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Pnrr, un’occasione per separare le carriere nella Pa*

Il successo del programma di investimenti NextGen è legato al miglioramento della capacità del settore pubblico di realizzare i progetti. Urge ripensare l’intera struttura, a partire dalla separazione delle carriere di manager e professionisti.

Le carenze del settore pubblico

Il successo del programma di investimenti (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pnrr) che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU richiede un profondo miglioramento della capacità – finora molto carente – dello stato e degli enti territoriali di realizzare investimenti pubblici. Le difficoltà non dipendono solo da problemi procedurali (vedi Codice degli appalti) ma anche dalle gravi insufficienze delle strutture tecniche pubbliche. Manca personale capace di disegnare progetti ma anche chi sia semplicemente in grado di valutare quelli formulati da imprese private, con conseguenze ovvie non solo sulle capacità di realizzazione ma anche sulla qualità stessa delle iniziative realizzate. Da decenni l’amministrazione pubblica ha rinunciato a svolgere queste funzioni di progettazione diretta e di valutazione tecnica ed economica dei progetti, affidandosi alla consulenza di imprese private. Il Pnrr è l’occasione per iniziare a ripensare questo modello: una riforma strutturale che merita di essere perseguita e che ci consegnerebbe tra qualche anno un’amministrazione in grado di contribuire alla crescita del paese.

Un modello da rivedere

L’interazione con il settore privato è certamente opportuna; occorre tuttavia che il settore pubblico disponga, per esempio in aree come le opere pubbliche e i sistemi informatici, di competenze tecniche che gli consentano di rapportarsi alla pari con i privati. Occorre, insomma, rafforzare le tecnostrutture pubbliche e, dove mancano, crearle. Le strutture tecniche non devono svolgere attività amministrativa. Il modello quindi deve essere diverso da quello tipico degli uffici pubblici basato su un’articolazione piramidale – un dirigente di prima fascia, alcuni dirigenti di seconda fascia e poi funzionari e personale di segreteria – cui corrispondono differenziali retributivi di grande rilievo, specie tra l’area della dirigenza e il resto del personale. Oggi la retribuzione annua lorda per gli impiegati statali è all’incirca di 40 mila euro per un funzionario, di 100 mila euro per un dirigente di seconda fascia e di 170 mila euro per un dirigente di prima fascia.

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Un modello adatto, per esempio, a strutture che forniscono servizi amministrativi ai cittadini e alle imprese. Una struttura, nelle intenzioni di chi l’ha disegnata, manageriale in cui il ruolo centrale è svolto da dirigenti generalisti intercambiabili per i quali si esclude per statuto ogni forma di specializzazione: il ruolo dei dirigenti statali (ministeri, agenzie fiscali, etc.) è unico e così sono quelli di regioni ed enti locali. Non è un caso che le informazioni statistiche su dirigenti e funzionari pubblici (contenute nel “Conto annuale” elaborato della Ragioneria generale) non fanno distinzioni per tipologia di laurea. Di fatto, si tratta per la stragrande maggioranza di laureati in giurisprudenza accompagnati da una minoranza di laureati in economia. Non c’è spazio per strutture tecniche e quel ruolo è svolto da consulenti esterni. I pochi tecnici presenti nei ministeri sono inquadrati come funzionari.

Carriere distinte tra manager e professionisti

Una struttura tecnica idealmente dovrebbe essere formata da una serie di professionisti distinti in fasce sulla base della loro seniority e da una segreteria agile che svolga le funzioni amministrative. La gran parte dei professionisti non svolge compiti dirigenziali ma solo, appunto, professionali. La retribuzione dei professionisti senior deve essere competitiva con quella del settore privato: vale a dire, in pratica, che deve partire da un livello simile a quello attuale dei dirigenti di seconda fascia. Ciò richiede una revisione della struttura per carriere del pubblico impiego. Vanno previste due carriere parallele distinte: una per i manager e una per i professionisti (come avviene, per esempio, nell’amministrazione finanziaria francese), dedicata a figure come ingegneri civili e informatici, geologi, ma anche a esperti di diritto tributario o econometrici.

