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Sistema fiscale: la progressività è poca e mal distribuita

Il nostro sistema fiscale è solo blandamente progressivo sulla distribuzione dei redditi. Anzi, è regressivo per il 5 per cento più ricco dei contribuenti, che pagano aliquote inferiori rispetto al 95 per cento della popolazione. I risultati di uno studio.

Lo studio

Negli ultimi mesi è in corso un dibattito sulla riforma del sistema fiscale italiano che si sta concretizzando, proprio in questi giorni, nella discussione sul disegno di legge delega di riforma presentato dal governo. Un tema cruciale è la progressività del nostro sistema, che potrebbe contribuire a ridurre le crescenti disuguaglianze che affliggono il paese e di cui abbiamo discusso in un recente articolo su lavoce.info. Tuttavia, in assenza di dati e analisi che comprendano le diverse forme di prelievo, la discussione viene spesso confinata all’Irpef, per di più considerando solo la struttura delle sue aliquote. Vengono così messi in ombra due temi centrali, quello della definizione della base imponibile delle imposte sui redditi e quello del contributo alla progressività delle altre imposte e dei contributi sociali.

In una recente ricerca abbiamo stimato la progressività del sistema fiscale italiano utilizzando la metodologia dei “Distributional National Accounts” di Piketty, Saez e Zucman (2018). Oltre a distribuire a livello individuale la totalità del reddito nazionale netto per ottenere stime della disuguaglianza di reddito in Italia, abbiamo anche allocato l’universo delle entrate tributarie riportate nei Conti nazionali. In particolare, abbiamo stimato la distribuzione di Irpef, Irap, Imu, imposte di bollo, imposte su interessi, dividendi e su tutte le transazioni finanziarie inclusa la Tobin tax, imposte su consumi, contributi sociali, ed ulteriori imposte minori (per una lista dettagliata delle più di 100 imposte considerate, si faccia riferimento al paper, Appendice A.3). Per poter ottenere questo risultato, abbiamo combinato diverse fonti di dati (si veda l’articolo precedente), tenendo anche conto della sotto-dichiarazione dei patrimoni più elevati (Acciari, Alvaredo, e Morelli, 2021). Calcolando l’aliquota effettiva come il rapporto tra il totale dei prelievi, e la somma dei redditi da lavoro, capitale, pensioni e contributi sociali, le nostre stime mostrano che il sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo, con aliquote che variano tra circa il 40 per cento del reddito individuale per le fasce più povere dell’intera popolazione adulta (includendo quindi incapienti, disoccupati e altri), con redditi fino a 25 mila euro annui, e poco oltre il 50 per cento per gli individui con redditi oltre i 65 mila euro. Tuttavia, il sistema diventa addirittura regressivo per il 5 per cento dei contribuenti più ricchi della distribuzione del reddito. Superati i 90mila euro, infatti, l’aliquota effettiva inizia a ridursi, scendendo fino al 36 per cento per il top 0,1 per cento, che guadagna redditi medi annui oltre il milione di euro (Figura 1).

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Figura 1 – Aliquota effettiva individuale e composizione per percentili, 2015

La minore aliquota pagata dai redditi più elevati è spiegata principalmente da tre fattori: i) l’effettiva regressività dell’Iva, che grava meno sui contribuenti abbienti con risparmi più elevati; ii) il minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro; iii) la maggiore rilevanza, per i contribuenti più ricchi, delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari tassate con aliquote proporzionali variabili tra il 10 per cento (applicabile ai canoni di locazione concordati) e il 26 per cento (applicabile alla maggior parte dei redditi da capitale).

Rilevanti differenze tra i diversi tipi di contribuenti emergono quando li suddividiamo in quattro categorie in base alla principale fonte di reddito: i) lavoratori dipendenti, ii) lavoratori autonomi, iii) “rentiers”, ovvero con una prevalenza di redditi da capitale, iv) pensionati (Figura 2).

