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Moratoria sì, moratoria no in tempi di pandemia

La moratoria su prestiti bancari è stata utile per contrastare gli effetti della crisi da pandemia. Prolungarla troppo a lungo potrebbe causare rischi per il sistema bancario. È dunque necessaria un’attenta analisi dell’efficacia delle misure prese.

Moratorie in Europa

Le conseguenze economiche della crisi pandemica sono gravi. Secondo la Commissione europea, il Pil reale dell’area dell’euro è crollato del 6,8 per cento. L’Italia è tra i paesi che hanno sofferto di più, e non solo sul piano delle vittime e dei contagi, con una flessione del Pil, secondo l’Istat, di circa il 9 per cento.

La risposta istituzionale europea alla crisi pandemica è stata nel complesso tempestiva e variegata, grazie a misure di sostegno dei redditi di famiglie e imprese, nonché aiuti ai governi (specie a quelli molto indebitati, come il nostro) e alle banche. È stata anche generosa, prevedendo l’iniezione di risorse mai viste prima.

Nell’ambito delle misure fiscali a sostegno di famiglie e imprese, rientra la moratoria su prestiti bancari. Consente al debitore una sospensione, un rinvio oppure una riduzione dei pagamenti dovuti in base al piano di rimborso previsto dal prestito. In Europa, gli schemi di moratoria, disposta per legge o in base ad accordi collettivi, divergono in merito a numerosi aspetti: l’oggetto (solo quota capitale o anche quota interessi), la durata, l’ambito di applicazione (in alcuni paesi possono partecipare al programma solo debitori classificati come performing, in altri solo quelli che hanno subito un calo dei redditi o che hanno conti di deposito al di sotta di una certa soglia).

Secondo l’autorità bancaria europea (Eba), a giugno del 2020, il 6 per cento del totale dei prestiti bancari nell’Unione europea erano soggetti a moratoria, pari a oltre 870 miliardi di euro. La maggior parte sono prestiti alle imprese, per lo più di dimensioni medio-piccole. L’85 per cento aveva una scadenza inferiore ai sei mesi.

L’Italia è tra i paesi che più hanno fatto ricorso alla misura delle moratorie. Secondo dati della Banca d’Italia, a dicembre del 2020 le richieste di moratorie ammontavano a oltre 300 miliardi euro (un terzo dei quali riguarda prestiti alle famiglie, il resto imprese, per lo più piccole e medie). Alla stessa data, il 76 per cento delle moratorie approvate a marzo 2020 erano ancora in essere, segnalando dunque una scadenza mediamente più elevata di quella riscontrata in altri paesi.

A seguito della pandemia, a dicembre del 2020 l’Eba ha esteso i termini della concessione delle moratorie al 31 marzo 2021. Nello stesso periodo, il governo italiano ne ha prorogato l’applicazione fino a giugno 2021.

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Perché sono utili

Per poter comprendere la portata di tale scelta occorre capire meglio gli effetti, attesi e inattesi, delle moratorie. A proposito della loro utilità, il ragionamento è il seguente. Le misure restrittive rese necessarie dall’evolversi della pandemia possono avere determinato un calo dei redditi delle imprese e dei salari dei lavoratori, talora molto marcato. Le misure di sostegno di redditi e salari potrebbero non essere sufficienti o tempestive. Da qui l’esigenza di integrare il sistema di aiuti con interventi rivolti a famiglie e imprese indebitate con il sistema bancario.

L’obiettivo delle moratorie è quindi quello di evitare che crisi di liquidità imputabili alle misure restrittive possano rallentare il piano di rimborso dei finanziamenti bancari, traducendosi, nel tempo, in situazioni di insolvenza. Dal punto di vista delle banche, maggiori default si tradurrebbero in un aumento delle posizioni deteriorate (non-performing loans o Npl).

