recita il Pnrr, contribuirebbe a migliorare enormemente la salute di chi vive nelle periferie. Ce la si fa con 5,9 miliardi? Qual è la strategia – o le strategie – per ottenere il risultato?
Ancora, nell’ambito della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, la componente “Transizione energetica e mobilità locale sostenibile” (18,5 miliardi) parla di miglioramento della qualità dell’aria, un tema di sicuro rilievo per la salute. Ovvio che si sia tutti d’accordo, anche perché la pandemia ha picchiato più duro laddove i livelli di inquinamento sono più alti. Ma come ci si arriva?
Quali strategie per ospedali e personale sanitario?
Una seconda osservazione è che – anche per i servizi sanitari – le risorse sono sparpagliate all’interno del Pnrr. Ad esempio, nella missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, la componente “Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici” prevede risorse per la ristrutturazione e l’ammodernamento delle strutture ospedaliere. Certamente lodevole, ma resta da capire come fare davvero gli investimenti (e non basta la riforma della giustizia civile, visto che i fondi messi a disposizione nel corso degli anni dall’articolo 20 della legge 67/1988 proprio per il finanziamento degli ammodernamenti del patrimonio sanitario pubblico fanno fatica a essere spesi). E resta da capire quale strategia si pensa di utilizzare per la ristrutturazione del network ospedaliero: si continua a pensare a ospedali moderni in base al decreto ministeriale 70/2015 oppure si cambia, come vorrebbero i difensori dei piccoli presidi territoriali? Sul punto, peraltro, proprio la missione “Salute” sembrerebbe identificare una strategia del governo che non punta ad aumentare la dotazione infrastrutturale di posti letto ospedalieri per acuti: si parla di consolidare e rafforzare la razionalizzazione dei ricoveri e si individuano come ritardi dell’assistenza ospedaliera la carenza e la formazione del personale e la vetustà delle apparecchiature tecnologiche e degli asset informatici. La dotazione di posti letto, in particolare per acuti, e le differenze con gli altri paesi sono questioni che sono state dibattute aspramente durante la fase peggiore della pandemia nella scorsa primavera, ma al tema il Pnrr non dedica un rigo.
In realtà, il Piano riconosce come unico problema dei sistemi sanitari del futuro l’aumento delle cronicità; e per questo serve sviluppare una rete di servizi integrati territoriali che comprendono le case della comunità, le case della salute, le Rsa, gli ospedali di comunità. Saranno gli investimenti nella sanità digitale a integrare i processi e a sostenere la vicinanza e la comunicazione tra pazienti e medici. Ma la sanità territoriale è talmente complicata che spunta anche in altre missioni, per esempio nella “Parità di genere, coesione sociale e territoriale”, dove si parla di “interventi di potenziamento dei servizi sociali, strumento di resilienza per la realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria (servizi sociali domiciliari; punti unici di accesso alle prestazioni sociali e sanitarie garantite da equipe multidisciplinari, etc)”. Questi servizi socio-assistenziali faranno rete con i servizi sanitari territoriali in base alla strategia del governo o, siccome stanno sotto un’altra missione, non se ne parla nemmeno?
Un altro tema aspramente dibattuto negli ultimi mesi è quello che riguarda il personale. In realtà, anche già prima della pandemia, si diceva che nel Servizio sanitario nazionale mancavano medici. Il Pnrr sembra puntare sugli infermieri più che sui medici e su alcune specializzazioni mediche, quali anestesia e terapia intensiva, medicina interna e pneumologia, pediatria. Sugli infermieri e sugli anestesisti difficile non dare ragione al governo. Ma allora dovremmo essere coerenti e investire nella loro formazione. Di conseguenza, per i medici, le borse di specializzazione dovrebbero rivolgersi a questi ambiti, non ad altri dove magari già abbiamo un numero sufficiente di professionisti.