Figura 2 – Aliquota effettiva individuale e composizione per tipologia di reddito prevalente, 2015

Le aliquote di dipendenti, autonomi e rentiers

I lavoratori dipendenti sono i contribuenti con l’aliquota effettiva più alta, e tendenzialmente “piatta”, intorno al 55 per cento. Tuttavia, anche in questa categoria, il sistema diventa regressivo per i dipendenti che percepiscono redditi più elevati. Una situazione simile si riscontra per i lavoratori autonomi sebbene con un’aliquota effettiva leggermente minore di quella dei lavoratori dipendenti. Per queste categorie, la progressività dell’Irpef non riesce a compensare la regressività derivante dalle aliquote forfettarie dei redditi da capitale, dalla regressività dei contributi sociali e dalle imposte sui consumi, determinando quindi una marcata riduzione dell’aliquota effettiva al top della distribuzione del reddito.

Per quanto riguarda i “rentiers” (“Capital” in Figura 2), questi sono quasi esclusivamente soggetti ad aliquote forfettarie fino al 26 per cento, e i contributi sociali incidono solo marginalmente nei limiti dei pochi redditi da lavoro guadagnati dalla categoria. I rentiers beneficiano quindi di un’aliquota effettiva piatta molto inferiore rispetto a quella che grava sui lavoratori dipendenti ed autonomi.

Infine, i pensionati sono gli unici a essere soggetti a un sistema fiscale realmente progressivo, sebbene con un’aliquota inferiore ai lavoratori. Questa categoria, infatti, guadagna principalmente redditi tassati con aliquote progressive e l’Irpef è sufficiente a contrastare la regressività delle imposte sui consumi in assenza di contributi sociali. Tuttavia, anche in questa categoria, i più ricchi beneficiano di aliquote effettive più basse, grazie a importanti quantità di redditi da capitale tassati con aliquote inferiori.

Quando consideriamo la distribuzione della ricchezza dei contribuenti italiani, stimiamo che il sistema fiscale è sempre regressivo: il carico fiscale si riduce al crescere del patrimonio. All’aumentare della ricchezza, infatti, aumentano anche i redditi derivanti da patrimoni mobiliari e immobiliari che beneficiano di una tassazione con aliquota piatta. L’aliquota effettiva risulta dunque più alta per chi invece ha guadagni principalmente da redditi soggetti a un prelievo progressivo.

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Due simulazioni

Per verificare la sensibilità della progressività a diversi modelli di sistema fiscale abbiamo effettuato due simulazioni. La prima prevede l’inclusione dei redditi da capitale nella base imponibile delle imposte progressive. In questo scenario, la progressività del sistema fiscale aumenterebbe, ma la regressività presente per il top 5 per cento della distribuzione dei redditi non sarebbe eliminata. La seconda simulazione prevede l’aggiunta di un’imposta sulla ricchezza dell’1 per cento sulle eccedenze patrimoniali oltre i 600 mila euro netti, soglia minima per entrare a far parte del 5 per cento degli italiani più ricchi. Per esempio, l’imposta per un contribuente con un patrimonio di 650 mila euro netti ammonterebbe a 500 euro. In questo scenario, il sistema fiscale italiano cesserebbe di essere regressivo: il 5 per cento degli italiani più ricchi sarebbe soggetto a un’aliquota effettiva non inferiore a quella del resto dei cittadini (Figura 3) e cesserebbe di godere di un vantaggio fiscale rispetto al restante 95 per cento della popolazione.

La nostra analisi è di carattere descrittivo, ma fornisce alcune indicazioni interessanti anche sul piano della politica economica. Ogni riforma si pone obiettivi di incremento dell’efficienza o dell’equità del sistema fiscale, e di questa la progressività è una componente essenziale. Il nostro lavoro conferma che se si vuole aumentare in misura significativa la progressività del sistema fiscale italiano occorre aumentare i livelli di tassazione effettiva dei redditi da capitale, mobiliare e immobiliare, e ridurre contemporaneamente le aliquote effettive applicate ai redditi da lavoro e da pensione. Nel paper non discutiamo di come farlo, il che implicherebbe affrontare, tra le altre questioni, quella della definizione della base imponibile, come anche discusso in un articolo su lavoce.info, e del suo mantenimento nel tempo (i patrimoni mobiliari e i relativi redditi possono sfuggire con facilità alla tassazione nazionale). Sono questi i temi da affrontare e risolvere per offrire al dibattito una proposta definita di riforma fiscale che sia in grado di aumentare la progressività reale del sistema, rovesciando l’attuale vantaggio per i più ricchi.

