Da settimane la Lega calcio rinvia la decisione sui diritti televisivi della Serie A per il prossimo triennio. Due le offerte, di Sky e Dazn. Quali effetti avrà la scelta finale sul futuro del calcio e di tutto il sistema dei media e delle comunicazioni?
Il contesto
Nel maggio del 2019 l’Antitrust italiana, a seguito della notifica di acquisizione del ramo d’azienda R2 (Mediaset Premium), impose a Sky un divieto temporaneo (tre anni) di stipulare nuovi contratti di acquisizione in esclusiva per i contenuti audiovisivi e i canali lineari per le piattaforme internet in Italia. L’intento era di garantire un’adeguata pressione competitiva nel mercato della pay tv, ormai completamente nelle mani della società milanese.
In pochi, e forse neanche la stessa Antitrust, pensarono che la decisione avrebbe potuto avere ripercussioni così rilevanti nello scenario competitivo della (pay) tv, rimasto immutato per decenni nel nostro paese.
La decisione dell’Autorità sembrava infatti in netto anticipo rispetto alla situazione di mercato, precorrendo scenari evolutivi già peraltro prefigurati su queste colonne, ma che apparivano ai più molto lontani. Invece, tutto si è trasformato in tempi rapidissimi, anche a causa dell’accelerazione impressa dall’emergenza Covid, attraverso l’esplosione dello streaming video e dunque il passaggio dell’offerta di film e serie (Netflix & co.) su internet, la crisi dello sport per la chiusura degli stadi e il blocco delle competizioni, che hanno portato in tutta Europa a una riduzione del valore dei diritti e all’ingresso di grandi operatori globali (Amazon su tutti) nell’offerta lineare via internet e soprattutto in quella sportiva (Champions League, Premier League).
Ancora una volta è il calcio, pur in una fase di crisi, l’acceleratore delle trasformazioni nei consumi e il volano per l’affermazione di nuovi modelli di business. Lo è stato per l’affermazione della tv a pagamento, all’inizio con Tele+ e Stream e poi con Sky, è successo per il digitale terrestre quando Mediaset ha concorso per l’acquisizione dei diritti televisivi lanciando l’offerta Premium e dando una svolta all’affermazione del digitale terrestre, e ora avviene con internet, che rappresenterà una vera e propria trasformazione di sistema, creando le condizioni per un cambiamento totale del paradigma con cui il business della pay tv si è per decenni sviluppato.
La stessa Sky ha di recente preso atto del mutato contesto competitivo e nel giugno del 2020 ha annunciato l’ingresso nell’offerta “triple play” (telefonia, contenuti e dati) utilizzando la rete in fibra di Open Fiber, a cui poi si è aggiunta la rete di Fastweb: di fatto è diventata diretto concorrente delle società di telecomunicazioni. Con le trasformazioni in atto e la conseguente saturazione del mercato satellitare, l’obiettivo di Sky era di trasferire sul broadband tutti gli abbonati broadcast, cercando di intercettare in prospettiva anche nuovi abbonati. Sky Wi-Fi era lo strumento prescelto per il passaggio in fibra degli oltre 4 milioni di abbonati satellitari. Assieme alle conseguenze dell’emergenza Covid-19, tutto ciò ha comportato un’accelerazione nei processi di abbandono (churn/cord cutting) delle costose offerte premium e quindi una perdita di abbonati, a vantaggio de quelle in streaming (Svod) dei concorrenti.
In questo modo, il processo di convergenza si è affermato anche in Italia, paese che non ha mai potuto avvalersi delle reti via cavo, e che ora, grazie a internet e allo sviluppo delle reti a ultra larga banda, è riuscito a mettersi al passo con le più avanzate realtà europee e internazionali. Sull’altro versante, quello delle Telco, si comprende finalmente, anche grazie alla mossa di Sky, come la concorrenza non sia più tanto sulla connettività, quanto sulla capacità di diventare gli abilitatori nella fruizione di contenuti e servizi digitali. Gli utenti hanno mostrato di recente di avere un appetito quasi insaziabile per contenuti esclusivi e di alta qualità e a ciò legano la motivazione ad abbonarsi. Unendo connettività ai servizi, nuovi attori come le Telco, possono ambire al ruolo di aggregatore, cioè unico abilitatore della fruizione di contenuti e servizi digitali nella “casa intelligente” dei prossimi anni.
La convergenza comporta dunque anche una concorrenza tra operatori provenienti da settori diversi, come Sky e Tim, con Sky che entra nel territorio di Tim come fornitore di servizi di telecomunicazioni, e Tim che rafforza la propria offerta di contenuti andando di fatto a insidiare il territorio di Sky.
Due offerte contrapposte
In questo mutato scenario si inserisce dunque la commercializzazione dei diritti audiovisivi per il Campionato di calcio di Serie A per il triennio 2021- 2024, dove, con il divieto di esclusiva internet per Sky, la competizione si sposta per la prima volta sull’online e non è più Sky e il satellite a farla da padrone, come era invece nelle precedenti aste.
Sono due infatti le offerte economiche che si contrappongono: una, con una cifra più alta, di Dazn, che conta su una partnership tecnologica e di distribuzione con Tim, che ammonta a 840 milioni di euro per l’esclusiva di 7 match di ogni turno e la condivisione su internet degli altri 3, presumibilmente con Sky. L’altra è quella di Sky, che mette sul piatto 750 milioni per tutte le partite con esclusiva sul satellite e digitale terrestre e la possibilità per la Lega di creare il proprio canale in streaming.
In questo modo e per la prima volta, si confrontano due offerte, con la seconda non più complementare a quella di Sky come in passato, nel rispetto della legge Melandri che vieta la proprietà di tutti i diritti a un unico acquirente, ma fortemente contrapposta e alternativa.
Per Sky, la perdita o il forte ridimensionamento nell’offerta della Serie A è una prospettiva da evitare. La pay tv è già stata costretta a condividere i diritti di Champions League per i prossimi 3 anni con Mediaset e Amazon, non può permettersi ora di perdere anche questa partita, pena il forte ridimensionamento del suo modello di business e un futuro molto più incerto.
Da qui l’importanza, e forse anche le difficoltà, per la Lega di prendere decisioni condivise da tutte le squadre su una questione così delicata e con conseguenze così dirompenti che travalicano lo stesso mondo del calcio.
In tutti i casi, e comunque vada a finire, appare evidente che siamo arrivati a un punto di svolta, in cui si afferma, come mai prima, la centralità dello streaming e delle reti a larga banda nella distribuzione e fruizione dei contenuti.
Anche qualora vincesse Sky, è vero che i divieti di esclusiva internet rischiano di ritardare il processo di trasformazione in atto e di costringere la società a riadattare la propria strategia nel tempo, ma saremmo pur sempre di fronte a un operatore che ha già fatto alcune scelte tecnologiche chiare: il suo posizionamento è sull’offerta ultra-broadband e non guarda più al satellite come centrale nella propria attività.
In definitiva, ciò che è già successo per il cinema e le serie tv ora si estende a tutto il mondo televisivo, evidenziando il ruolo centrale dell’infrastruttura nello sviluppo dei servizi digitali e on demand e il mutamento di paradigma che lo caratterizza, favorendo modelli sempre più evidenti di integrazione e convergenza. La vera partita dei diritti del calcio è soprattutto, anche se non solo, questa.
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