I lavoratori dello spettacolo sono tra i più colpiti dalla crisi da Covid. I bonus messi in campo finora rappresentano un sollievo momentaneo ma per il futuro servono riforme in materia di lavoro e previdenza, che tengano conto delle peculiarità.
La pandemia ha colpito duramente il mondo del lavoro, mettendo in evidenza carenze strutturali, in particolare in alcune settori. Tra questi, quello delle arti e dello spettacolo, che nel primo trimestre 2020 ha registrato il più forte calo delle ore lavorate (-14,9 per cento), dietro a quello del settore turistico (-26 per cento).
L’ulteriore bonus di 2.400 euro in arrivo per i lavoratori dello spettacolo rappresenterà un sollievo per molti lavoratori, ma per il futuro servono riforme. L’indagine condotta dalle commissioni Cultura e Lavoro della Camera dei Deputati mostra chiaramente il perché, al di là di facili retoriche sul valore intrinseco dell’arte e della cultura. Un dato su tutti: gli attuali requisiti minimi per accedere alla pensione hanno fatto sì che nel tempo si sia accumulato un “tesoretto” che non è stato liquidato ai lavoratori dello spettacolo. Concretamente, nel biennio 2016-2017 il Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo (Fpls) ha registrato un avanzo di 754 milioni di euro, un ammontare ben superiore agli stessi stanziamenti del Fondo unico dello spettacolo (Fus, 680 milioni di euro). In totale, l’Inps stima che, in meno di due decenni, siano state drenate dal settore dello spettacolo, per spostarle verso altri comparti economici, oltre 4,8 miliardi di euro.
Le peculiarità e i nodi del settore
L’indagine delinea inoltre il profilo occupazionale di questi lavoratori che rendono necessaria una revisione della legislazione in materia di lavoro e previdenza. Evidenziamo qui tre principali peculiarità.
Primo: si tratta di un lavoro strutturalmente intermittente, che alterna periodi di occupazione a periodi di disoccupazione e mobilità tra settori (per esempio l’insegnamento), come suggeriscono i giorni di lavoro e le ore retribuite (194 giorni e 399 ore, per i lavoratori dipendenti dello spettacolo), notevolmente al di sotto dei valori medi per il totale dei lavoratori dipendenti del settore privato (365 giorni e 1.252 ore).
Secondo: come conseguenza del primo punto, si stima che gran parte dei lavoratori di questo comparto siano autonomi, in virtù della flessibilità che il regime di autonomia garantisce e che allo stesso tempo si traduce spesso in incertezza lavorativa e precariato. Secondo i dati della Fondazione Di Vittorio, il 52 per cento si definisce “lavoratore autonomo”.
Terzo: la prestazione di questi lavoratori, anche se di brevissima durata, è considerata una prestazione giornaliera ai fini contributivi e assicurativi. In realtà, la prestazione artistica, ancorché resa in un breve intervallo di tempo, richiede tempi di formazione e preparazione che in genere sono più lunghi rispetto alla durata della performance riferita alla singola prestazione.
Proposte in materia di welfare
Per affrontare la precarietà strutturale che spesso impedisce l’acquisizione del diritto al trattamento pensionistico da parte dei lavoratori del settore perché non riescono a conseguire l’anzianità assicurativa minima, una prospettiva di riforma individuata dall’indagine risiede nella riduzione del requisito minimo di giornate lavorative nell’anno, che nel 2007 sono passate da 60 a 120. Una misura del genere potrebbe per altro disincentivare quei fenomeni di lavoro nero alimentati dalla reciproca convenienza del datore di lavoro e del lavoratore, e fondati sulla convinzione che, per le attuali regole, l’assicurazione pensionistica obbligatoria non produca alcun ritorno in termini di prestazioni, limitandosi a costituire esclusivamente un onere finanziario.
Più in generale, nonostante non vi sia traccia nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di riforme in materia di lavoro culturale, una riforma strutturale strettamente collegata alla discussione in corso sulla riforma degli ammortizzatori sociali pare non più rinviabile e sono apprezzabili le promesse del presidente della commissione Cultura del Senato di pervenire, entro fine maggio, a una proposta consolidata a partire dai tre disegni di legge sui lavoratori della cultura depositati al Senato negli ultimi mesi e quella del ministro della Cultura Franceschini di integrare una sintesi delle varie proposte nella legge delega sullo spettacolo di prossima emanazione, su cui sta lavorando insieme al ministro del Lavoro Orlando.
Resta da capire fino a che punto il mondo dello spettacolo sia coeso sul tema, data l’elevata frammentarietà di un comparto che include pochi grandi enti interamente (o quasi) finanziati dal pubblico e piccole organizzazioni che stanno sul mercato. Le riforme rischiano infatti di essere insostenibili per molte di queste ultime, mettendole fuori mercato. Viene da chiedersi chi potrebbe verosimilmente adeguarsi alle nuove normative: chi si omologa a un’offerta mainstream o piuttosto chi prova a diversificare e a innovare? Uno studio di scenario aggiungerebbe un tassello importante al quadro conoscitivo del comparto e dei possibili effetti delle riforme proposte.
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