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20 commenti

  1. Matteo Rizzolli

    Ottimo lavoro. Davvero molto interessante. Penso che di questi risultati si debba discutere e riflettere a lungo!

  2. Fabio Rosi

    Premesso che appartengo alla categoria dei lavoratori dipendenti e dato per scontato che le analisi riportate siano corrette nei termini, mi sento di fare queste due semplici osservazioni:
    – per tassare un reddito, occorre garantire le condizioni per produrlo. Se il reddito prodotto viene eccessivamente tassato, diventa meno conveniente produrlo
    – nelle analisi riguardo alla progressività, onestamente eccessiva, occorrerebbe inserire i valori di evasione e di elusione del reddito, dovuti a fattori più o meno morali. In Italia ci sono milioni di persone (la stima ufficiosa parla di più di 4 milioni) che non guadagnano così tanto per poter pagare con le proprie tasse i servizi che ottengono dallo Stato. Ovvero dipendono dalle tasse pagate dagli altri lavoratori.

  3. Giacomo

    Molto interessante, anche perché dimostra che è inutile fare riforme sulla sola IRPEF se si vuole ottenere progressività. Il nostro fisco colpisce come “ricchi” i redditi da lavoro di 50’000 Euro lordi e non considera minimamente chi incassa decine di volte di più con redditi da rendite e capitale.
    Forse bisognerebbe spiegarlo anche a qualche politico.

  4. Urbinate

    Domanda irriverente: e quale sarebbe la novità? Da decenni sappiamo che il sistema di tassazione, per come è disegnato ora, favorisce quelli davvero ricchi. Quello che ancora non sappiamo, perchè si finisce sempre lì, è come facciamo a fare pagare le tasse a quelli molto ricchi senza che questi portino via i loro capitali e le loro imprese, eludano o (addirittura) evadano il fisco senza che l’amministrazione riesca a metterci una pezza. Gli affitti tassati al 10% mica si è detto che dovevano fare emergere il nero? Se ne sa qualcosa?

  5. Mauro

    Articolo interessate
    Domanda: dove posso trovare la fonte che indica: “600 mila euro netti, soglia minima per entrare a far parte del 5 per cento degli italiani più ricchi”?
    Grazie

    • D. Guzzardi

      Salve, sono le ultime stime rilasciate da Acciari, Alvaredo e Morelli. Può trovare qui un loro articolo su lavoce sul tema https://www.lavoce.info/archives/86640/ricchezza-sempre-piu-concentrata-anche-italia/

      • Carlo Vergnano

        Interessante contributo, due domande distinte ma fra loro legate:
        1) Nei 650K è inclusa la casa? Se così fosse sembra davvero una soglia bassissima che andrebbe davvero a colpire la classe media urbana, un bel pezzo di quella fascia già penalizzata da perdita di bonus fiscali e aumento delle aliquote sugli scaglioni. Immagino non sia questo il vostro auspicio.
        2) Mi sembra che si sia passati da una discussione sul reddito a una sul patrimonio con troppa facilità. Si propone di tassare coloro che guadagnano di più, e di farlo sul loro patrimonio, così da riequilibrare il grafico sui redditi. Come si è sicuri che ai primi corrispondano i secondi?
        Grazie per la sua risposta.

