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Progressività dell’Irpef: non dipende dal numero di aliquote

Il numero degli scaglioni e delle aliquote non determina la progressività dell’Irpef. Lo dimostra il confronto fra l’imposta di oggi e quella di quaranta anni fa. Il problema è l’erosione, con le tante agevolazioni che riducono la base imponibile.

L’Irpef dal 1974 a oggi

Nel dibattito sui media si dà per scontato che il numero degli scaglioni e delle aliquote determini la progressività dell’imposta dei redditi. Non è necessariamente così. Per dimostrarlo confrontiamo l’Irpef del 2022 con quella in vigore all’inizio della sua storia e ci chiediamo: l’Irpef è più progressiva oggi o lo era quarant’anni fa? Estendiamo così l’analisi condotta in un precedente articolo, che ha esaminato l’impatto delle riforme dell’ultimo decennio.

Nel periodo 1974-1982, l’Irpef prevedeva 32 aliquote che variavano tra il 10 e il 72 per cento (la riduzione della progressività formale avverrà poi solamente nel 1983, quando le aliquote passarono da 32 a 9), mentre oggi le aliquote sono complessivamente quattro, dal 23 al 43 per cento (più addizionali regionali e comunali). Molto diverse sono anche le detrazioni per lavoro: negli anni Settanta erano in vigore una detrazione per quota esente e una detrazione per lavoro, fisse rispetto al reddito, molto più basse di quelle attuali. Due mondi completamente diversi e, a prima vista, l’imposta odierna sembra meno equa.

La distribuzione dei contribuenti

Vediamo prima di tutto la distribuzione dei contribuenti per classi di reddito, ieri (tabella 1) e oggi (tabella 2). Per il confronto, abbiamo scelto il 1978 anziché il 1974, anno dell’introduzione dell’imposta (il numero e i valori delle aliquote sono i medesimi, mentre i limiti degli scaglioni erano stati lievemente aggiornati a causa del fenomeno inflattivo allora particolarmente accentuato), perché le prime statistiche particolareggiate sulla distribuzione dei contribuenti Irpef riguardano proprio quell’anno. Abbiamo aggiornato a valori reali del 2021 i limiti degli scaglioni e i valori delle detrazioni da lavoro e per quota esente del primo periodo. La legislazione 2022 comprende anche l’addizionale regionale e comunale, che negli anni Settanta non esistevano ancora; ai fini dell’esercizio consideriamo le addizionali relative alla Lombardia e a Milano. Si è cercato, per quanto possibile, di rendere compatibili i confronti aggregando le statistiche ufficiali per simili classi di reddito.

Nella distribuzione dei contribuenti non ci sono state rivoluzioni: ad esempio, nel 1978 i contribuenti con redditi fino agli attuali 10.900 euro erano il 38,9 per cento del totale, contro il 29 per cento di oggi; quelli con reddito tra 10.900 e 18.100 erano il 31,4 per cento, contro l’attuale 27,1 per cento (nella fascia 10-20 mila euro). Quello che preme sottolineare è che, nonostante le 32 aliquote legali, negli anni Settanta di fatto quelle che venivano applicate erano solamente una decina, perché pochissimi redditi raggiungevano gli scaglioni più elevati: nel 1978 solo 18 contribuenti dichiaravano più di 550 milioni di lire (circa 2 milioni di euro di oggi), su cui era applicata l’aliquota marginale del 72 per cento; solamente 7 un reddito compreso tra 500 e 550 milioni (su cui era applicata l’aliquota marginale del 70 per cento), e così via. C’erano aliquote legali molto alte, ma di fatto, complici anche l’elusione e l’evasione, erano e sono pochi i contribuenti interessati. Nel 1978 lo 0,06 per cento dei contribuenti era soggetto ad aliquote del 44 per cento o superiori; oggi la quota è salita al 5,7 per cento.

Le aliquote marginali e medie

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Confrontiamo visivamente le aliquote marginali effettive nel 1978 e nel 2022 per un dipendente single (figura 1 e 2). Se vogliamo rappresentare tutte le aliquote del 1978, l’asse orizzontale deve arrivare a circa 2 milioni di euro, perché da quel valore (in euro di oggi) si applicava l’aliquota massima del 72 per cento. La linea verde è invece subito piatta, perché sopra i 28 mila euro di reddito l’aliquota marginale effettiva ha già raggiunto il suo massimo. Per la grandissima maggioranza dei redditi medi e alti oggi le aliquote marginali effettive sono cresciute (figura 2).

Il confronto delle aliquote medie ci dà una informazione simile: se si applicassero le regole del 1978, oggi pagherebbero di più solo i redditi superiori a 600 mila euro (figura 3). Tutti i redditi tra 20 e 600 mila euro pagano di più con le regole attuali, mentre l’imposta è diminuita, con le regole di oggi, per chi ha meno di 20 mila euro (figura 4). Contrariamente a quanto parrebbe confrontando gli scaglioni, oggi l’incidenza media è molto più bassa sui redditi bassi, e molto più alta sui redditi medi e alti.

