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Così l’invecchiamento abbassa i tassi di interesse

L’invecchiamento della popolazione spinge al ribasso i tassi di interesse reali. La crescente scarsità della forza lavoro riduce infatti la domanda di investimenti, mentre l’allungamento dell’aspettativa di vita porta le famiglie a risparmiare di più.

Due fenomeni paralleli

La maggior parte delle economie avanzate è da decenni su un sentiero difficilmente deviabile di decrescita dei tassi di natalità e mortalità, un fenomeno di lungo periodo che la pandemia non ha arrestato, come l’Istat ha recentemente chiarito per l’Italia. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite (che tengono conto di possibili flussi netti di immigrazione), nell’area dell’euro per 10 persone in età lavorativa (tra i 15 e 64 anni) ci saranno oltre 4 persone di età superiore ai 65 già nel 2030, per salire a oltre 5 su 10 nel 2050, rispetto a una proporzione di circa 2 su 10 negli anni Ottanta. L’andamento è in linea con quello dei paesi più sviluppati nel loro insieme (figura 1).

L’invecchiamento della popolazione registrato dagli anni Ottanta si è accompagnato al più marcato calo del trend globale dei tassi di interesse reali (ovvero i tassi nominali al netto dell’inflazione) degli ultimi 150 anni, come stimato da Marco Del Negro, Domenico Giannone, Marc Giannoni e Andrea Tambalotti (figura 2).

Figura 2 – Trend globale dei tassi di interesse reali, 1870-2016.

Fonte: stime di base in Del Negro et al. (2019)

Il co-movimento non è casuale. L’invecchiamento della popolazione può infatti spiegare la diminuzione dei tassi di interesse reali, il “prezzo” che mette in equilibrio domanda e offerta di risparmio, per due ragioni principali. Da un lato, l’allungamento dell’aspettativa di vita spinge le famiglie a risparmiare di più per sostenere il consumo per un periodo più esteso. Dall’altro, la crescente scarsità della forza lavoro induce le imprese a domandare meno risparmi per l’accumulazione di capitale produttivo. Queste ragioni trovano generalmente supporto scientifico nel loro effetto totale (vedi per esempio gli studi di David Bloom, David Cunning e Bryan Graham o di Junji Kageyama su longevità e risparmio; di Robert Chirinko su come capitale e lavoro siano complementari nella produzione) se pur con spazi di fallibilità (ad esempio, Cormac O’Dea e David Sturrock trovano che alcuni individui sottostimano la probabilità di rimanere in vita in tarda età; Daron Acemoglu e Pascual Restrepo concludono che minor forza lavoro è associata a maggior automazione industriale).

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Sfruttando dati e proiezioni demografiche in un modello teorico che cattura effetti comportamentali in base all’età, in un recente studio quantifico che l’invecchiamento della popolazione possa spiegare una diminuzione permanente del tasso di interesse reale coerente con la piena occupazione nell’area dell’euro di circa un punto percentuale rispetto agli anni Ottanta, a conferma di studi più empirici sul tema (come il lavoro di Giuseppe Ferrero, Marco Gross e Stefano Neri). L’allungamento dell’aspettativa di vita (“mortality”) sarebbe più importante della riduzione delle nascite (“fertility”) nel determinare il risultato. Il permanere su bassi livelli della crescita della produttività totale dei fattori (“TFP”), più difficilmente prevedibile della demografia, porterebbe a una flessione aggiuntiva del tasso di interesse reale di equilibrio di circa 0,5 punti percentuali (figura 3).

Con una politica monetaria impegnata a mantenere l’inflazione a livello basso, la dinamica potrebbe significare che i tassi di interesse reali effettivi non riescono a scendere in misura sufficiente a stimolare gli investimenti e a ristabilire la piena occupazione.

È bene dunque capire quali elementi potrebbero mitigare l’impatto negativo dell’invecchiamento della popolazione sul tasso di interesse reale di equilibrio. Da un punto di vista teorico, si tratta di qualsiasi cambiamento che possa ridurre la scarsità relativa del fattore lavoro rispetto al capitale.

L’influenza delle politiche pubbliche

Vi sono cambiamenti che sono verosimilmente esogeni e poco influenzabili da politiche pubbliche, come le possibili variazioni nei criteri soggettivi di propensione al risparmio associati all’allungamento dell’aspettativa di vita. Altri possono invece essere innescati dalle politiche pubbliche – in assenza delle quali i tassi di interesse reali sarebbero probabilmente scesi ancor di più negli ultimi decenni (come evidenziato da Lukasz Rachel e Lawrence Summers).

