L’analisi empirica rigorosa migliora le politiche pubbliche e dunque rende il paese più ricco e più giusto. Un libro recente lo riafferma con esempi concreti. Ma su questo fronte l’Italia è in clamoroso ritardo. È arrivato il momento di recuperarlo.
Com’è cambiato il lavoro dell’economista
Il lavoro dell’economista è cambiato negli ultimi 30 anni. È diventato più concreto, pragmatico. Meno analisi sui grandi temi dell’umanità – stato e mercato, capitalismo e socialismo, lavoro e capitale – più attenzione ai “piccoli problemi”: qual è la formazione adatta affinché un disoccupato possa trovare lavoro? Quali misure aiutano lo sviluppo economico nei territori in ritardo? Si tratta di un’evoluzione che ha incardinato le analisi economiche nell’alveo del processo di policy making. Gli economisti sono ora in grado di aiutare il decisore pubblico nella scelta delle politiche, mostrando cosa funziona e cosa no e come disegnare programmi di intervento efficaci.
Figura 1
Fonte: webcomicname.com
L’offerta di evidenza empirica rigorosa è aumentata. Lo stesso però non è accaduto per la domanda. È enorme, forse pure cresciuta negli ultimi anni, la distanza tra i contenuti del dibattito di politica economica nei luoghi della politica e sui media e le conoscenze fondate su metodi scientifici. Forme di negazionismo economico inquinano il dibattito pubblico.
Anche noi economisti abbiamo la nostra bella fetta di responsabilità. Forse non ci siamo sufficientemente posti al servizio delle nostre comunità nel chiarire quali evidenze empiriche rigorose sostengano o invalidino le singole proposte di policy. O, magari, non siamo stati bravi a comunicare. Le nostre analisi sono intrise di elementi tecnici e questo ne ostacola la fruizione da parte del grande pubblico e dei decisori.
Il volume Evidence-based policy! Ovvero perché politiche pubbliche basate sull’evidenza empirica rendono migliore l’Italia vuole dare un contributo alla divulgazione del lavoro degli economisti.
Abbiamo individuato dieci ambiti in cui è possibile mostrare, con riferimento al caso italiano, esempi concreti dei benefici ottenibili dalle politiche basate sull’evidenza empirica e chiamato a raccolta alcuni tra i più bravi economisti italiani delle università e delle istituzioni. Gli ambiti sono: Istruzione, Salute e sanità, Trasporti, Decisioni politiche e scelte elettorali, Mercato del lavoro, famiglie e welfare, Imprese, Divari territoriali, Differenze di genere, Immigrazione e Ambiente.
I benefici per istruzione, sanità e imprese
Nell’analisi dell’Istruzione, ad esempio, si prende in esame la numerosità delle classi. Classi più piccole fanno sì che gli studenti conseguano risultati migliori? Si tratta di un aspetto su cui vi è un’ampia letteratura empirica, con risultati discordi tra i vari paesi. Per l’Italia si mostra come non vi sia alcuna evidente relazione negativa tra la dimensione delle classi e il rendimento scolastico. Ci si interroga poi sull’efficacia dei corsi di recupero universitari, che hanno lo scopo di fornire agli studenti meno attrezzati quelle conoscenze minime che permetteranno loro di affrontare i corsi. L’evidenza empirica in questo caso suggerisce che l’intervento determina importanti benefici: chi ha seguito un corso di recupero ottiene sia un maggior numero di crediti sia un più elevato voto medio agli esami (nei due anni successivi all’immatricolazione). La frequenza di questi corsi inoltre riduce significativamente la probabilità di abbandonare gli studi. Non si tratta tuttavia di una ricetta miracolosa: i vantaggi si conseguono solo per i corsi di recupero sufficientemente intensivi.
Nel contesto di Salute e sanità, per fare un altro esempio, si discute di come le regole del gioco (modalità di rimborso alle strutture, compartecipazioni al costo da parte dei cittadini) plasmino gli incentivi degli agenti e producano effetti sia in termini sanitari sia finanziari. Così, si mostra che il passaggio da schemi di rimborso basati sui costi sostenuti a quelli di tipo prospettico (per cui gli ospedali ricevono rimborsi fissi che sono legati alla categoria diagnostica dei pazienti) può spingere le strutture a aumentare selettivamente gli interventi più remunerativi, a scapito di quelli che lo sono di meno. Un altro aspetto di rilievo riguarda i ticket: l’evidenza italiana mostra che coloro che diventano esenti, per via del superamento della soglia dei 65 anni, aumentino di quasi il 50 per cento le visite specialistiche e gli esami diagnostici e del 20 per cento il consumo dei farmaci, senza che nel contempo si verifichi un peggioramento delle loro condizioni di salute generali o vi siano variazioni significative della probabilità di ospedalizzazione. Questi risultati suggeriscono che i ticket sono uno strumento efficace nel limitare la domanda, anche quella inappropriata. La spesa sanitaria è però per lo più concentrata tra le categorie esenti, riducendo quindi l’efficacia complessiva della misura nel limitare gli esborsi.