Figura 1 – Aliquote marginali effettive nel 1978 e nel 2022 per un lavoratore dipendente single *

Figura 2 – Aliquote marginali effettive nel 1978 e nel 2022 fino a 100 mila euro per un lavoratore dipendente single*

*Nel 1978 le aliquote marginali legali ed effettive coincidevano perché le detrazioni erano costanti. Ciò non accade oggi, in quanto le detrazioni per lavoro sono decrescenti rispetto al reddito.

Figura 3 – Aliquote medie nel 1978 e nel 2022 per un lavoratore dipendente single

Figura 4 – Aliquote medie nel 1978 e nel 2022 fino a 100 mila euro per un lavoratore dipendente single*

*Le due curve coincidono per il tratto relativo alla no tax area (più ampia nel 2022).
L’aliquota media 2022 è negativa tra 8.145 e 13.391 euro a causa del bonus Irpef.

Una visione di insieme

Un recente lavoro stima l’effetto redistributivo complessivo dell’Irpef nel 1979 e nel 2019 su un campione rappresentativo di famiglie. L’effetto redistributivo è dato dalla riduzione della diseguaglianza nella distribuzione del reddito (riduzione dell’indice di Gini), e può scomporsi così (più un residuo trascurabile):

Effetto redistributivo = Incidenza x Progressività,

dove l’incidenza dipende dall’aliquota media complessiva (cioè il rapporto tra le imposte pagate da tutti i contribuenti e la somma dei loro redditi ante imposta), mentre la progressività misura quanto nel complesso l’imposta si concentra soprattutto sui redditi alti.

Negli ultimi quarant’anni l’effetto redistributivo dell’Irpef è quasi raddoppiato. L’aumento deriva in piccola parte dalla crescita della progressività dell’imposta e in misura preponderante dalla crescita dell’incidenza media. Si pensi che nel 1974 il gettito dell’Irpef sul Pil era solamente l’1,9 per cento (4,5 per cento nel 1978), mentre nel 2020, comprese le addizionali, vale l’11,5 per cento del Pil.

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La questione dell’elusione

Dal confronto emerge un’imposta tendenzialmente più equa oggi rispetto agli anni Settanta, con aliquote medie inferiori fino a 20 mila euro (dove si concentra più della metà dei contribuenti) e superiori successivamente, ma anche con aliquote marginali effettive più alte già a partire da redditi molto bassi (circa 8 mila euro), con effetti negativi dal punto di vista dell’efficienza. Il fatto che la riforma attuata con legge di bilancio 2022 abbia un po’ ridotto l’incidenza media per i redditi medi e medio alti e abbia smussato l’andamento delle aliquote marginali effettive è giustificabile anche alla luce di questo confronto.

In effetti il carico fiscale negli ultimi quarant’anni è aumentato soprattutto per le classi di reddito medie e medio-alte. Resta tuttavia il forte limite di avere agito solo su scaglioni, detrazioni e aliquote, senza affrontare prioritariamente il tema dell’erosione, ossia delle numerose agevolazioni che riducono la base imponibile (in primo luogo la flat tax degli autonomi, ma non solo) e che costituiscono una grave violazione del principio di equità orizzontale. Senza queste erosioni, che presumibilmente avvantaggiano di più i redditi elevati, il sistema di tassazione sarebbe più progressivo.

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Il Punto

  1. Marco La Colla

    Quando sono andato in pensione nell’agosto del 2000, l’irpef che pagavo era del 18%. Qualche anno dopo, credo col governo Berlusconi il ministro Tremonti portò l’aliquota più bassa al 23% con in aggravio quindi del 5%. Venne poi stabilito qualche anno dopo che il recupero dell’inflazione sarebbe stato solo del 75% con una perdita del mio reddito dell’1% ogni 4 anni. Non ho i dati precisi, ma credo che in questi 20 anni di averci rimesso un altro 4%. Nel frattempo le proteste dei sindacati hanno cancellato questa ignominia , ma questo 9% non è stato più compensato ed è andato a ridurre il valore di tutte le pensioni future. Di ciò si parla poco ed anzi qualche commentatore sostiene che i pensionati sono trattati troppo bene senza considerare che si tratta di una giusta restituzione di quanto da noi versato nella nostra vita lavorativa!

