La guerra in Ucraina ha inevitabili conseguenze su crescita, commerci e inflazione a livello mondiale. Ma cosa succederà quando sarà terminata? Alle previsioni fosche si contrappongono scenari più ottimistici, di continuità con l’ordine attuale.
Una guerra con conseguenze economiche mondiali
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non è certamente una guerra mondiale. È invece una guerra con indubbie conseguenze economiche e geopolitiche planetarie, che nessun altro conflitto negli ultimi 75 anni ha provocato. Dalla Seconda guerra mondiale, infatti, nessuno scontro regionale, dalla guerra in Corea a quella in Vietnam, da quella in Iraq a quella in Siria, ha avuto un impatto così rilevante sulla crescita mondiale, l’inflazione, il commercio, ma anche le relazioni internazionali.
A livello economico la revisione dei tassi di crescita fatte recentemente dal Fmi nell’ultimo numero dell’World Economic Outlook ci permette di stimare a poco meno di un triliardo di dollari la perdita del Pil mondiale nei prossimi due anni. Per un quarto sarà subita dalla Russia, un altro quarto dai paesi dell’Unione europea, un sesto dagli Stati Uniti e la rimanente parte dal resto del mondo. In particolare, l’Italia vedrà ridotta la sua crescita di circa 45 miliardi di dollari, pari a due punti percentuale del Pil. Alcuni paesi forti produttori di materie prime, quali l’Argentina, il Brasile, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi – ne trarranno, invece, benefici in termini di crescita. In altre parole, gli effetti di breve periodo della guerra sullo sviluppo appaiono ampiamente asimmetrici e la Russia, al di là delle polemiche sulla relativa efficacia delle sanzioni, subirà solo una piccola percentuale dei costi che il mondo dovrà patire. Ovviamente le perdite in termini relativi del Pil dei due belligeranti, Ucraina e Russia, saranno molto più alte di quelle di qualsiasi altro paese: rispettivamente del 35 per cento e del 16 per cento in due anni.
La guerra avrà anche pesanti effetti in termini di minore commercio internazionale e maggiore inflazione. Anche in questo caso gli effetti saranno asimmetrici poiché colpiranno di più i paesi in via di sviluppo rispetto a quelli avanzati. I primi vedranno in due anni ridursi il proprio export del 3,2 per cento e aumentare i prezzi al consumo del 4,6 per cento, i secondi di meno della metà.
Se gli effetti in termini di minor crescita fanno ancora fatica a farsi sentire, quelli sull’inflazione sono già ben visibili. Questo perché l’aumento delle materie prime si è subito scaricato sui costi della benzina e del gasolio, mentre gli effetti della minor crescita hanno tempi di gestazione più lunghi. Inoltre, la guerra è arrivata in un momento di forte ripresa economica, se non di surriscaldamento, che almeno negli Stati Uniti aveva già innescato una spirale prezzi-salari. Dalle due parti dell’Atlantico, poi, le politiche fiscali espansionistiche non hanno finito di esercitare i loro effetti, mentre la liquidità rimane ancora abbondante poiché le banche centrali hanno appena iniziato a stringere i cordoni della borsa.
La guerra porterà anche a un aumento della spesa pubblica sia per il processo di riarmo che ha innescato sia per gli aiuti che dovranno essere forniti alla popolazione ucraina, a numerosi paesi in via di sviluppo che andranno in crisi e a vasti ceti della popolazione dei paesi avanzati che subiranno gli effetti del maggiore costo delle materie prime. Quasi tutti i paesi hanno già disposto sussidi all’acquisto della benzina e di altre materie prime, mentre gli Stati Uniti hanno finora stanziato la cifra record di 13,6 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina. Stime recenti valutano che i danni subiti dall’Ucraina ammontino a 600 miliardi di dollari e che il paese abbia bisogno di 5 miliardi al mese di aiuti per sopravvivere. La maggiore spesa pubblica in parte andrà ad attenuare gli effetti recessivi, ma soprattutto favorirà in maniera asimmetrica alcuni settori economici rispetto ad altri. Si pensi a quello degli armamenti, dell’energia, dell’agricoltura e della siderurgia, solo per fare qualche esempio.
