Ridurre la spesa scolastica ha chiari effetti negativi sulle abilità cognitive degli studenti, accentuando divari già gravi. Investire in scuole digitalizzate, moderne e ben equipaggiate potrebbe invece migliorare l’insegnamento e l’apprendimento.
La pandemia accentua i problemi delle scuole
Il 2020 ha portato con sé nuove e vecchie consapevolezze. Tra le nuove, la fragilità del mondo globale di fronte alle pandemie. Tra le vecchie, i problemi strutturali che il nostro paese si porta dietro da vari decenni.
In particolare, la pandemia ha corroborato le ragioni di chi continuava a sostenere che da decenni si è investito poco, troppo poco, nella scuola (si veda, ad esempio, l’articolo di Daniele Checchi). Il dibattito politico ha messo in luce le tante criticità che scuole e insegnanti sono costretti a sostenere quotidianamente. Basta seguire un qualunque telegiornale o talk show per imbattersi in testimonianze di docenti che denunciano l’assenza di dispositivi multimediali necessari per la didattica a distanza, di classi non adatte e sufficientemente spaziose per il numero di studenti previsto, di edifici scolastici che appaiono logori e inadeguati.
Anche di fronte alle proposte (sensate) di tenere aperte più a lungo le scuole durante la pausa estiva per recuperare parte dell’insegnamento perso (si veda l’articolo di Fabrizio Zilibotti di aprile 2020), non si è potuto che constatare che molti edifici scolastici non sarebbero stati idonei, perché privi di un sistema di aria condizionata.
Gli effetti dei tagli
Ma quali sono i benefici di maggiori investimenti nel capitale fisico della scuola, dagli edifici fino agli strumenti per la didattica a disposizione dei docenti? Scuole digitalizzate, edifici più moderni e dotati di migliori infrastrutture possono contribuire a un migliore apprendimento da parte dello studente? Qual è il prezzo che gli studenti sono costretti a pagare a causa di strumenti didattici e edifici scolastici non adeguati?
In un recente studio, abbiamo cercato di rispondere a queste domande. Focalizzandoci sugli effetti dei tagli alla spesa scolastica attuati negli ultimi due decenni, forniamo una chiara evidenza causale che ridurre la spesa scolastica deprime le abilità cognitive degli studenti. In particolare, il nostro studio mostra come l’effetto di una minore spesa scolastica colpisca soprattutto gli studenti provenienti da famiglie meno abbienti, mettendo in luce come la scuola fallisca nell’obiettivo di offrire un riscatto sociale. Effetti significativamente più forti emergono anche nelle scuole del Mezzogiorno, sottolineando un ulteriore problema: la scuola non riesce a limitare le disuguaglianze territoriali nelle abilità degli studenti.
Le nostre conclusioni sono il frutto di un lavoro in cui vengono analizzati i risultati nei test Invalsi degli studenti della scuola primaria. Per misurare in maniera causale l’effetto, ci siamo concentrati sui tagli alla spesa scolastica finanziata dai comuni soggetti al Patto di stabilità.
Le regole di finanza pubblica stabilite dal Patto di stabilità hanno indotto i comuni a ridurre significativamente la spesa scolastica. Nello specifico, le nostre stime mostrano che questi comuni spendono in media circa 102 euro per studente in meno rispetto a comuni simili ma non soggetti al Patto. La differenza nella spesa scolastica si traduce in un divario nei test standardizzati di circa il 12 per cento.
Inoltre, in questi comuni vi è una probabilità di circa un quarto maggiore di non possedere dispositivi multimediali di base, come computer o lavagne multimediali. In maniera speculare, osserviamo differenze significative nella qualità degli edifici scolastici e in misure di innovazione tecnologica. I comuni soggetti a restrizioni fiscali hanno una probabilità di circa il 4 per cento inferiore di possedere riscaldamento automatizzato, classi insonorizzate e strutture di sostegno per studenti disabili.
I risultati evidenziano come disparità nel capitale fisico e nell’equipaggiamento didattico della scuola possano contribuire a creare – e talvolta amplificare – il divario educativo tra gli studenti.
Alla luce del fatto che gli studenti italiani mostrano grandi divari di apprendimento nei test internazionali rispetto alla media Ocse, il nostro risultato assume grande rilevanza. Oltre all’effetto “diretto” sulle abilità cognitive degli studenti, potenziare l’investimento nelle strutture scolastiche potrebbe portare benefici sul coinvolgimento e la motivazione degli insegnanti, ridurre l’assenteismo scolastico e dunque rendere più fruibile e qualitativo sia l’insegnamento che l’apprendimento.
Individuare quali elementi contribuiscano al divario educativo risulta una delle sfide più urgenti per il futuro del paese. I nostri risultati suggeriscono che destinare risorse per scuole digitalizzate, moderne e ben equipaggiate è un buon investimento.
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Luca Cigolini
Leggo sempre volentieri gli articoli che propongono più risorse per la scuola. Mi permetto un appunto – del tutto soggettivo e personale – sulla parte riguardante la motivazione degli insegnanti: digitalizzazione e strutture sono importanti, ma senza un adeguato riconoscimento pecuniario e senza una riduzione dell’intrusione burocratico-amministrativa, che tende sempre più a ridurre la mia professione ad un mero incarico esecutivo, posso aspettarmi solo ulteriore demotivazione!
Lo dico con amarezza, dopo circa trent’anni di insegnamento appassionato.
Marco Spampinato
Proporre di investire di più nella scuola, per non parlare della ricerca, può essere una posizione politica di valore. Obietto però che ‘il fine non giustifica i mezzi’ e il vostro ‘argomento’ andrebbe considerato più per il suo valore intrinseco che per il fine che persegue.
L’articolo (o questa sintesi) fa un uso discutibile dei dati sulle competenze cognitive. Non è certo un caso isolato. E’ tipico dell’economics ‘trattare’ informazioni che non hanno un legame concettuale diretto con le misure dell’economia (capitale, lavoro, salari, reddito, produttività, etc.) come se questo legame concettuale e causale diretto ci fosse. Anche se una correlazione, o la stima di un effetto causale, può ‘tornare’, resta il dubbio che analisi di questo tipo finiscano per oscurare i meccanismi causali che spiegano un maggiore o minore punteggio medio ad un test psicometrico sulle competenze. La strumentalizzazione dei test psicometrici per scopi di policy generici (appunto ‘il fine giustifica i mezzi’) spiazza un dibattito pubblico alternativo, che dia peso, ad es., a 1) una maggiore conoscenza della natura dei dati; b) il riconoscimento dei problemi di validità dei test e delle differenze, significative, che emergono considerando totali parziali e categorie di item invece del ‘punteggio totale’; c) la comprensione dei processi psicologici e cognitivi che generano le risposte.
Savino
Con i responsabili raccattati non si può fare, ci vuole un governo forte, serio e credibile.