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Ita decolla male

La soluzione trovata per Alitalia ha ottenuto l’avvallo della Commissione europea. Sotto il profilo economico si possono fare varie critiche al piano. Ma i problemi più seri nascono dalle norme che regolano il passaggio dalla vecchia alla nuova compagnia.

Le critiche dal punto di vista economico

Il 15 luglio il governo italiano ha comunicato che la Commissione europea avrebbe dato un sostanziale via libera all’avvio delle attività di Ita, la nuova azienda a capitale interamente pubblico istituita per succedere ad Alitalia, grazie all’accordo raggiunto sulle caratteristiche della nuova compagnia.

Il nuovo vettore decollerebbe pertanto il 15 ottobre con soli 52 aerei, di cui appena 7 di lungo raggio, meno della metà dei 115 velivoli totali che volavano nella flotta dei commissari straordinari alla fine del 2019. Date le sue ridotte dimensioni Ita rinuncerebbe al 57 per cento degli slot di Alitalia su Fiumicino, al 15 per cento di quelli su Linate e a quasi 8 mila dipendenti su poco meno di 11 mila attuali. Il nuovo vettore acquisirebbe solo una parte del ramo aviation, mentre il ramo d’azienda delle manutenzioni e quello dell’handling sarebbero oggetto di vendita separata da parte dei commissari. Anche il marchio Alitalia e la connessa sigla AZ non transiterebbero automaticamente al nuovo vettore, ma verrebbero messi all’asta.

Molte critiche possono essere formulate dal punto di vista economico a questa soluzione, peraltro quasi tutte già ripetutamente illustrate. Mi limito a riassumere le principali sotto forma di due domande.

La prima domanda: come è possibile che, in un mercato come quello del trasporto aereo che nel quinquennio pre-Covid è cresciuto in Italia di più del Pil cinese, vi siano esuberi pari ai tre quarti del personale dell’unica azienda nazionale rimasta di rilevanti dimensioni? La seconda: come è possibile che dei circa mille aerei impegnati full time pre-Covid a coprire i cieli italiani, oltre l’85 per cento appartenesse a vettori esteri? Ora, con Ita, la quota è destinata a salire al 92 per cento e, senza Ita – qualora dovesse fallire anch’essa – ad avvicinarsi al 100 per cento. Possibile che non siamo in grado di tenere in volo un solo vettore nazionale di discrete dimensioni?

Questi numeri non sono da fallimento aziendale e neppure da fallimento di settore, che è in realtà florido, sono numeri da fallimento del paese. L’Italia può permettersi di rinunciare a produrre in un intero settore, quello del trasporto aereo, affidandosi quasi totalmente alla produzione di vettori esteri? È evidente che non può trattarsi di una soluzione che sia plausibile estendere a una molteplicità di settori produttivi. Se non siamo capaci di produrre, dobbiamo diventarlo, non possiamo accontentarci del ruolo di meri consumatori.

Qualcuno potrà sostenere che l’analisi precedente sia pessimista, dato che la nuova azienda ha dichiarato di voler crescere nel tempo rispetto alle limitate dimensioni con cui partirebbe nel prossimo autunno. Ma non appaiono intenti plausibili, non è così che funzionano le strategie aziendali. L’offerta deve precedere e non seguire la dinamica della domanda, dunque la ripresa post-Covid, altrimenti saranno i concorrenti a soddisfarla. Gli spazi lasciati libero al decollo di Ita non resteranno liberi, ma saranno rapidamente e stabilmente occupati dai concorrenti low cost. E certo non saranno restituiti a Ita quando vorrà crescere di dimensioni. L’incremento di offerta sui cieli italiani annunciato dai principali operatori low cost già per i mesi estivi è la dimostrazione più evidente di questo dato di fatto.

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Il pasticcio normativo

Ma al di là di quelle economiche, vi sono anche rilevanti criticità giuridiche, facilmente rinvenibili nelle norme ad hoc che regolano il passaggio da Alitalia a Ita incluse nel decreto legge n. 99 del 30 giugno.

Dalla loro lettura complessiva se ne possono desumere due principi generatori: il primo è che tutti sono eguali davanti alla legge, ma Ita è molto più uguale; il secondo, corollario del primo, è che l’attuale gestione pubblica di Alitalia in amministrazione straordinaria diventa, con le nuove norme, uno strumento esclusivo per la realizzazione dei piani di Ita, a essa completamente subordinata. Ma il fatto che l’attuale Alitalia sia oggetto di una gestione pubblica e che anche Ita sia pubblica non giustifica in alcun modo il corto circuito normativo: i commissari di Alitalia sono venditori dei suoi asset e Ita non è che un potenziale compratore, dunque una controparte, contrapposta e con interessi divergenti rispetto all’amministrazione straordinaria. Il fatto che la Commissione europea autorizzi Ita a comprarsi una parte di Alitalia, anche a trattativa diretta, non implica ovviamente che i commissari di Alitalia siano obbligati a vendere quei pezzi. Potrebbero avere alternative migliori, relative a offerenti migliori, disponibili a pagare di più o a comprarsi un perimetro aziendale più ampio. È vero che in oltre quattro anni l’amministrazione straordinaria ha emanato diversi bandi di vendita, nessuno dei quali ha avuto buon fine. Tuttavia, si può avere qualche dubbio sul fatto che la ricerca sia stata effettuata con la massima diligenza. Almeno un soggetto che era seriamente interessato ad acquistare l’intera azienda, senza tagli né esuberi – il fondo americano Cerberus – non ha trovato una grande accoglienza e senza informazioni chiave per poter formulare un’offerta vincolante si è dovuto ritirare all’inizio del 2018. Il diritto delle crisi d’impresa chiede ai commissari di tutelare primariamente i diritti dei titolari di crediti incagliati nell’insolvenza, realizzando il più possibile dalla cessione degli asset aziendali – i quali, continuando a funzionare e produrre nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, dovrebbero valere complessivamente di più della somma di singoli attivi inerti.

