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Tre riforme per portare l’Italia a livelli europei

Produttività, reddito e occupazione ristagnano in Italia da tempo. Per avvicinarci alle economie europee dovremmo realizzare riforme complessive e non limitarci a quella del fisco, che però è la meno costosa. Lo confermano i risultati di una simulazione.

Un esercizio su tre riforme necessarie

Nei prossimi anni l’Italia dovrebbe affrontare tre problemi chiave: il fisco, la produttività e l’elasticità dell’economia.

Il fisco italiano è inutilmente complicato, non fornisce incentivi virtuosi e non tutela in modo efficiente le famiglie a basso reddito. Per elasticità intendiamo la capacità del sistema economico di rispondere agli incentivi creando lavoro e reddito. Produttività, reddito e occupazione ristagnano da decenni.

Abbiamo provato a valutare gli effetti di tre ipotetiche riforme centrate su questi temi. Lo strumento di analisi usato è un modello di simulazione che tiene conto della risposta di lavoratori e imprese a nuovi scenari indotti da riforme del fisco e da un aumento della produttività e della elasticità (per maggiori dettagli si veda questo paper).

Sul fisco, ci limitiamo alle imposte sul reddito personale. Il modello permette di individuare il sistema fiscale ottimale, quello che rende massimo il benessere sociale: un indice che tiene conto del reddito, del tempo a disposizione, delle caratteristiche socio-demografiche delle famiglie e di come il benessere è distribuito tra le famiglie. La base imponibile – per semplicità – è l’intero reddito familiare. La ricerca del fisco ottimale avviene in un insieme che ammette la possibilità di sistemi molto diversi: piatti, progressivi, regressivi e così via.

Il sistema che emerge come ottimale è caratterizzato da un reddito di base universale e incondizionato e da un profilo delle aliquote marginali piuttosto piatto (esemplificato nella figura 1). È un sistema semplice e trasparente, più adeguato di quello attuale, anche se è possibile immaginare sistemi ancora migliori o che rispondono a criteri di valutazione diversi. Le caratteristiche principali sono riportate nella tabella 1.

Quanto alla produttività, immaginiamo un aumento (permanente) del 10 per cento, con un conseguente analogo aumento dei salari. Anche se il problema riguarda forse la produttività di sistema, più che la produttività del lavoro, un miglioramento di quest’ultima si tradurrebbe anche in un aumento dei salari. L’aumento della produttività richiede di superare il “nanismo” della struttura industriale, diffondere la digitalizzazione, adeguare il sistema educativo sia alle nuove tecnologie sia alla universalità e flessibilità dei saperi, incentivare l’investimento in capitale umano e rafforzare la relazione tra incentivi e produttività.

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Il tema dell’elasticità lo riduciamo a un solo parametro: l’elasticità della domanda di lavoro. Ad esempio, se l’elasticità è uguale ad 1, vuol dire che le imprese sono disposte ad aumentare l’occupazione dell’1 per cento a condizione che il salario diminuisca dell’1 per cento. Questo accade perché ci sono altri costi (fiscali, burocratici, organizzativi, per esempio) legati all’aumento dell’occupazione, che sono difficilmente comprimibili da parte delle imprese: la condizione per aumentare l’occupazione si traduce allora in una diminuzione del salario. Anche il salario, tuttavia, non è facilmente comprimibile, e perciò alla fine l’aumento dell’occupazione è molto limitato.

Una elasticità ridotta si traduce in una ridotta possibilità di aumento dell’occupazione. Al contrario, una elasticità elevata segnala che è possibile aumentare l’occupazione senza riduzioni significative del salario. L’elasticità di lungo periodo in Italia la si assume intorno all’1 per cento. Nelle simulazioni di pacchetti che comprendono l’aumento della elasticità, assumeremo invece che si possa arrivare a una elasticità perfetta – che cioè non implichi diminuzioni di salario – grazie a una riduzione dei costi fiscali, burocratici e organizzativi legati agli aumenti di occupazione. L’elasticità può crescere se migliorano le istituzioni che governano i mercati o altri aspetti del sistema fiscale e del sistema regolatorio.

