Come assicurare tempi più celeri ai processi civili e smaltire l’arretrato? Si dovrebbero ridefinire le piante organiche in base alle reali esigenze dei territori. E aggiungere una componente meritocratica alla valutazione dell’operato dei magistrati.
Ridurre l’eccesso di domanda di giustizia
In Italia i tempi dei processi civili sono straordinariamente lunghi a causa di un eccesso di domanda di giustizia, pur con un’offerta e investimenti in linea con le medie europee. È evidente che un alto numero di cause iscritte a ruolo produce un allungamento della durata dei processi.
Per ridurre i tempi dei processi civili la priorità è pertanto quella di adottare politiche volte a: 1) disincentivare il ricorso pretestuoso al tribunale; 2) ridurre drasticamente l’arretrato; 3) aumentare i luoghi e le occasioni di risoluzione delle controversie in affiancamento ai tribunali; 4) aumentare il numero dei magistrati (anche limitando gli incarichi extragiudiziari); (5) utilizzare le nuove tecnologie per affiancare il giudice nella fase decisoria. Per esempio, l’Estonia ha deciso di sperimentare dei robot che svolgano la funzione di giudici per risolvere le controversie di minore entità.
Altrimenti, ogni proposta per snellire lo svolgimento del processo sarà vanificata dal profluvio di cause pretestuose.
Due proposte per migliorare i tempi della giustizia
Le politiche che puntano a ridurre l’eccesso di domanda di giustizia operano sul flusso futuro di cause; lasciano però un pesante arretrato che rallenta e quasi vanifica gli sforzi di riduzione dei tempi dei processi. Accoppiare ai provvedimenti sulla domanda anche interventi sull’offerta può aiutare a smaltire l’arretrato, ad assicurare tempi più celeri sul nuovo flusso di cause e a garantire il merito. Pur riconoscendo che una parte importante del problema è l’eccesso di domanda, discuteremo qui due proposte volte a migliorare l’offerta di giustizia.
La prima, relativamente semplice, consiste nel ridefinire le piante organiche del personale di magistratura in base alle reali esigenze dei territori (le corti d’appello con il maggior contenzioso, Napoli e Roma, assommano circa il 30 per cento dell’arretrato). Con interventi mirati su pochi uffici e su alcune corti si potrebbe fare moltissimo per risolvere il problema.
La seconda proposta consiste nell’aggiungere una componente meritocratica alla valutazione dell’operato dei magistrati. I dati del rapporto Cepej 2020 (Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa), smentendo un luogo comune, mostrano che i giudici italiani non sono meno produttivi dei colleghi europei.
Alta produttività media non vuol dire però che la produttività dei singoli sia riconosciuta e premiata negli avanzamenti di carriera. Occorre rivedere il modo in cui i magistrati fanno carriera, collegandola a criteri meritocratici che incentivino produttività e tempistica.
Criteri obiettivi di misurazione dell’operato del giudice aiuterebbero il Consiglio superiore della magistratura, e la magistratura nel suo complesso, a operare affinché sia garantita la produttività del sistema giudiziario, dando finalmente attuazione alla legge 30 luglio 2007 n. 111 sui nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati. Seconda la norma, la laboriosità del magistrato deve, infatti, essere desunta anche dagli standard medi di rendimento: “La laboriosità è riferita alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Csm, in relazione agli specifici settori di attività ed alle specializzazioni”.
L’operato del magistrato ai fini di carriera dovrebbe quindi essere valutato anche dal numero di procedimenti e processi definiti in relazione alla complessità della materia, quest’ultima valutata attraverso le statistiche.
L’indice di laboriosità
Pur senza tralasciare altri criteri, la tradizionale valutazione quadriennale del magistrato potrebbe essere basata su un indice di laboriosità oggettivo che aggreghi, con pesi da definire (un passaggio fondamentale per evitare effetti indesiderati), le seguenti componenti:
1) standard minimo di procedimenti e processi definiti nel quadriennio, diverso per materia;
2) premio per la qualità inversamente correlato al numero di casi riformati in appello nel quadriennio (un peso eccessivo
a questa componente spingerebbe verso il conformismo giudiziario);
3) premio per il numero di procedimenti e processi definiti nel quadriennio eccedente lo standard minimo definito al primo punto.