La legge di bilancio in fase di approvazione in questi giorni prevede l’istituzione di fondi per finanziare le assunzioni di personale a tempo indeterminato (e a partire dal 2019 sono stati superati i limiti al rimpiazzo dei pensionati) e gran parte delle risorse sono destinate a giustizia e forze di polizia. Riguardo al Ngeu non c’è molto: il Mef potrà assumere un contingente di 20 unità di personale (rigorosamente “non dirigenziale”) per le attività connesse all’attuazione del piano. Le amministrazioni operanti nel Mezzogiorno potranno assumere 2.800 persone con contratto a tempo determinato (al massimo tre anni) e avviare concorsi per assunzioni a tempo indeterminato (sempre per personale “non dirigenziale”) per rafforzare la loro capacità amministrativa nella gestione dei fondi della politica di coesione. Un impegno in gran parte temporaneo e dedicato solo agli aspetti amministrativi della gestione dei fondi europei. Serve molto di più: un programma di assunzione di quelle figure che oggi mancano al settore pubblico, garantendo retribuzioni e carriere concorrenziali con quelle del settore privato e con quelle dei colleghi che svolgono attività burocratiche tradizionali.

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* Questo articolo è apparso contemporaneamente sul quotidiano Domani.

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10 commenti

  1. Savino

    Basta soldi a pioggia ai manager che non raggiungono palesemente gli obiettivi. Basta spoil system degli amici degli amici nel pubblico. Assunzioni per competenza e non solo per competenza informatica. Si assuma chi sa scrivere in italiano, fare di conto nella contabilità pubblica, chi è onesto e non ruba ed è fedele alle istituzioni, chi palesa la curiosità della ricerca ed è abile e creativo e non usa formule cervellotiche per mascherare le inefficienze. Si assumano giovani soprattutto e non si concedano dopo lavori strapagati ai pensionati.

  2. Alessandro

    Gent.mo dott. Pisauro,
    naturalmente sono d’accordo con il merito della proposta.
    La porto un momento a sfiorare un tema collaterale approfittando della sua competenza per chiederle di tradurre in numeri, ed in prospettive socioeconomiche, la scelta in legge di bilancio che consente di esaurire le graduatorie degli idonei per le assunzioni nella pubblica amministrazione, oltre la possibilità di stabilizzare gli lsu.
    Il senso della mia domanda mira ad ottenere una proporzione della decisione citata sui posti vacanti nella pubblica amministrazione.
    Ringraziandola sin d’ora le porgo i miei Cordiali Saluti..
    Alessandro Cappello

  3. Cosimo Benini

    Prima si è svuotata la PA di competenze tecniche, esternalizzando consulenze e funzioni. Poi si è scoperto che la PA non è più grado nemmeno di verificare la qualità del lavoro esternalizzato. Eppure la si descrive come una banda di marmittoni scansafatiche da mettere (sic) in “cassa integrazione” per equità. Si decida che cosa si vuol fare.

  4. Enrico D'Elia

    Il prof. Pisauro ha messo il dito in una delle principali piaghe che affliggono la PA: la carenza (e lo scarso potere) di professionisti e tecnici e la sovrabbondanza di amministratori. Tuttavia questo squilibrio non è casuale, ma discende da una impostazione che caratterizza quasi tutte le amministrazioni pubbliche del mondo, ossia la vocazione a seguire procedure piuttosto che a risolvere problemi. Se non si rovescia questa logica, ossia se non si cambiano radicalmente il diritto, la giurisprudenza e le pratiche amministrative, l’arruolamento e l’empowerment di (giovani) professionisti potrebbe essere addirittura controproducente: sarebbe come chiamare dei piloti di formula uno per guidare gli autobus in una città congestionata. Avremmo più conducenti frustrati (e sanzionati) e più incidenti, senza alcun beneficio per l’efficienza dei mezzi pubblici. La separazione delle carriere e il riequilibrio delle retribuzioni avrà senso solo dopo aver cambiato il contesto operativo della PA.