Un terzo e ultimo esempio riguarda la politica industriale. È un tema spesso affrontato sulla base di elementi di tipo ideologico. Nella parte dedicata alle Imprese si mostrano gli effetti economici dello sportello unico per le attività produttive. L’intervento, che ha impegnato il legislatore per oltre 12 anni e animato molteplici conflitti politici e giuridici sulle competenze di stato e regioni, alla fine, ha comportato una limitata riduzione degli oneri burocratici per le imprese e ha prodotto un incremento solo modesto del loro tasso di natalità. Il miglioramento è stato, peraltro, concentrato tra le ditte individuali, ovvero le imprese più marginali per potenziale di crescita. Un altro tema è quello delle garanzie pubbliche per l’accesso al credito. L’evidenza empirica, relativa al periodo pre-Covid, suggerisce che questi interventi sono ampiamente efficaci se si guarda al credito erogato dagli intermediari creditizi. Al tempo stesso, il collaterale pubblico ha impatti molto limitati sulla crescita delle imprese e aumenta in maniera significativa la probabilità che il credito non venga ripagato.
Le evidenze scientifiche consentono politiche migliori, rendono il paese più ricco e più giusto; un elettorato informato sugli effetti delle politiche compie scelte più lungimiranti.
Le misure previste dall’Unione europea determineranno nei mesi a venire una disponibilità finanziaria senza precedenti per i decisori pubblici centrali e locali. Spendere bene queste somme potrebbe dar luogo a una svolta decisiva per la traiettoria di crescita del nostro paese, in declino ormai da un quarto di secolo. Spendere male queste disponibilità – cioè con modalità di spesa che prescindono delle evidenze sugli effetti degli interventi – potrebbe condurci oltre il punto di non ritorno.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non investono la responsabilità delle organizzazioni di appartenenza.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Per gestire la pandemia, soprattutto in Italia, si è notata la mancanza tanto di teoria, quanto di pratica. Quelli che già erano asini a scuola (l’Italia non ha mai avuto teoria) si sono dimostrati anche pivelli in qualità di pierini. Siamo proprio il luogo della disorganizzazione e degli imbranati piazzati dal potente di turno. Le politiche pubbliche richiedono l’umiltà di immedesimarsi nei destinatari. Oggi, nel dibattito pubblico, a livello manageriale pubblico e privato, nella politica e nella p.a. non c’è nessuno in grado di garantire le migliori pratiche. Ci vuole più visione e meno compitini, ci vuole più manageriale e meno gestionale.
Mauro Frangi
Grazie del contributo. Condivido in modo molto convinto che se la scelta delle politiche pubbliche fosse basata sulle evidenze empiriche dei risultati che producono comparando costi e benefici, l’Italia sarebbe migliore (e anche il bilancio pubblico). Uno di questi casi di successo molto sottovalutati è rappresentato dalla Legge Marcora che dal 1985 sostiene i lavoratori che fanno ripartire aziende in crisi.
Se gli autori e il sito lo ritengono opportuno potremmo fornire in un articolo evidenze e documentazione al riguardo, contribuendo a un dibattito quanto mai attuale in una fase come quella che stiamo attraversando che, presumibilmente, vedrà la crisi di molte PMI
Mauro Vanni
Nel mio lavoro quotidiano con la PA, verifico costantemente come In Italia ci sia un’eccesso di politica e una triste carenza di politiche guidate dai dati. Recentemente, nell’ambito di un’analisi di valutazione condotta per un progetto europeo di trasformazione digitale, amministratori e funzionari pubblici di un importante cluster turistico, hanno candidamente confessato di decidere “a sensazione” (!).
Sergio Ascari
Grazie, condivido in pieno. Una piccola rivincita per chi ha sempre praticato la ricerca empirica, finendo per rinunciare alla carriera accademica dato che, 30 anni fa, chi faceva soprattutto ricerca empirica era considerato di serie B. A posteriori, non ho rimpianti.
Giuseppe GB Cattaneo
Condivido l’assunto che la ricerca empirica (che non è la ricerca scientifica) sia necessaria – essenziale – anche in economia, ma rilevo che gli esempi riportati sono poco significativi proprio dal punto di vista empirico e mi sembrano ancora intrisi di ideologismo