  2. Lorenzo

    Non ho le competenze per fare osservazioni di merito, ma la pretesa di assimilare chi guadagna 60k€ e chi invece ne guadagna 15k€ rasenta il tentato omicidio di quest’ultima classe

  3. cardif

    Studio molto interessante, su redditi da lavoro autonomo, dipendente o da pensione.
    Sono pochi, e quindi sempre trascurati, i redditi di natura diversa che subiscono la tassazione dal primo euro, non avendo soglia di esenzione. Per esempio i redditi da locazione, da lezioni private di docenti non di ruolo e altre prestazioni occasionali varie. Quelli da indicare nelle caselle D5 e RB1 del 730 e di Persone fisiche.
    Spesso si dice che questi redditi rientrano nell’evaso, il che è vero in parte e sembrerebbe pure da giustificare. Ma non sempre, come per locazioni con contratto registrato o per prestazioni per le quali viene chiesta ricevuta.
    Cosicché un reddito da 5.000 € è esente se prodotto da alcuni e soggetto ad un prelievo del 25% tra irpef e addizionali di 1.250 € circa.

    È uno studio della tassazione del solo reddito.
    Le considerazioni su elusione e erosione correggono la considerazione sulla maggior equità dell’imposta odierna rispetto a quella degli anni settanta, ottenuta su base strettamente analitica e che sembra stridere con l’aumento del coefficiente Gini e la concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno persone, sebbene questo dipenda anche dalla indecente tassa di successione vigente in Italia. Inoltre il coefficiente Gini è aumentato negli ultimi anni, per quanto non ci siano state variazioni delle aliquote. E risulta diverso per aree geografiche, per quanto le aliquote siamo le stesse in Italia.

    Scrivo cose che esulano, fuori tema, ma compatibili con uno studio sugli scopi della tassazione, a seconda che si voglia far concentrare o distribuire la ricchezza.

    Più interessante del coeff. Gini, secondo me, è un coeff. R: rapporto tra il reddito della parte più ricca e analoga parte più povera della popolazione.
    Ad es.: nel 2014 per l’Italia Gini=35,4 e il decile R10%=14,3 mentre in Francia Gini=32,7 e R10%= 8,6; e in Germania Gini=29,1 e R10% =6,9.
    Per non parlare dell’R5% ecc. E nel 2021, prima della variazione irpef, Gini è salito a 41,1 citato da Draghi all’insediamento del suo Governo.

    Ci sono i prelievi indiretti.
    Per esempio l’iva: a parità di spesa per consumi correnti l’iva pagata è la stessa, ma con incidenza maggiore sui redditi inferiori. Come avviene anche con le notevoli accise su carburanti, sottoposte pure all’iva. Per cui il prelievo ha più ‘peso’ sui redditi bassi.

    Oltre alla citata tassa piatta per le partite iva, sono casi di iniquità e/o non progressività della tassazione.

    E c’è tant’altro, come l’imu da pagare, sebbene al 50%, su ruderi inutilizzati e inutilizzabili da parte di chi può ma anche di chi ‘non arriva a fine mese’ che non sempre se ne può disfare.

    Sarebbe equo non far pagare una tassa uguale per il possesso di uno stesso bene (immobile o mobile che sia), ma rapportarla al reddito, alla disponibilità finanziaria, compresa l’imu sulla casa di abitazione.

    Non è difficile ampliare l’attuale ISEE per includere tutti i beni di valore in possesso ed assumere questo indicatore come base imponibile, invece di tassare singolarmente redditi, immobili e mobili con irpef progressiva e le tasse piatte imu, su vetture e natanti, bollo sui depositi bancari: rendere l’insieme tassabile in modo progressivo con l’uso di coefficienti di perequazione tra i vari beni.
    Non intendo che debba essere tassato il possesso di ogni bene di valore, non parlo di ‘patrimoniale’ altrimenti a molti viene l’orticaria, ma solo per il controllo dell’evasione; però non mi dilungo che già è troppo.

    Non è difficile introdurre il reddito negativo, assumendo l’importo della soglia di povertà assoluta (ISTAT) per integrare i redditi inferiori in sostituzione delle varie forme di sussistenza.

    Non è difficile l’uso di funzioni, lineari o anche esponenziali per ottenere curve anziché gradini, con gli strumenti oggi in uso, invece delle lunghe tabelle come quelle per l’assegno unico per i figli.

    La riforma ultima, che ‘smussa’, mi è sembrata di tipo ragionieristico, non di politica economica di riequilibrio attraverso la leva fiscale. Draghi a che scopo ha citato Gini?

  4. Giuliano

    Dalla vs. analisi risulta che il carico fiscale delle classi medie e medio-alte è aumentato, però chi investe di più nei mercati finanziari mondiali oppure ha dividendi da società non quotate (azioni che tra l’altro non pagano l’imposta di bollo annua del 0,2% – quindi le violazioni dell’equità riguardano anche le imposte indirette) penso che siano proprio queste classi di reddito e quindi questo maggiore carico potrebbe essere molto attenuato mentre negli anni 70 le possibilità di investire i soldi erano minori.
    E questi sono redditi tassati al 26% ma se un benestante ha immobili affittati oppure qualcuno in famiglia ha la qualifica di agricoltore non penso che nel 1978 questi redditi fossero esclusi dalla base imponibile dell’irpef per cui per alcuni oggi la tassazione del reddito entrata potrebbe essere inferiore a quello degli anni 70.

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