  5. Libero Professionista

    ….…….“Manca personale capace di disegnare progetti ma anche chi sia semplicemente in grado di valutare quelli formulati da imprese private”……..

    Verissimo!
    Per un ragione molto semplice:
    In Italia si diventa dipendente pubblico e quindi dirigente, mediante concorso pro-forma sulla procedura amm.va e non con prove di verifica sulla preparazione professionali di ing. e arch., con progetti veri, calcolo strutturale, competenza per la conduzione e direzione dei lavori in cantiere ecc. Tutte competenze ottenibili, inevitabilmente, dopo tirocinio lavorativo mirato nel privato.
    Min.tre-cinque anni, post laurea, per calcolatori-strutturisti, e dieci anni per progettisti di strutture complesse, sia architetti che ingegneri.

    Probabilmente, l’architetto Renzo PIANO, non avrebbe mai superato un concorso pubblico in Italia, a meno che non fosse stato raccomandato.

    Tuttavia, il personale pubblico (geom.compresi) detiene il potere di respingere progetti dei liberi professionisti. O, almeno, di quelli non ”in sintonia” con l’orientamento ideologico, o forse peggio, della commissione urbanistica formata da politici, sicuramente non esperti.

  6. Alessio Fionda

    Assumere nelle forze di polizia equivale a togliere un poco di disoccupazione giovanile poco produttiva tenuto conto che sono assunzioni di persone con terza media od al massimo diploma … da anni è così e non importa a nessuno

  7. massimo consolini

    Anni fa, visitando Nizza rimasi colpito da due targhe, una posta all’interno dell’aeroporto (il 2° di Francia per traffico) e l’altra nel magnifico orto botanico, una magnifica struttura in acciaio e vetro con tecnologie allora avanzatissime per regolare luce, temperature e umidità. le targhe segnalavano che le due opere erano state progettate e realizzate dall’ufficio tecnico del Comune. Non aggiungo altro.

  8. Alex

    Interessante l’articolo del prof. Pisauro sulle carenze e i miglioramenti da apportare al settore pubblico. Concordo quasi totalmente, mi rimangono poche perplessità. Tra queste osservo che professionisti validi si trovano non solo nel settore privato.. Piuttosto noto che spesso a fare la differenza è l’ambiente nel quale operano che può influenzare molto; nel pubblico burocrazia, organizzazione, retribuzioni, pressioni ecc., incidono assai negativamente. Se si prende un manager che ha operato nel privato, anche ad alto livello, e lo si porta a lavorare nel settore pubblico, siamo sicuri che fornisca sempre lo stesso livello di performance?…Per fare un nome, qualche tempo fa celebrato e di cui oggi le cronache dei media non parlano più…il manager Vittorio Colao…la sua commissione continua a portare avanti la missione affidatale o si deve pensare che abbia terminato il suo compito?

  9. carlo des dorides

    Mi sembrano condivisibili:
    la proposta di attrarre un mix di professionisti con competenze diverse da quelle oggi prevalenti nella PA
    creare modelli di gestione e sviluppo delle RU articolati per famiglie professionali e per seniority.
    Non condivido invece i livelli retributivi proposti nella nota. Infatti i 100 k annui dei dirigenti di seconda fascia mi sembrano troppi per i livelli di accesso in queste carriere tecniche, a fronte dei circa 60 k medi di un Quadro del Settore Privato e dei circa 70 k del Minimo contrattuale della dirigenza. Oltre ad avere un livello di accesso troppo alto questo rischierebbe di erodere a mio avviso gli spazi di crescita successivi per performance ed improvement della seniority

    • marco giannerini

      Condivido. Aggiungo che alcuni contratti pubblici centrali già prevedono il ruolo del professionista, accessibile con laurea magistrale ed iscrizione all’albo professionale, con livelli tabellari estesi, per le diverse seniority, nella fascia 35-65 k lordi annui incentivazioni escluse. Allo stesso modo, il CCNL sanità prevede il ruolo professionale, da anni in disuso, nei fatti ad esaurimento.

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