Il blocco delle transazioni commerciali con la Russia coinvolge anche le merci della filiera agroalimentare, con un doppio effetto: calo dell’offerta e aumento amplificato dei prezzi. Le conseguenze saranno drammatiche, soprattutto nei paesi più poveri.

Sanzioni e filiera alimentare

Tra gli effetti economici delle sanzioni verso la Russia, il blocco delle transazioni commerciali coinvolge tutte le importazioni a esclusione, almeno finora, di gas e petrolio. A ciò si deve aggiungere l’arresto dell’attività produttiva e commerciale in Ucraina.

Sebbene gas e petrolio siano le voci principali nel suo export, sono molti i settori in cui la Russia è il primo esportatore al mondo, con quote di mercato assai elevate (Figura 1). Dall’Ucraina, invece, arrivano soprattutto cereali e oli vegetali: oltre il 50 per cento dell’olio di girasole e altri oli vegetali. Di oli vegetali e alcune di queste merci, Russia e Ucraina insieme contano per quote elevatissime dell’export mondiale.

Il blocco dell’export e l’aspettativa che la produzione non venga ripristinata nel prossimo futuro hanno già conseguenze sulle quotazioni di borsa, sui prezzi alla produzione e quindi su quelli al consumo. Questi rincari si aggiungono ad aumenti precedenti per cause indipendenti: l’incremento dei costi di trasporto e, nel caso del grano duro, il crollo drammatico dell’offerta del Canada nel 2021. La crisi alimentare che si profila dipende dalla concentrazione di tutte le merci interessate alla filiera alimentare, e ciò amplificherà l’effetto che ciascuno dei rincari avrà a valle sui prezzi alimentari.

Effetti per l’Italia

Per capire le conseguenze specifiche del blocco delle forniture russe e ucraine, bisogna necessariamente distinguere tra diverse linee di prodotto. Per alcuni prodotti, Russia e Ucraina sono importanti produttori ed esportatori, per altri hanno quote di mercato inferiori, ma possono comunque imprimere una pressione al rialzo sui prezzi internazionali. Per l’Italia il comparto più interessato è quello del frumento tenero.

Secondo l’Ismea su dati Comtrade, il mercato mondiale del frumento tenero è fortemente influenzato da Russia e Ucraina (rispettivamente, il 21 per cento e il 10 per cento delle esportazioni globali). L’export dei due paesi è destinato soprattutto a Egitto, Tunisia, Turchia, ad alcuni paesi asiatici e africani, mentre le importazioni dell’Italia sono sì elevate (il 60 per cento degli utilizzi interni), ma provengono soprattutto dall’Ue, principalmente dall’Ungheria. Nonostante ciò, le conseguenze della guerra possono comunque comportare aumenti, anche importanti, di prezzo (+32 per cento su febbraio 2021) e il rischio che alcuni paesi fornitori adottino restrizioni al proprio export per tutelare l’approvvigionamento interno e il mercato (azione intrapresa dall’Ungheria).

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Nel mercato del frumento duro, Canada e Italia sono i principali produttori mondiali. Tuttavia, mentre il Canada è un grande esportatore netto (41 per cento dell’export mondiale), l’Italia è il primo paese importatore, a causa dell’ampio utilizzo interno da parte dell’industria della pasta italiana. Sebbene Russia e Ucraina abbiano quote relativamente piccole su questo mercato, l’Italia acquista comunque il 20 per cento dalla Russia, mentre non importa affatto dall’Ucraina.

Un altro mercato decisamente interessato dalle conseguenze del conflitto è quello del mais, utilizzato nei mangimi. L’Ucraina ha circa il 15 per cento dell’export mondiale e una percentuale simile è quella che l’Italia importa dal paese. Secondo l’Ismea, “i mangimifici devono attivare canali di approvvigionamento da altri paesi Ue, soprattutto da quelli che nel 2021 hanno registrato maggiori raccolti (Austria, Francia, Romania), mentre per altri paesi fornitori nazionali i raccolti 2021 sono diminuiti (Ungheria, Croazia). Gli approvvigionamenti Ue garantiscono copertura più immediata; più difficile immaginare un incremento delle importazioni dagli Usa, sia per fattori logistici sia perché quella produzione è caratterizzata da varietà ogm vietate nella Ue”.

Nel mercato dei pannelli di estrazione di olio di girasole, Russia e Ucraina sono i primi due fornitori dell’Italia soddisfacendo, rispettivamente, il 29 e il 24 per cento delle importazioni totali nel 2021. Sul mercato dei fertilizzanti, Russia e Ucraina sono primi produttori al mondo, ma l’Italia si rifornisce da quei paesi per una quota piuttosto bassa.

Effetti per i paesi più poveri del mondo

Secondo il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) dell’Onu, gli effetti dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e la carenza di colture di base già si fanno sentire nella regione del Vicino Oriente e del Nord Africa e si stanno diffondendo nei paesi più vulnerabili del mondo, compreso il Corno d’Africa. Il Medio Oriente e l’Africa importano più della metà delle loro forniture di cereali dalla Russia e dall’Ucraina. La Russia è anche il più grande produttore mondiale di fertilizzanti, di conseguenza i loro prezzi sono destinati a salire ulteriormente rispetto all’anno scorso, e ciò contribuirà al rincaro dei prezzi alimentari. Anche nel 2021, prima del conflitto, i picchi dei prezzi dei fertilizzanti hanno contribuito a un aumento dei prezzi alimentari di circa il 30 per cento.

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L’analisi dell’Ifad mostra che l’aumento dei prezzi degli alimenti di base, del carburante e dei fertilizzanti e altri effetti a catena del conflitto stanno avendo un impatto terribile sulle comunità rurali più povere. Per esempio, in Somalia si stima che 3,8 milioni di persone siano già gravemente insicure dal punto di vista alimentare, dopo che i costi dell’elettricità e dei trasporti sono saliti alle stelle a causa dell’aumento dei prezzi del carburante. In Egitto, i prezzi del grano e dell’olio di girasole sono aumentati a causa della dipendenza del paese dalla Russia e dall’Ucraina per l’85 per cento delle forniture di grano e per il 73 per cento dell’olio di girasole. In Libano, il 22 per cento delle famiglie sono in condizioni di insicurezza alimentare e la carenza di cibo o ulteriori aumenti dei prezzi esacerberanno una situazione già disperata. Infatti, il paese importa fino all’80 per cento del suo grano dalla Russia e dall’Ucraina, ma può immagazzinare solo un mese di raccolto alla volta a causa dell’esplosione nel porto di Beirut nel 2020 che ha distrutto i principali silos di grano del paese. I paesi dell’Asia centrale, che dipendono dalle rimesse inviate a casa dai lavoratori migranti in Russia, sono stati colpiti duramente dalla svalutazione del rublo russo. In Kirghizistan, per esempio, le rimesse costituiscono più del 31 per cento del Pil e la maggior parte provengono dalla Russia.

L’effetto della guerra sui mercati agroalimentari sarà drammatico: razionamenti e rincari si riverseranno a valle su tutta la filiera, quando già i rincari di trasporti ed energia stanno facendo aumentare rapidamente i costi di produzione e distribuzione. Dal settore agroalimentare ed energetico arriverà il grosso delle spinte inflazionistiche. Una colossale crisi di offerta si abbatterà sulle famiglie, che a mala pena stanno uscendo dalla doppia crisi di domanda e offerta causata dalla pandemia.

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