Entro il 2027, almeno il 40 per cento degli amministratori di società senza incarichi esecutivi dovrebbe essere donna. Lo prevede un progetto di direttiva europea. Nonostante i progressi, in questo ambito rimangono infatti forti disparità di genere.
Il progetto di direttiva
Dopo un percorso non privo di difficoltà, nel marzo 2022 il Consiglio europeo ha adottato un orientamento generale su un progetto di direttiva per il miglioramento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società. L’obiettivo è garantire che, entro il 2027, almeno il 40 per cento degli amministratori senza incarichi esecutivi (o il 33 per cento, qualora lo stato membro decida di includere anche gli amministratori con incarichi esecutivi) siano del genere sotto-rappresentato: per tutti i paesi, le donne.
A ottobre 2021, infatti, solo il 30,6 per cento dei membri dei consigli di amministrazione delle più grandi società quotate in borsa nell’Unione europea erano donne per il 30,6 per cento. La percentuale femminile scende a 8,5 per cento se si guarda solo ai presidenti dei Cda.
La situazione in Italia
Secondo il rapporto “Women in the boardroom: a Global perspective” pubblicato da Deloitte, nel 2021 l’Italia è però tra i tre paesi più virtuosi in termini di presenza femminile nei Cda: 36,6 per cento, contro una media europea del 30,7. Davanti all’Italia, e sopra il 40 per cento, solo Norvegia e Francia (figura 1), due paesi che, come il nostro, hanno adottato normative nazionali finalizzate a rafforzare la presenza femminile nei consigli di amministrazione. Rispetto al 2011, anno di introduzione della legge Golfo-Mosca, i dati sono infatti nettamente migliorati. Nell’ambito dell’attività di monitoraggio di quella norma, il rapporto dell’Osservatorio inter-istituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società italiane registra una crescita della presenza femminile tra il 2011 e il 2019, sia negli organi di amministrazione che negli organi di controllo di banche, società quotate, società a controllo pubblico e società di capitali private (figura 2). Nonostante ciò, rimangono alcuni nodi da sciogliere. Se si guarda ai diversi ruoli delle donne, gli amministratori delegati continuano a essere soprattutto – se non quasi esclusivamente – uomini. Nelle società quotate, solo il 2 per cento delle donne nei Cda ricopre questo ruolo. Una tendenza che si ritrova anche nella carica di amministratore unico nelle società a controllo pubblico, solo nel 12,3 per cento dei casi esercitata da una donna.
Altri dati sul fronte delle società controllate da pubbliche amministrazioni, anch’esse interessate dalla legislazione sulle quote di rappresentanza di genere, vengono da un recente rapporto (“Ricognizione degli assetti organizzativi delle principali società a partecipazione pubblica”) curato dalla Camera dei deputati. Le donne sono meno del 50 per cento in tutte le tipologie di organi collegiali di amministrazione e controllo. La percentuale più bassa si registra nei consigli di amministrazione, in cui, a marzo 2019, la percentuale femminile a livello nazionale era del 28,5 per cento. Più elevata la presenza di donne tra i sindaci supplenti nei collegi sindacali (41,7 per cento). Per tutte le tipologie di organi, i dati sono in aumento rispetto al 2016 (figura 3).
Differenze tra Nord e Sud
Rimangono però differenze territoriali ben evidenti. Per tutte le tipologie di organo, al Sud e nelle Isole la percentuale femminile è sempre più bassa rispetto al Nord e al Centro, con divari che, nel caso dei consigli di amministrazione, superano i 10 punti percentuali (figura 3) e con valori assoluti inferiori al 20 per cento del totale, quota minima prevista di presenza del genere meno rappresentato (in sede di primo rinnovo degli organi). Eppure, la mancata o debole crescita nella presenza femminile all’interno dei consigli di amministrazione ha conseguenze sulla loro efficienza ed efficacia.
Per esempio, c’è evidenza empirica secondo cui la legge Golfo-Mosca (che impone le quote di genere nelle società a controllo pubblico) e la legge Severino (che limita l’accesso a cariche pubbliche a chi ha svolto attività politica) hanno migliorato la qualità dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, con l’uscita di consiglieri più anziani e con maggiori legami con la politica e l’ingresso di donne altamente qualificate. Il ricambio ha avuto poi effetti positivi su alcuni indicatori economico-finanziari delle imprese a controllo pubblico e sulla qualità percepita dei servizi offerti. Effetti positivi che per l’Italia sono stati evidenziati anche per le società quotate. Una evidenza favorevole che può supportare le negoziazioni in corso per la direttiva europea
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Jeriko
Misurare la parita di genere in termini di numeri ha veramente poco senso, non tiene in considerazione il fattore opportunita e inclinazione (perche´ si assume che tutte le donne vorrebbero occupare i posti nei board di amministrazione ? )
Se poi si considerassero altre categorie i risultati searebbero disastrosi; ad esempio: quanto e´ il livello di parita di genere tra i muratori? Non fatico a credere che quasi la totalita sia maschile, sarebbe quindi indice di disparita´? Non credo, proprio per il fattore inclinazione.
La vera opportunita´ di genere risiede nella possibilita di scegliere e seguire le proprie preferenze. Se cosi´fosse probabilmente ci sarebbero dei mainstream femminili, ma non sarebbe assolutamente indice di disparita´.