Per la prima volta, sono stati pubblicati i dati sui redditi delle città corrispondenti ai vari codici di avviamento postale. I risultati sono interessanti. E possono aiutare le amministrazioni a monitorare l’andamento delle disuguaglianze territoriali.

Redditi suddivisi per Cap

Per la prima volta, quest’anno l’Agenzia delle entrate ha pubblicato i dati sui redditi delle città per le aree territoriali corrispondenti ai codici di avviamento postale (Cap) in cui ognuna è suddivisa.

Le nuove informazioni si riferiscono ai soli redditi assoggettati a Irpef percepiti nel 2019 e dichiarati nel 2020 (sono quindi esclusi quelli tassati con imposte sostitutive). Naturalmente, in ogni città, i confini dei Cap sono stati disegnati per rendere più economico ed efficiente l’espletamento del servizio postale, a prescindere dai redditi degli abitanti che vi risiedono; in più i confini dei Cap, istituiti in Italia nel 1967, restano sostanzialmente stabili: possono variare o ne possono essere introdotti di nuovi se nasce una nuova provincia.

Le disparità crescono con la dimensione delle città

A questo livello di dettaglio territoriale, la mappa della distribuzione dei redditi presenta un certo cromatismo, che diventa più accentuato con il crescere della dimensione della città: la divergenza dei redditi medi dei singoli Cap dall’importo medio cittadino è dipendente dal loro numero. Il reddito medio è calcolato, per ogni area e a livello cittadino, come rapporto tra la somma dei redditi complessivi dichiarati e numero di contribuenti. Il grafico 1 evidenzia che il coefficiente di variazione dei redditi medi delle diverse aree cresce con il numero di Cap: l’indice di correlazione tra i due parametri è 0,72 (in caso di massima correlazione l’indicatore è 1).

La stessa figura 1 ne fornisce un’ulteriore conferma: l’indice di correlazione del numero dei Cap e il rapporto tra il reddito medio della zona più ricca di ogni città e quello della sua area più povera è 0,8. Nelle sei città divise in due soli codici e nelle due che ne hanno tre, le differenze tra i redditi medi dei Cap con gli importi massimi e quelli dei Cap con gli importi minimi non superano il 20 per cento. Sono tutte città piccole e medie; verosimilmente, anche lì, da una mappatura più minuta del territorio, emergerebbero differenze di reddito più marcate, che risultano appianate alla scala territoriale dei Cap.

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Nelle città più grandi è più probabile che si formino aree, anche sufficientemente estese da essere delimitate da un proprio codice, con concentrazioni di popolazione con redditi medi che si discostano dal valore medio cittadino. La disparità può essere anche rilevante: a Milano i contribuenti residenti nella zona più ricca dichiarano un reddito 5,2 volte quello dei contribuenti che vivono nella zona più povera. La divergenza è notevole anche a Roma, Napoli e Torino, le tre altre città italiane più popolose.

Gli scaglioni e le fonti di reddito

L’ampiezza della forbice del reddito medio tra il Cap più ricco e quello più povero è determinata principalmente dalla diversa distribuzione, in ogni area, dei contribuenti per scaglioni e per fonti di reddito, due caratteristiche tra loro fortemente intrecciate.

In tutte le città che hanno più di quattro codici, l’incidenza, sul totale di ogni area, nei Cap più ricchi della somma dei redditi da lavoro dipendente e pensione è più elevata che in quelli più poveri: a Trieste la differenza è di 3,7 punti percentuali, ma a Milano arriva a 36. Poiché i due raggruppamenti per fonti di reddito sono complementari, il profilo di questa differenza cambia solo di segno se riferito alla somma dei redditi da lavoro e pensione (figura 2).

Ovviamente, le aree più ricche si distinguono dalle più povere anche per il maggior peso, su quello totale di ogni area, del numero e del reddito dei contribuenti appartenenti agli scaglioni di imponibile più elevati e per una minore incidenza di quelli con i redditi più bassi (figura 3). Nei Cap con il più basso reddito medio, la percentuale di contribuenti con imponibile fino a 26 mila euro oscilla tra il 66 per cento di Bergamo e l’89 per cento di Catania; in quelli con il reddito medio più elevato, le due percentuali variano dal 44 per cento di Genova al 72 per cento di Rimini. Al polo opposto della scala dei redditi, il quadro è speculare: nelle aree più ricche, il numero di contribuenti con un reddito di almeno 75 mila euro varia tra il 3,9 per cento (Rimini) e il 26,4 per cento (Milano) del totale; nei quadranti più poveri solo a Trieste la percentuale arriva al 3 per cento. Sul divario tra Cap ricchi e poveri, oltre alla diversa incidenza dei contribuenti dello scaglione di reddito più elevato, influisce anche il fatto che, eccetto che in tre casi, i contribuenti ricchi dei Cap con reddito medio più elevato sono più ricchi di quelli che risiedono nei Cap poveri.

Nelle mappe cittadine, le aree con i redditi medi più elevati sono quelle più ricercate: zone collinari e residenziali pregiate o frutto dei processi di gentrificazione, che nei centri storici hanno portato alla prevalenza dei ceti benestanti su quelli popolari. Le periferie sono, prevalentemente, le zone a maggiore concentrazione dei contribuenti con i redditi più bassi.

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Nei prossimi anni, la formazione di una serie storica dei redditi ai livelli territoriali corrispondenti ai Cap può aiutare le amministrazioni comunali a monitorare l’andamento delle disuguaglianze territoriali e anche a valutare l’efficacia delle eventuali politiche promosse per ridurle. Intanto, se a questa mappa dei redditi fossero sovrapposti i risultati delle più recenti elezioni, si avrebbe una conferma dello spostamento, in alcune grandi città, del tradizionale baricentro sociale ed economico di alcune forze politiche. Le loro posizioni attraggono infatti l’elettorato benestante dei centri e delle zone di pregio ad alto reddito delle città più che non quello delle periferie, che storicamente erano le aree della loro più radicata presenza.

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