Un monitoraggio necessario

Che cosa rende “speciale” la concessione di moratorie in tempo di Covid? Innanzitutto, il fatto che si tratta di una misura generale, concessa a intere categorie o settori e non a singoli debitori; ed è una misura eccezionale, destinata a mitigare gli effetti sistemici di uno shock derivante da una situazione di emergenza. In secondo luogo, il fatto che l’applicazione della moratoria si combina con una modifica delle regole contabili nonché delle disposizioni di vigilanza riguardo le misure di tolleranza (cosiddetta forbearance) a cui sono sottoposte le banche. Questo significa che la sospensione del pagamento in una situazione di emergenza non determina la riclassificazione automatica della posizione dallo stato in bonis a quello di inadempienza, e dunque non impone alle banche di effettuare necessariamente maggiori rettifiche di valore sui crediti o di accantonare maggiore patrimonio di fronte all’aumentato rischio, come invece accadrebbe in tempi normali.

Quali sono le conseguenze di un prolungamento eccessivo delle moratorie? Per definizione, la moratoria deve essere una misura temporanea, destinata a dare un sollievo provvisorio, nella consapevolezza che allentare le tensioni di liquidità per un periodo circoscritto possa servire a un’impresa o a una famiglia a prendere tempo per riorganizzarsi, nel presupposto che le condizioni di solvibilità del debitore non siano cambiate (rimango un debitore affidabile, che è solo temporaneamente in difficoltà). Se tuttavia il merito di credito del debitore fosse strutturalmente peggiorato, una sospensione dei pagamenti prolungata avrebbe l’effetto di aumentare il rischio futuro in capo alla banca. In assenza di pagamenti periodici, inoltre, diventa più difficile per la banca monitorare la qualità creditizia delle esposizioni soggette a moratoria. Le rettifiche di valore su crediti potrebbero essere insufficienti e i redditi generati dalla banca – così come il valore dei prestiti in bilancio – potrebbero diventare non veritieri. Diventerebbe dunque difficile, sia per i supervisori, sia per gli investitori, misurare la qualità effettiva dei bilanci bancari. Con bilanci più opachi, sarebbe più costoso per le banche finanziarsi attraverso l’emissione di obbligazioni o nuove azioni. Con una raccolta più onerosa, l’offerta di credito potrebbe contrarsi. Inoltre, se la supervisione e l’azione di disciplina dei mercati diventano più difficoltose, aumentano gli incentivi per le banche (specie quelle più deboli) a comportamenti inadeguati, come quello di continuare a finanziare imprese non meritevoli a discapito di quelle migliori. Prolungare oltremodo le moratorie potrebbe pure favorire comportamenti opportunistici da parte dei debitori, anche quelli meritevoli: perché pagare, se posso non farlo per un po’? Infine, un prolungamento delle moratorie potrebbe aumentare il rischio di un effetto valanga quando dovessero cessare. Il rischio di sistema, fatalmente, aumenterebbe.

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Le notizie degli ultimi giorni confermano che la situazione pandemica rimane critica, e le prospettive di recupero incerte. Occorre tuttavia interrogarsi anche sull’efficacia delle misure previste. Ciò comporta un esame degli effetti indesiderati di ogni specifico meccanismo, una volta che sia chiaro il sistema complessivo degli aiuti.

Un’analisi siffatta è importante non tanto per accelerare la sospensione dei provvedimenti (dato il quadro incerto, prolungare il supporto parrebbe una scelta preferibile a quella di rimuoverlo troppo presto), quanto per calibrarle, magari in modo da sostituirne una con altre più efficaci. Per esempio, nel caso di aziende particolarmente meritevoli, misure di agevolazione dei pagamenti dei prestiti in essere (come nel caso delle moratorie) o di accesso al credito potrebbero essere accompagnate o sostituite da iniziative volte alla ricapitalizzazione, per guardare al futuro e investire nella loro capacità di crescere e di trasformarsi.

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  1. carmelo raimondo

    Un aspetto interessante (ed in parte distorsivo) della moratoria è che non si applica ai minibond indebolendo pertanto il processo di disintermediazione della provvista finanziaria e di affrancamento dal sistema bancario che si stava cercando di portare avanti in Italia (nell’interesse delle PMI ma anche delle banche)

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