Distogliere i commissari dalla loro missione naturale per porli al servizio di uno specifico aspirante acquirente, in questo caso la new company Ita pubblica, è dunque una perversione giuridica, realizzata attraverso diverse previsioni dell’articolo 6 del decreto legge 99. Esso stabilisce infatti che l’amministrazione straordinaria provvede “anche mediante trattativa privata, al trasferimento, alla (nuova) società(…) dei complessi aziendali individuati nel (suo) piano”. Essi inoltre “pongono in essere le ulteriori procedure necessarie per l’esecuzione del piano industriale medesimo”, si presume indicate dal piano stesso.

Con queste norme, l’amministrazione straordinaria da controparte di un potenziale acquirente parziale dei suoi asset si trasforma in esecutore dei suoi piani, avendo essi ricevuto l’imprimatur della Commissione europea. Dunque, una volontà specifica dell’Ue, non una sua norma, diviene prevalente rispetto al diritto interno. Ma la Direzione concorrenza della Commissione europea ha solo detto ciò che Ita può comprare senza nuocere alla concorrenza sul mercato, non ciò che i commissari, che non si occupano di concorrenza ma di crisi d’impresa, debbano vendere, non avendo autorità di alcun tipo su di loro.

Secondo le nuove norme è Ita che decide quali cose prendersi da Alitalia, avendo Alitalia l’obbligo di cederle. E il prezzo chi lo decide? Ita? E se propone un euro simbolico cosa succede? E, inoltre, se il cherry picking di Ita rende difficilmente vendibili gli asset residuali oppure ne riduce il valore di cessione, che cosa possono fare i commissari di Alitalia?

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Che l’articolo 6 metta l’amministrazione straordinaria di Alitalia al servizio di Ita trova conferma in altre sue disposizioni: “Sono revocate le procedure (di cessione) in corso (…) che risultino incompatibili con il piano (di Ita) integrato o modificato tenendo conto della decisione della Commissione.” In sostanza ubi maior, cioè Ita, minor cessat, cioè coloro che hanno manifestato interesse ad acquistare asset prima che Ita fosse creata. E inoltre “i commissari straordinari provvedono alla modifica del programma della procedura di (cessione degli asset dell’) amministrazione straordinaria al fine di adeguarlo alla decisione della Commissione europea”, che tuttavia, lo ricordiamo ancora una volta, riguarda solo ciò che Ita può comprare e non ciò che Alitalia vende.

Infine, due ciliegine completano questa torta normativa. La prima: “Il programma (di cessione degli asset) può essere autorizzato, in quanto coerente con il piano (di Ita), a prescindere dalle verifiche di affidabilità del piano industriale previste (dalle norme vigenti in tema di crisi di grandi imprese) che potranno non essere effettuate dall’amministrazione straordinaria in quanto assorbite dalla positiva valutazione da parte della Commissione europea del piano medesimo”. In sostanza, i commissari di Alitalia sono esonerati dall’obbligo di valutare il piano dell’acquirente Ita, in quanto è già stato valutato dalla Direzione concorrenza dell’Ue.

E qui ancora una volta occorre ricordare che la Direzione concorrenza non valuta la bontà, fattibilità e sostenibilità dei piani d’impresa, ma solo la condizione che essi non siano in grado di alterare la concorrenza: una condizione che è certamente e più fortemente rispettata da un ipotetico piano pessimo, in grado di portare rapidamente al fallimento chi lo ha elaborato.

La seconda ciliegina: “nelle more della cessione dei complessi aziendali, i commissari straordinari possono procedere (…) al pagamento degli oneri e dei costi funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa (…) che potranno essere antergati ad ogni altro credito, fatti salvi i crediti dello stato”. In sostanza, i costi del proseguimento dei voli sino alla cessione degli asset che non sono coperti dai proventi di tali voli sono tranquillamente posti a carico dei creditori privati pregressi della procedura, peraltro sinora non troppo reattivi, i quali non c’entrano nulla col proseguimento dell’attività d’impresa, ma saranno sicuramente entusiasti di essere chiamati a compiere questo fondamentale sacrificio.

Se fosse tra noi Max Weber, teorico della burocrazia pubblica come gestione razionale del potere legale attraverso norme generali e astratte, dalla lettura di queste norme probabilmente trarrebbe qualche dubbio circa la validità della sua teoria. Forse, il legislatore non ha voluto che il caos industriale del passaggio da Alitalia a Ita restasse solitario e ha desiderato affiancargli anche un caos normativo.

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  1. Fabrizio Bigioni

    Tutto si spiega con il fatto che il povero (e grandissimo) Max Weber era tedesco e non italiano….

  2. Gio

    Mi piacerebbe che ci fosse qualcuno abbastanza coraggioso da fare l’unica cosa che ha senso: portare i libri in tribunale e chiudere questa vergogna nazionale.

  3. Lorenzo

    ciò che lascia stupito è che tutti facciano finta di non sapere perchè az è messa così. In un mondo dove tutti crescono, az è l’unica in perdita. Il motivo è semplice, è in mano pubblica, e ciò significa solite prebende ai politici e strapotere sindacale. Fatela fallire siamo stufi di pagare, o affidatela con pieni poteri all’ ad di ryanair, scommettiamo che gli utili arriverebbero subito

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