Ai costi materiali vanno aggiunti quelli umani, provocati da migliaia di morti, feriti, persone costrette a emigrare fino allo stress, che ha colpito gli individui sia nei paesi coinvolti direttamente che indirettamente nel conflitto. Sulla base di alcuni dati provvisori, un recente lavoro di Dan Ciuriak, utilizzando parametri standard del valore statistico della vita (Value on a Statistical Life -Vsl), li ha stimati in non meno di sei trilioni.
Quale sarà il nuovo ordine economico?
Tuttavia, quello che può preoccupare di più sono le conseguenze economiche della pace, per parafrasare il famoso libro di Keynes scritto nel 1919 dopo la Prima guerra mondiale. Finita la fase più cruenta della guerra – ed è nostra opinione che il momento non sia troppo lontano, perché Putin ha un forte bisogno di dichiarare la vittoria e non può eccedere nel pagarne i costi – quale ordine economico si stabilirà? Alcuni commentatori hanno ipotizzato che: 1) il mondo piomberà in una nuova “guerra fredda”, dove oltre la “cortina di ferro” non starà più l’Unione Sovietica ma l’Unione russo-cinese; 2) la globalizzazione finirà e a prevalere sarà un nuovo più rassicurante regionalismo commerciale; 3) le numerose organizzazioni internazionali, nate dopo la Seconda guerra mondiale, che in questa fase hanno giocato solo un ruolo di comprimarie, saranno destinate a scomparire così come i G8/20; 4) la teoria della stagnazione secolare, sinora sposata da uno sparuto numero di economisti, avrà la meglio in un mondo dove la mobilità delle merci e dei fattori è più ridotta e l’allocazione delle risorse è meno efficiente.
Alla base di queste ipotesi sta la durezza dei toni utilizzati dall’amministrazione americana, che ha avuto la necessità di mandare chiari messaggi soprattutto alla Cina, oltre a un più generale sentimento di empatia del mondo occidentale alla causa ucraina. Tuttavia, dopo una prima fase di assestamento gli elementi di continuità nell’ordine internazionale potrebbero prevalere e gli aggiustamenti dovrebbero essere meno catastrofici di quelli oggi ipotizzati. La storia, in fondo, ci insegna che spesso gli uomini sono ben disposti a dimenticare velocemente gli orrori delle guerre, mentre le ragioni economiche finiscono per prevalere, soprattutto in un mondo dove le ideologie sono quasi del tutto scomparse. Certo, è possibile che i danni della guerra provochino l’insorgere di regimi totalitari, come era successo dopo la Prima guerra mondiale, ma quella era appunto un conflitto mondiale che aveva lasciato sul terreno 10 milioni di morti e 20 milioni di feriti.
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Lorenzo
Concordo. Questo è destinato a essere il secolo cinese e la Russia è destinata a diventare sempre più comprimaria perché stritolata dalla volontà cinese di utilizzarla come cane da guardia dell’Occidente e dal suo stesso orgoglio di potenza decaduta.
È un peccato; Io spero sempre in una ripresa dei commerci globali …
Giuseppe
Concordo su tutto ma ho un’idea diversa sulla stagnazione secolare – equilibrio tra decisioni di risparmio e di investimento con un valore negativo del tasso di interesse reale – perché il riarmo, la ricostruzione fisica post bellica, la ripresa di degli investimenti strategici connessi con il ritorno della storia – p.es i chip in Europa – e il reshoring delle catene di fornitura a seguito della rottura della globalizzazione saranno tutti fenomeni che aumenteranno la domanda di investimenti e questo, a parità di risparmio, dovrebbe aumentare il tasso di interesse reale di equilibrio. IMHO