Un sistema di valutazione semplice e immediatamente verificabile dal singolo magistrato, presenta diversi pregi:
1) individua nello standard minimo un carico esigibile a tutti i magistrati permettendo di razionalizzare la distribuzione dei magistrati sul territorio;
2) evita derive iper-produttivistiche in quanto lo standard minimo – prefissato – non è in alcun modo influenzato dal comportamento dei giudici più produttivi;
3) contempera la produttività con la qualità;
4) semplifica il lavoro del Csm;
5) premia i magistrati particolarmente meritevoli.
Pur riconoscendo l’importanza fondamentale del rispetto dei tempi di trattazione dei procedimenti e dei processi per l’efficienza economica e per la fiducia del cittadino, non è opportuno inserire nell’indice di laboriosità un indicatore della durata del procedimento. La ragione è che tante variabili che incidono sulla durata del procedimento sono estranee all’impegno del giudice: ad esempio, i termini procedurali sono essenzialmente a garanzia degli imputati.
Fondare gli incentivi di carriera del magistrato su indicatori di capacità, laboriosità, diligenza e impegno secondo parametri statistici oggettivi è fondamentale anche per garantire l’indipendenza del singolo magistrato. L’indicatore di laboriosità sostituirebbe meccanismi di carriera informali, permettendo l’accesso ai posti più ambiti ai più meritevoli, con un conseguente effetto positivo sugli uffici e la loro organizzazione.
La precondizione per ridefinire le piante organiche del personale di magistratura e per la costruzione di un sistema di valutazione adeguato alla complessità della giurisdizione è, naturalmente, la creazione di un sistema efficiente di gestione delle informazioni. Non va però dimenticato che la misurazione influenza i comportamenti degli individui in modi difficilmente prevedibili e va quindi maneggiata con cautela.
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marilena rispoli
E ricorrere alle A.D.R.?tempi più brevi sicuramente.con alcuni aggiustamenti
Lorenzo
Non si fa nulla senza una decente legge sulla responsabilità civile dei magistrati.
Le persone che sanno che, anche svolgendo superficialmente il proprio lavoro, non risponderanno mai di nulla non saranno mai incentivate all’efficienza e alla qualità.
daniel remondini
ottimo! quando si arriverá a valutare la “mole” di lavoro svolto minimo necessario ad un avanzamento di carriera (come avviene giá ad esempio per le Universitá) in tutti i settori della PA in cui sia possibile farlo sará un gran bel giorno!
Ezio Pacchiardo
Seguendo alcuni processi civili ho avuto modo di notare le difficoltà nell’esprimere un giudizio da parte dei magistrati. Il problema che ho notato è derivato dalla difficoltà di associare le particolarità, non sempre chiare ed evidenti, del fatto in analisi con le leggi ad essi applicabili. I tempi lunghi in molti casi sono causati dalla necessità di approfondire l’analisi del fatto onde fare emergere più evidente e più coerente l’associazione del fatto alle leggi applicabili. Un caso seguito alla Corte Inglese a Londra per centinaia di milioni di vecchie lire è stato risolto, a livello di primo giudizio, in sei mesi, ma il dialogo con il Barrister è stato esteso, approfondito e in particolare continuativo.
Cavaliere
Montanelli il 13 agosto 1997 pubblicò sul «Corsera» un articolo, che concludeva: «”Le Leggi siano poche, semplici e chiare in modo che nessuno, per capirle, abbia bisogno di nessuno”. Lo disse, un paio di secoli orsono, un certo signor Montesquieu. Ma Montesquieu, quando studiavo Giurisprudenza, non l’ho mai sentito nominare».
Non risulta che da allora, quanti a vario titolo hanno scritto e discusso di Giustizia e relativa riforma, ne abbiano mai parlato come di ipotesi da cui partire. Cosa ne pensano Draghi e la neo-ministra Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale?
Pietro Della Casa
Perché non citare il problema fondamentale dei 3 gradi (semiautomatici) di giudizio?
Cordiali saluti