Le difficoltà del più grande gruppo cinese del settore immobiliare sono state paragonate al fallimento di Lehman Brothers. Ma per Evergrande non si prospetta un fallimento. E neppure un salvataggio. Quali saranno le conseguenze sugli altri mercati.
La vicenda
In questi giorni, le difficoltà finanziarie in cui versa il più grande gruppo cinese del settore immobiliare, il gruppo China Evergrande (Ceg) – 73,5 miliardi di dollari Usa di fatturato – sono state paragonate alla vicenda Lehman Brothers, il cui fallimento il 15 settembre 2008, il più grande mai registrato nel settore bancario, portò alla più grave crisi finanziaria globale di sempre.
Oggi sono ancora forti gli strascichi finanziari e psicologici di quella crisi, da cui il paragone con Ceg. In realtà si tratta di casi molto diversi tra loro. Evergrande non sarà una Lehman cinese, ma avrà enormi conseguenze negative sull’economia cinese e probabilmente anche sulla crescita globale.
China Evergrande è una società di investimento immobiliare. Opera nello sviluppo immobiliare, negli investimenti immobiliari, nella gestione e nella costruzione di immobili. Ha anche attività nel comparto alberghiero, nel settore finanziario, in quello digitale e sanitario. Ceg ha progetti in città di primo e secondo livello, tra cui Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen. Ha sede a Shenzhen, nel Guangdong, e opera a Hong Kong e nelle Isole Vergini Britanniche. Rispetto a Lehman, non ha la sua attività principale nel settore finanziario, ma in un comparto del manifatturiero e i suoi principali investitori istituzionali sono in Cina. Di conseguenza, il potenziale di contagio internazionale della crisi di liquidità di Evergrande, per quando grande sia, non è lontanamente paragonabile a quello di Lehman nel 2008.
Tuttavia, le condizioni di Ceg sono drammatiche. Le vendite sono in drastico calo da molti anni, almeno dal 2016, quando ancora crescevano del 60 per cento all’anno, mentre oggi sono quasi ferme (figura 1). Di conseguenza, il margine operativo del gruppo è crollato (figura 2). Inoltre, l’80 per cento delle passività del gruppo sono a breve (244 miliardi di dollari Usa), mentre la liquidità e le attività a breve sono limitate (figura 3). Se contabilmente la società è già fallita, ora si tratta di capire come sarà gestita la faccenda da Pechino.
Figura 1 – Andamento delle vendite
Figura 2 – Margine Operativo
Scenari possibili
Al momento sembrano poco probabili tutti gli scenari prospettati dalla stampa, che spaziano da un salvataggio da parte del governo all’opzione di un default.
Un salvataggio volto a evitare di mettere a repentaglio le banche creditrici, tutte di stato, è l’ultima cosa che Pechino dice di voler fare, sia per il costo dell’operazione, sia per il messaggio che arriverebbe a tutto il settore delle costruzioni (che si trova in una situazione non molto diversa da quella di Evergrande). D’altra parte, il fallimento di un gruppo così grande trascinerebbe con sé non solo i fornitori e i cittadini che vantano crediti, ma l’intero settore, dal momento che la fiducia e quindi la domanda di abitazioni crollerebbe. Non solo. L’attività di costruzione genera anche una grossa fetta di entrate fiscali (per i governi locali, e dal 2020 soprattutto per il governo centrale), oltre 8.400 miliardi di RMB nel 2020 (oltre 1.100 miliardi di euro – figura 4). Se nel 2019 la composizione del gettito vedeva le tasse sulla terra a circa il 28 per cento, nel 2020 la riduzione delle entrate fiscali sulla compravendita di beni e servizi ha portato la percentuale a oltre il 50 per cento, secondo i dati di Nikkei Asia.
Lasciar fallire Ceg non è quindi un’opzione per Pechino, ma non lo è neppure salvarla, anzi semmai la scelta potrà essere guidata dalla necessità di far pagare un prezzo alto agli investitori privati ed esteri, a mo’ di punizione per avere speculato in un settore centrale nella politica di sviluppo interno del paese.
La via di uscita probabilmente sarà uno scorporo delle attività del gruppo tra varie imprese di stato, una sorta di nazionalizzazione, per diluirne il peso. Tuttavia, non vi è vera soluzione ai problemi di cassa e di struttura finanziaria di un settore che è servito dal 2009 a sostenere tutta l’economia cinese. Dunque, anche se oggi non si pone il problema di un contagio diretto, l’effetto indiretto sarà indubbiamente molto negativo sul ritmo e sulla qualità della crescita cinese. E ne risentiranno tutti i paesi e i mercati del mondo.
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Daniele Cogoi
Non trovo mai un riferimento alla politica delle tre linee rosse, ovvero la scelta del PCC di porre limi di leverage alle società dell’’immobiliare, che Evergrande come tanti altri non rispetta. Perciò la grossa differenza con Lehman è che in questo caso la crisi è stata voluta dal PCC per ridurre leva, pratiche scorrette e favorire riallocazione di capitale ad altri settori. Questo inevitabilmente porterà a dei danni perché non è pensabile che abbiano scelto questa strada per poi evitare gli effetti da essa causati. Ovviamente gestiranno le conseguenze almeno parzialmente. Effetti di contagio sono già evidenti.
Alessia Amighini
Non solo la crisi, ma tutta la situazione è ‘voluta’ dal PCC, dal momento che il credito al settore è in gran parte di stato
Emanuele
Siamo arrivati ad un punto paradossale dell’evoluzione del capitalismo, ove ogni azienda viene sistematicamente “salvata”. Non si capisce a questo punto da dove arrivi il diritto al profitto, visto che il rischio è sostanzialmente azzerato dai continui interventi statali.
Sarebbe ora che i salvataggi statali vadano solo a coprire i rischi esclusivamente delle persone fisiche, non degli investitori istituzionali.
Alessia Amighini
E’ un capitalismo di stato