  6. Giuliano

    L’articolo è anche tenero con il sistema fiscale italiano: vedendolo dal basso sui bassi redditi e patrimoni è molto distante dai principi costituzionali. Ad es. il minimale contributivo in relazione a determinati settori, periodi pluriennali od aree geografiche potrebbe essere elevato, l’imposta di bollo è uguale per chi ha 10 mila euro che 10 milioni di euro con il corollario che in un regime di bassi tassi scoraggia l’investimento in titoli di stato cioè il risparmio che rappresenta una difesa contro l’usura e gli imprevisti della vita, mancanza di una no tax generalizzata e di facile utilizzo per cui un disoccupato che riscatta un fondo comune o un’assicurazione per avere denaro con cui vivere si trova a pagare tasse (chi è in grado di decidere al 31 dicembre per l’anno successivo se è meglio la tassazione al 26% oppure l’irpef sui redditi finanziari?).
    Per non parlare di accise & co.
    Oppure le agevolazioni per i bassi redditi hanno andamento erratico come la detrazione per lavoro dipendente che è basata sulla durata del periodo di lavoro e non sui giorni di presenza al lavoro per cui un giovane che lavora tutti i sabati sera per mantenersi agli studi ha 365 giorni di detrazione come un operaio che lavora tutto l’anno ed ha molti più costi di benzina per non parlare dei dipendenti che durante la malattia non hanno nessun costo per produrre il reddito di lavoro.
    Interessante lo studio sui rentiers: non c’è da sorprendersi se il loro numero aumenta perché c’è l’incentivo del minore prelievo fiscale e contributivo oppure il peso delle rendite sull’economia aumenta perché la minore tassazione fa accumulare capitale da impiegare in altre rendite. Visto che di imposte patrimoniali in Italia non si può parlare pena rievocare l’URSS, è da introdurre un’imposta progressiva per finanziare il welfare e la sanità su questi redditi, mettendo una no tax area, ad es. di 30-50 mila euro, per chi ha redditi da lavoro e pensioni cioè su persone che dimostrano od hanno già dimostrato di contribuire alle spese sociali versando i contributi.

  7. Enrico D'Elia

    È dimostrato che il trickle down (ossia la caduta di briciole di ricchezza verso i più poveri) praticamente non esiste. Invece esiste certamente il bubble up (ossia un flusso di ricchezza che va dai più poveri ai più agiati). Il sistema fiscale (non solo italiano) favorisce questo fenomeno, che tuttavia ha radici nell’economia reale, in cui i veri ricchi beneficiano di ingenti trasferimenti di reddito da parte dei meno abbienti per affitti, interessi, dividendi, parcelle professionali, quote di extra-profitti distribuiti anche tramite retribuzioni stellari, ecc. È su questi flussi “primari” che si deve intervenire per migliorare l’equità.

  8. GIORGIO DE VARDA

    Apprezzo questo contributo che evidenzia che la tassazione non è sempre progressiva ed in parte regressiva. Ciò è vero anche per famiglie con carichi familiari e altre situazioni per cui il dettato costituzionale è spesso disatteso. Preferirei peraltro che nella valutazione del carico fiscale non siamo inseriti, cosa abbastanza comune, anche quella parte di contributi sociali che costituiscono una retribuzione differita come la pensione o cose del genere, perché questo distorce il ragionamento.

    Giorgio de Varda

    • D. Guzzardi

      Salve, nel paper abbiamo anche incluso l’analisi senza includere i contributi sociali. Il risultato principale non cambia, in italia c’è poca progressività e regressività al top.

  9. Marco

    I beg to differ..
    A me l’articolo non è piaciuto, è molto interessante ma mi sembra frutto di un puro esercizio statistico, e mostra una scarsa conoscenza generale di cosa sono le imposte. Per me mettere nello stesso calderone le imposte sui redditi delle persone, quelle sul capitale, quelle sugli immobili, l’IVA, le corporate tax, non ha alcun senso. Specialmente se poi andiamo a confrontarle con il solo reddito, che è la base di calcolo di una sola di esse.
    Come si fa a parlare di impatto dei contributi sociali (che non sono una tassa e sono ad aliquota fissa) o di regressività dell’IVA, che è una tassa sui consumi ad aliquote fisse in base alla tipologia di bene? A parte che parliamo di stime (che possono essere più o meno vicine alla realtà), è ovvio che il gettito derivante dai consumi di un individuo con 300.000€ di reddito non sarà tanto maggiore di quello di un individuo con 30.000€ di reddito, semplicemente perché è difficile che per il primo la crescita dei consumi sia direttamente proporzionali (cioè rapporto 1:1) o più che proporzionali (cioè rapporto <1) a quanto guadagna.
    Vengono messe sul piatto imposte diverse, con basi di calcolo e logiche diverse, il cui gettito dipende da fattori diversi.
    Ricondurle tutte alla soglia di reddito quando la base di calcolo è altra per concludere che il sistema non è abbastanza progressivo mi sembra una forzatura piuttosto evidente.

    • Antonio

      I grafici mostrano valori sbagliati. Il 50% dei lavoratori italiani , per effetto delle detrazioni e deduzioni, NON paga imposte dirette. I contributi non rappresentano una tassazione. Probabilmente non avete neanche esperienza di cosa significa avere 4 risparmi sudati da difendere per potersi pagare un domani una badante.

