È in dirittura d’arrivo la legge che recepisce la direttiva sui servizi di media audiovisivi. Impone obblighi molto rigidi agli operatori on demand. Ma è una scelta che non difende la nostra industria audiovisiva, anzi finisce per penalizzarne lo sviluppo.

La legge di recepimento della direttiva Sma

È ormai solo questione di giorni e poi si concluderà la travagliata vicenda relativa al recepimento della direttiva sui servizi di media audiovisivi (Sma), inizialmente previsto a settembre 2020, che ha portato anche all’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

L’atto del governo n. 288 – schema di decreto legislativo sottoposto a parere parlamentare – ormai in dirittura d’arrivo, reca in particolare all’articolo 54 gli obblighi di investimento in opere europee dei fornitori di servizi di media audiovisivi lineari (le televisioni tradizionali e a pagamento) e, all’articolo 55, gli obblighi dei fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta (come Netflix, Disney+, Amazon Prime Video).

Su questi due articoli si concentra la discussione più accesa, per l’impatto che potranno avere sul futuro dell’industria cinematografica e audiovisiva nel nostro paese.

La direttiva Sma non prevede infatti obblighi specifici sulle quote di investimento in produzione, lasciandone la discrezionalità agli stati membri. È dunque l’Italia che ha scelto la linea più rigida, con l’imposizione di quote molte alte per i servizi a richiesta: si stabilisce infatti un aumento graduale anno per anno, fino al 25 per cento degli introiti netti fatturati in Italia nel 2025 da destinare alla produzione di opere europee (con sotto-quote italiane).

La Francia, da sempre paladina delle quote, impone, a seconda dei casi, obblighi inferiori (20 per cento) o analoghi all’Italia (25 per cento) sulla base dell’uscita di almeno un film online prima del periodo di dodici mesi (finestra) previsto in esclusiva per la sala.

Se guardiamo anche gli altri principali paesi europei, la Spagna ha obblighi molto bassi (5 per cento), ininfluenti sulle strategie degli operatori, mentre la Germania (che ha una tassa che può raggiungere un massimo del 2,5 per cento) e il Regno Unito non ne hanno affatto. Va peraltro considerato che questi ultimi due paesi hanno l’industria audiovisiva più sviluppata in Europa.

Spagna, Germania e Regno Unito hanno sostanzialmente la stessa situazione anche per i servizi lineari, laddove la Francia ne ha di leggermente inferiori (dal 18,2 al 22 per cento), mentre l’Italia addirittura li dimezza (12,5 per cento, con il servizio pubblico al 17 per cento).

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Attrarre investimenti per competere

Se si guarda al tema in una prospettiva di sviluppo dell’industria audiovisiva europea nei prossimi anni – indubbiamente uno degli obiettivi della riforma – va considerato come Netlfix & co. siano ormai i maggiori produttori audiovisivi in Europa e il loro ruolo, anche in Italia, sarà sempre più centrale, rappresentando il vero driver di mercato, a fronte di una stagnazione degli investimenti dei servizi televisivi lineari. L’attuale contesto di mercato spinge infatti a una forte crescita delle produzioni locali finanziate principalmente dai servizi a richiesta, che si stanno ampliando ed espandendo a livello globale.

Secondo l’Apa, l’associazione che raccoglie i produttori audiovisivi nazionali, tra il 2021 e il 2023 la domanda degli operatori dei servizi a richiesta nel nostro paese dovrebbe crescere al ritmo di quasi il 50 per cento l’anno, portando gli investimenti in fiction a raggiungere già nel 2023 quelli effettuati dagli operatori di tv lineare. Anche in Italia, pertanto, la crescita del settore dipende in larga misura dai servizi a richiesta.

D’altro canto, operando a livello globale, queste società tenderanno a investire laddove vi sono le migliori condizioni per farlo (strutturali, economiche, fiscali e regolamentari). L’Europa è un mercato con grandi opportunità di crescita, in cui l’Italia si trova a competere con altri paesi che hanno un’industria audiovisiva consolidata. E soprattutto nella fiction televisiva, dove gli investimenti sono ancor più elevati, ha la necessità di recuperare il terreno perduto rispetto ai concorrenti (siamo ultimi in termini di numero di serie e di fatturato prodotti).

La Spagna ha già intuito le opportunità nascenti e ha messo a disposizione dei grandi operatori a richiesta le migliori condizioni per operare. Così Netflix nel 2019 ha creato in Spagna l’hub della sua produzione europea e dal 2016 il colosso dello Svod ha finanziato 50 titoli, partecipato a 70 film e lavorato con 35 partner, acquisendo società di pre- e di post-produzione. Il limitato livello di regolazione si affianca dunque alle altre iniziative intraprese e oggi la Spagna è uno dei principali centri di produzione in Europa. Così Madrid si appresta a fare dell’industria audiovisiva nazionale uno dei settori trainanti dell’economia nazionale e, nel frattempo, in linea con l’aumento della produzione, sono cresciuti occupazione e indotto.

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La regolamentazione del settore

In un contesto di crescita e di forte competizione, la proposta di legge italiana si concentra sulle regole, imponendo ai servizi a richiesta gli obblighi più stringenti che, come tali, non sono in grado di garantire un miglior grado di salute dell’industria nazionale (statisticamente, i paesi che investono di più non hanno obblighi). Invece di assecondare l’evoluzione del mercato, riducendo gli elementi di criticità che possono spingere gli investitori a scegliere altre realtà nazionali egualmente o ancor più evolute, la proposta italiana sembra voler penalizzare proprio coloro che dovrebbero investire di più nel nostro paese.

Tutto ciò è aggravato dall’asimmetria tra i servizi lineari e quelli a richiesta. In generale, l’obiettivo dichiarato della direttiva Sma è l’armonizzazione delle regole, estendendo ai servizi non lineari quelle valide per i lineari. Al contrario, in Italia si opera una forte distinzione tra i due, distante dallo spirito della direttiva: così com’è, infatti, la proposta di legge italiana appare penalizzante e discriminatoria nei confronti dei servizi a richiesta, chiamati da un lato a contribuire alla crescita del settore, e dall’altro soggetti a regole più stringenti, che non trovano riscontri in altri paesi.

Si rischia di accrescere insoddisfazione e malcontento tra chi dovrebbe investire di più nel nostro paese: davanti a scelte a livello globale, i grandi operatori saranno naturalmente portati a preferire quelle realtà nazionali che si dimostrano meno intransigenti nei loro confronti, con tutte le conseguenze, anche in termini di sviluppo e di occupazione in Italia, che ne potrebbero derivare.

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