Infine, le diseguaglianze: il Pnrr ricorda la storica e strutturale disomogeneità nella distribuzione territoriale di servizi sociali, sanitari e ospedalieri, spesso a svantaggio delle aree rurali e marginali del paese. Anche in questo caso, difficile non essere d’accordo. Però nell’ambito della componente “Coesione territoriale” si cita il rafforzamento della Strategia nazionale delle aree interne e il potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per formare risorse per il soccorso rapido in territori vulnerabili per conformazione geografica, profilo idrogeologico e sismico. Vuol dire che il servizio non potrà essere utilizzato anche per urgenze sanitarie, ma solo per le catastrofi naturali? Sarebbe un peccato. Difficile infatti pensare di costruire ospedali in queste zone; servono invece strategie innovative per garantire eguaglianza di accesso ai servizi anche dove, talvolta, non riesce nemmeno ad arrivare l’ambulanza, come ha dimostrato negli ultimi giorni, un caso di cronaca in Calabria.
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Savino
Difficile fare il pnrr con il furore ideologico del m5s e i relativi prosciutti davanti agli occhi. Solo con un governo senza 5 stelle si potrà fare qualcosa. Se metti il pnrr in mano a Di Battista diventa la pianificazione di Maduro, coi bambini che muoiono di fame senza un bicchiere di latte o un piatto di riso.
Alberto Isoardo
Credo che l’intera sanità debba essere rifondata, cosa non tanto fattibile conil M5S al governo con il PD che si è reso responsabile di una mare di chiusure di ospedali, almeno in Piemonte.
Deve essere ristrutturata la corporazione dei medici di base perchè serve un tetto al numero dei mutuati in modo che possano essere efficacemente assistiti, come forse dovrebbe anche essere tolto il numero chiuso a medicina.
Vi ricordate quando i medici italiani erano costretti ad andare in Inghilterra o in Irlanda per poter lavorare?
Le corporazioni, in effetti, non le ha fatte Mussolini, ma i vari ordini professionali dai medici, agli avvocati e via dicendo che hanno bloccato qualsiasi tentativo di eliminare code e affollamenti.
Servono liberalizzazioni vere che consentano una erogazione dei servizi puntuale e di qualità.
Il tutto senza citare gli ospedali chiusi da anni e così mantenuti anche ora nell’emergenza.
Servirebbe un mea culpa esplicito da parte di chi ha effettuato le chiusure ed un budget idoneo all’erogazione dei servizi necessari.
Savino
Sono d’accordo in pieno, basti pensare alle recenti problematiche sull’esame da avvocato, ancora con correzioni a mano e con una sola sessione l’anno, e alla differente mentalità tra generazioni su come viene interpretata la deontologia di quella professione, con le recenti rinunce al mandato (e alle parcelle) in casi gravi di femminicidio.
umberto scaccabarozzi
Il nostro sistema sanitario ha già sviluppato la rete ospedaliera,la pandemia passerà,se aumentiamo l’offerta poi seguirà la domanda,con aumento dei costi e soprattutto si indeboliranno ulteriormente i servizi territoriali.I medici di famiglia devono diventare dipendenti del SSN.Devono lavorare in studi associati dotati di supporti tecnologici aperti 8-10 ore al giorno,grazie alla turnazione dei medici,assistiti da personale infermieristico,dotati di supporti tecnologici,per svolgere una diagnostica di primo livello.Devono essere in grado di effettuare le cure domiciliari,di prendere in carico le patologie croniche.Gli ultra ottantenni sono il 6% di tutti gli italiani. La fragilità cresce in maniera esponenziale dopo i 75 anni.Meno pediatri più geriatri!
Amegighi
Tutte cose condivisibili, certamente. Ma quello che manca, ovunque in questo disastro della pandemia, ma, data l’importanza, nella Sanità, è un’analisi precisa degli errori e delle criticità emerse sotto lo stress della pandemia stessa.
Manca una completa e chiara analisi di cosa è andato storto. A questo si aggiunge la totale incapacità dei politici di accettare e discutere errori (magari fatti anche in buona fede) fatti nel passato e rivelatisi peculiari nella pandemia.
Anlizzare la situazione, analizzare gli errori, trovare le soluzioni a questi sono i passi necessari e fondamentali prima di passare a decidere e pianificare come correggere gli sbagli e migliorare il sistema.