I risultati

La tabella 1 considera tutte le possibili combinazioni di riforme e alcuni dei loro effetti. La riforma fiscale, l’aumento della produttività e l’aumento dell’elasticità sono indicate rispettivamente da F, P ed E. Nelle ultime due colonne della tabella 1 sono riportati il reddito di base (mensile) e il reddito esente annuale (quest’ultimo può essere interpretato come una misura di progressività). Il sistema fiscale ottimale cambia a seconda di quali riforme sono messe in atto. La sola riforma fiscale (la prima riga della tabella 1) garantisce un reddito di base annuale pari a 3348 euro, un reddito esente pari a 9300 euro e richiede una aliquota marginale del 36,6 per cento. Se oltre a quella fiscale sono realizzate anche le riforme che fanno aumentare la produttività e l’elasticità della domanda di lavoro, possiamo permetterci redditi di base e redditi esenti più generosi (rispettivamente 4116 e 17150 euro) pagando una aliquota marginale inferiore (24 per cento).

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Se si volesse fare una sola riforma, la più efficace sarebbe la E (elasticità); la meno efficace, la F (fisco). Quest’ultima, grazie al reddito di base, ottiene una riduzione della povertà, ma da sola – a causa della bassa elasticità e della bassa produttività – ha un effetto positivo modesto sul benessere e variazioni negative (anche se poco significative) sull’occupazione e sul reddito. Bisogna tuttavia aggiungere che il reddito di base e gli incentivi migliori insiti nel nuovo sistema fiscale nel lungo periodo potrebbero generare – tramite le scelte educative e occupazionali –benefici dei quali il nostro modello non può tenere conto.

È interessante confrontare gli effetti del pacchetto P+E e quelli del pacchetto F+P+E. Il primo porta a un aumento del 48 per cento del reddito disponibile. Con il pacchetto più impegnativo (F+P+E) l’aumento è del 49 per cento. La povertà diminuisce rispettivamente dell’82 e dell’85 per cento. In ogni caso, un “upgrade” che nel lungo periodo avvicina l’Italia alle economie europee di maggior successo. Probabilmente le riforme volte ad aumentare produttività ed elasticità meriterebbero un’attenzione almeno uguale quella che viene dedicata alla riforma del fisco. Quest’ultima costa poco, mentre le riforme P ed E sono costose: sarebbe interessante sviluppare una analisi delle possibili realizzazioni alternative delle riforme P o E e dei rispettivi costi.

Figura 1 – Sistema fiscale “ottimale”.

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  1. Savino

    Base imponibile nello stock di patrimonio; basta parlare di pensioni e dei pensionati garantiti e più flessibilità nell’età lavorativa; basta distinzione tra lavoratori garantiti e non garantiti; politiche attive del lavoro più concrete.

  2. Firmin

    L’esercizio è suggestivo e mostra che l’unica riforma veramente efficace sarebbe un aumento della produttività senza perdita (o con un aumento) di occupazione. Con un simile impulso alla crescita il fisco conterebbe relativamente poco. E questo è un buon motivo per non occuparsene troppo. La domanda è: come si realizza un miracolo simile? Ovvero: chi assorbirebbe la maggiore produzione? Mi pare evidente che la domanda estera non può essere così elastica e persistente, se non altro perché gli altri paesi non starebbero a guardare. Resta la domanda interna, sostenuta dai maggiori salari, che assorbirebbero tutto l’aumento di produttività. Ma allora i margini di profitto non aumenterebbero e quindi nessun imprenditore avrebbe interesse ad espandere la produzione nel nostro paese, a meno di ipotizzare l’avvio di un analogo processo di riduzione dei profitti in tutto il mondo. Mi sembra uno scenario improbabile.

    • ugo colombino

      In base al suo ragionamento nessun aumento di produzione sarebbe mai possibile. Invece accade, grazie al progresso tecnico-organizzativo.

  3. Mario Paternò

    Buongiorno Professore, cosa intende qunado parla di “adeguare il sistema educativo sia alle nuove tecnologie sia alla universalità e flessibilità dei saperi”?

    • ugo colombino

      Innovare conteniti e metodi di insegnamento in base ai nuovi strumenti: Informatica, analisi dei dati, visualizzazione ecc.

  4. gianpaolo

    Buonasera Professore, ma chi finanzia il reddito di base universale? Quando costerebbe per darlo a 60.000.000 di italiani? Un reddito di base di 3000 o 4000 euro a famiglia copre a malapena le spese di affitto. Non è chiaro il concetto di aumentare l’occupazione riducendo il salario. Pensa ad un salario medio molto simile per tutti? E’ possibile mantenere sanità, pensioni, scuola ed un reddito di base universale? Grazie. Gianpaolo Tessari

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