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Comuni in confusione sugli asili nido

Il Pnrr considera prioritario lo sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia. Ma la legge di bilancio per il 2022 non stanzia risorse adeguate alla gestione del servizio. Ai comuni rimane un quadro confuso su risorse, obiettivi e strategie.

Le risorse destinate agli asili nido

Il Piano nazionale di ripresa resilienza stanzia 2,4 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi posti di nido. Nella distribuzione delle risorse tra le regioni tiene conto, per un 75 per cento, del recupero del divario attuale nell’offerta di servizi rispetto alla popolazione potenziale e, per un 25 per cento, della popolazione tra 0 e 2 anni. Gli interventi finanziabili, previa partecipazione dei comuni ad avvisi pubblici, riguardano sia i nidi che i servizi integrativi per la prima infanzia e le cosiddette “sezioni primavera” e vanno dalla riconversione di edifici pubblici, agli ampliamenti di strutture esistenti o alla loro messa in sicurezza.

Nel frattempo, la legge di bilancio per il 2022 (legge 234/2021) ha stanziato un ammontare di risorse rilevante e crescente per la gestione degli asili nido (120 milioni di euro per il 2022 fino ai 1.100 milioni di euro dall’anno 2027) che vanno ad aggiungersi al Fondo di solidarietà comunale (Fsc).

I posti aggiuntivi

Sono due interventi importanti, che affermano la priorità dell’offerta di questi servizi per la crescita economica e sociale del paese. E, tuttavia, sono tra loro non del tutto coordinati, rivelando incongruenze già emerse negli interventi per l’università e per gli istituti tecnici superiori.

Il numero di posti aggiuntivi di asili nido che potenzialmente può essere realizzato con le risorse del Pnrr è stimabile in 194mila a livello nazionale, corrispondente a una copertura della popolazione interessata del 45,5 per cento entro il 2025. Con le risorse in legge di bilancio, il numero di posti di asili nido finanziabile è pari a soli 15.639 per il 2022, mentre, a regime, nel 2027, dovrebbe arrivare a circa 143mila, per una quota di copertura di nidi, rispetto alla popolazione potenziale, che dovrebbe raggiungere in modo graduale il 28,88 per cento nel triennio 2022-2026 e il 33 per cento nel 2027 (tabella 1).

L’incongruenza potrebbe contribuire a spiegare l’iniziale scoraggiamento e lentezza degli enti locali nella partecipazione agli avvisi pubblici per l’attribuzione dei fondi del Pnrr. Alla scadenza inizialmente prevista di fine febbraio, le richieste di contributo si attestavano a circa la metà dei fondi disponibili, seppure con notevoli differenze territoriali (tabella 2). Il Centro-Nord aveva presentato candidature per circa il 60 per cento del plafond, ma solo poche regioni lo avevano esaurito e sono proprio quelle dove l’offerta di servizi è già molto alta e altrettanto lo è la domanda. Nel Mezzogiorno, dove il servizio è meno presente e colmare il gap è più urgente, ma anche lo sforzo per raggiungere il target è maggiore, la domanda è stata bassa (37,5 per cento). Solo dopo l’estensione del termine per la partecipazione agli avvisi e a seguito di una capillare azione di scouting da parte di Agenzia di coesione, le somme richieste sono arrivate a 2 miliardi.

Incoerenze tra interventi diversi

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È tuttavia il quadro delle strategie e degli strumenti a essere confuso (tabella 3). Il decreto legislativo 65/17, che ha istituto il sistema integrato educazione e istruzione da 0 a 6 anni, ha posto un obiettivo, a livello nazionale, di copertura tramite nidi, servizi integrativi e sezioni primavera, del 33 per cento, da realizzare sia tramite investimenti sia con finanziamento di spese correnti. Il Fsc (Fondo di solidarietà comunale) viene determinato annualmente sulla base del fabbisogno standard per gli asili nido, fissando un target diverso ancora, con un minimo livello di servizio differenziato per fascia demografica del comune e un massimo del 28,88 per cento.

I comuni hanno espresso un forte scetticismo rispetto al quadro molto disorganico di risorse, obiettivi e strategie. Si aggiunge poi l’urgenza di avviare interventi sul fronte degli investimenti, rispetto a tempi più lunghi e incerti su quello della spesa corrente, addebitabili alla indeterminatezza del quadro finanziario e demografico. Naturalmente, sono le realtà economicamente più deboli a soffrirne di più, dove i livelli della domanda stentano a crescere, i comuni sono finanziariamente fragili, il contributo ai servizi da parte delle famiglie pressoché assente e dove, come mostra un precedente articolo, è anche maggiore la difficoltà nel gestire i fondi europei. In definitiva, sarebbe utile perseguire una maggiore coerenza tra risorse finanziarie di parte corrente – e tra le varie misure in cui queste si articolano – e di parte in conto capitale, considerando anche il profilo temporale.

Soprattutto, bisognerebbe fare chiarezza sul modello di offerta a cui si mira, assicurando continuità alle realtà con livelli di servizio più vicini a quelli obiettivo, mentre si incentiva il progressivo adeguamento laddove i livelli di servizio sono più distanti.

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  1. maurizio tosi

    Dispiace non si affronta la questione nell’elemento centrale. Nel nostro paese non si è ancora deciso di definire la scuola dell’infanzia come diritto universale, per tutti e gratuito. L’asilo nido e la scuola per l’infanzia sono tuttora servizi a domanda individuale di cui il comune e la famiglia devono farsi carico, La spesa per un posto oscilla in quasi tutti i comuni fra i 150 e i 500 Euro a seconda del reddito. La selezione di censo colpisce prevalentemente il Sud ma anche al Nord moltissime famiglie non sono in grado di aggiungere questo agli altri costi. La crisi accentuerà ulteriormente il fatto.

  2. Cincera

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