      • D. Guzzardi

        Salve Antonio, prendendo solo i dati IRPEF rilasciati dal MEF, può vedere che 41.5milioni di persone, su circa 50 milioni di adulti, compilano la dichiarazione dei redditi IRPEF e di questi 41.5milini, ben 40milioni (il 98%) paga un IRPEF NETTA (quindi al netto delle detrazioni e deduzioni) maggiore di 0. I contributi è vero che non rappresentano una tassazione, ma riteniamo opportuno includerli nell’analisi perché di fatto sono una ritenuta sui redditi dei lavoratori. Comunque nel paper originale, consideriamo anche il caso senza

        • Massimo Baldini

          nel documento del MEF STATISTICHE SULLE DICHIARAZIONI FISCALI
          ANALISI DEI DATI IRPEF ANNO D’IMPOSTA 2019 (https://www1.finanze.gov.it/finanze/analisi_stat/public/v_4_0_0/contenuti/analisi_dati_2019_irpef.pdf?d=1615465800) a pag. 24 si trova che “Circa 31,2 milioni di contribuenti (il 75% del totale) dichiarano un’imposta netta pari a 165,1 miliardi di euro (+0,5% rispetto al 2018) per un valore pro capite di 5.300 euro. Circa 10,4 milioni di soggetti hanno imposta netta pari a zero: si tratta, ad esempio, di contribuenti con livelli reddituali compresi
          nelle fasce di esonero oppure di contribuenti che fanno valere detrazioni tali da azzerare l’imposta lorda. Inoltre, considerando i soggetti la cui imposta netta è interamente compensata dal bonus 80 euro, coloro che di fatto non versano Irpef sono 12,8 milioni”

    • D. Guzzardi

      Salve, Abbiamo seguito una metodologia assodata e pubblicata nella letteratura scientifica. Veda Piketty Saez e Zucman e il recente libro di Saez e Zucman. In linea di principio l’idea di fondo è quella di verificare quante sono la totalità delle imposte versate dai cittadini in proporzione alla totalità dei loro redditi, quindi non solo i redditi imponibili e relative imposte, ma tutti i redditi che ricevono nel corso dell’anno e tutte le imposte e tasse che devono versare. In questo modo si può verificare la loro capacità di pagare le imposte e quanto versano in proporzione al proprio reddito totale.

  10. Henri Schmit

    Analisi molto interessante, insieme al pezzo precedente e all’articolo recente in inglese. La distribuzione pre-tax del reddito è un requisito per studiare, correggere, riformare, ripensare la fiscalità. Una missione impossibile in un paese da decenni artificialmente diviso e in balìa di demagogie populiste contrapposte.

  11. Roberto

    Buongiono,

    segnalo due imprecisioni di fondo. La prima relativamente alla tassazione delle rendite finanaziarie costituite dalla distribuzione dei dividendi da parte delle imprese.
    Infatti, tali redditi scontano il 24% di IRES presso l’impresa e, successivamente, al momento della distribuzione al socio, un ulteriore 26% di tassazione, in quanto rendita finanziaria.
    Pertanto, hanno già nel sistema attuale un livello di tassazione sostanzailmente analogo all’aliquota IRPEF più alta. Ne consegue che costituirebbe un errore tecnico ricondurre tale redidto all’intenro dell’IRPEF, in quanto sconterebbe una doppia tassazione.

    La seconda relativamente alla tassazione degli affitti. In quanto è vero che l’affitto di un immobile è tassato con aliquota inferiore all’IREPF, tuttavia esso non beneficia di alcuna deduzione. Se ad esempio il proprietario di un immobile che percepisce un canone di 6.000 euro annui, deve sostenere spese condominiali per euro 2000, tasserà sempre 6.000, non 4.000. Si spiega in questo modo l’esigenza di avere aliquote più bassi sugli affitti.

  12. gianni aile

    Il risultato sembra determinato dal fatto che le aliquote Irpef sui ‘ricchi’ sono così elevate che appena si introduce sul complesso dell’imponibile una tassa con aliquota inferiore, la progressività (intesa come aliquota media complessiva) è ridotta. La maggior progressività potrebbe quindi essere conseguita abbattendo le aliquote Irpef a livelli più civili

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