Tra le politiche che più influenzano l’offerta di risparmio rientrano quelle collegate ai sistemi pensionistici. Qualora mantenessero la stessa generosità odierna con una quota crescente di pensionati, vi sarebbero trasferimenti intergenerazionali che tenderebbero a “spiazzare” il risparmio privato. Charles Goodhart e Manoj Pradhan si spingono fino a speculare che il crescente ruolo di trasferimenti di questo tipo potrebbe essere tra le principali cause di una “grande inversione” verso il rialzo dei tassi di interesse reali nei prossimi anni.

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Tra le politiche che invece tendono ad agire più sulla domanda di risparmio, nella Ue vi sono oggi quelle collegate al Next Generation EU e al 2021-27 Multiannual Financial Framework.

Di fronte all’invecchiamento della popolazione, in primo luogo, potrebbero sostenere gli investimenti favorendo l’impiego di tecnologie digitali e di automazione laddove più mancasse la forza lavoro. In secondo luogo, potrebbero fungere da volano per sopperire alla scarsità di strumenti di risparmio a livello europeo adeguatamente “safe” per la stabilità dei sistemi pensionistici e assicurativi (una necessità che ha mosso varie proposte di riforma, per esempio quella di Massimo Amato, Everardo Belloni, Paolo Falbo e Lucio Gobbi).

In effetti, come già notava Mario Draghi anni fa, in una situazione in cui sempre più risparmi vanno a caccia di sempre meno investimenti per motivi strutturali come quelli demografici, il modo più salutare per rialzare i tassi di interesse reali è attraverso aumenti della domanda di capitale. È per questo che iniziative pubbliche atte a offrire opportunità di impiego alla sovrabbondanza di risparmio, e così stimolare investimenti privati, sono oggi così importanti.

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  1. Belzebu'

    Cosa sarebbe variato nell’economia del nostro paese, se il costo della macchina pubblica, con la generalità di tutti gli addetti stipendiati (Covid o non Covid), avesse subito una naturale % di detrazione corrispondente alla inattività o mancata produttività?
    Credo, per comparazione con segmenti esclusivamente produttivi, non esista posto pubblico che possa giustificare stipendi superiori a Euro 30.000,00/annui.
    Unico caso da estrapolare, poichè simbolico, lo stipendio del Presidente della Repubblica da rapportare totalmente, dignitosamente, a quello egli Stati Uniti.

    • Impiegato pubblico diabolico

      Caro Belzebù una domanda. Gli stipendi da 8 milioni di euro l’anno a Donnarumma e calciatori sono più giustificabili di stipendi pubblici da 30.000 euro? E i notai? Concordo che alcuni impiegati pubblici meritano poco per quello che fanno. Se fanno da 10ma euro e sono pagati 30mila, 30ml sono sprecati. Come sprecati con i progetti fatti dai politici, con modifiche in corso d’opera che costano l’equivalente di 3.000 impiegati pubblici.

      • Belzebu'

        Non so chi sia Donnarumma e non mi interessa perchè non lo pago io.
        Il notaio è vero ha privilegi pubblici come i medici della sanità pubblica costruita per loro, piena di sperperi e ruberie. Si specializzano a spese del cittadino a differenza di altre professioni, non meno importanti, con formazione a carico individuale.
        Mi interessa tagliare la spesa pubblica poiche’ conosco alcuni settori, purtroppo.
        Un esercito di laureati senza formazione e tirocinio professionale, inadeguati e incompetenti, assunti con selezione politica corrotti e corruttibili nel becero sistema statalista comunista che siamo obbligati a pagare e mantenere.
        Provi ad aprire una partita iva.

  2. Roberto Coiutti

    Apprezzabile lo sforzo sul ripensare le politiche pubbliche ma temo che la forza della demografia sia troppo forte: c’è una forte asimmetria tra i tassi reali degli anni ottanta e quelli attuali perché negli anni ottanta i baby boomers entravano sul mercato del lavoro o formavano la famiglia comprando case e auto, ora si stanno ritirando dal lavoro e quindi i consumi e gli investimenti languono.
    Inoltre negli anni ottanta i mercati dei capitali erano nazionali per cui c’era carenza di offerta mentre ora i mercati sono internazionali e la moneta che stampa una banca centrale può finire su mercati non domestici.
    Quindi ci vorrà tempo prima di ritornare al range di equilibrio 1-2% che è durato per quasi un secolo.

  3. neri

    ovunque si legge che aumentano i risparmi………… di grazia quando specificate CHI ci riesce?
    magari è la solita minoranza di statali ipergarantiti e pensionati doc……..?
    resto……alla canna del gas

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