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Per gli inquilini nessun beneficio dalla cedolare

La cedolare secca ha un grande successo fra i proprietari di case in locazione. Ma la sua introduzione avrebbe dovuto anche ridare slancio al mercato degli affitti e contenere i canoni. Entrambi gli obiettivi non sembrano essere stati raggiunti.

Il successo della cedolare

La preferenza accordata, nel 2020, alla cedolare secca sui canoni di locazione rispetto al regime ordinario da oltre due milioni e mezzo di locatori è segno del suo successo, come abbiamo ricordato in un precedente articolo. È però dubbio che il gettito derivante dall’emersione di canoni in precedenza non sottoposti a tassazione, favorita dalla sua applicazione, abbia compensato la perdita fiscale su imponibili che già erano dichiarati e che hanno beneficiato del passaggio dall’imposta progressiva a quella proporzionale. L’altro risultato che ci si aspettava dalla cedolare al momento della sua introduzione, nel 2011, era il rinvigorimento del mercato delle abitazioni in locazione, con l’aumento dell’offerta e il contenimento del livello dei canoni. Anche sul raggiungimento di questo obiettivo non mancano le perplessità.

L’effetto sull’offerta

L’applicazione della cedolare secca esenta dalle addizionali Irpef e dalle imposte di registro e di bollo. Quindi procura ai locatori un risparmio fiscale crescente all’aumentare del reddito. Per i redditi medi e alti il vantaggio è notevole. Per i proprietari il cui reddito ricade almeno nel terzo scaglione, la differenza tra la percentuale, sul canone, dell’Irpef e della cedolare è di una ventina di punti sia per i canoni liberi sia per quelli concordati. A parità di canone pagato dall’inquilino, aumenta l’importo incassato dal proprietario al netto dell’imposta e di conseguenza anche il rendimento del suo investimento. Questo dovrebbe accrescere il flusso di capitali dei privati indirizzati alla costruzione di nuove abitazioni da cedere in locazione, soprattutto da parte dei proprietari con i redditi più elevati, che più traggono beneficio della cedolare secca. Ne dovrebbe derivare un aumento dell’offerta di abitazioni in affitto e, fermo restando la domanda, una riduzione dei canoni.

Non vi sono, tuttavia, dati che permettano di affermare che l’introduzione della cedolare secca abbia determinato una crescita dell’offerta di abitazioni in locazione. Ma se guardiamo all’andamento del numero di permessi di costruzione rilasciati dai comuni per la realizzazione di nuove abitazioni nel decennio di applicazione della cedolare sembra di poter escludere che questo effetto si sia prodotto. Nel 2011 ne furono rilasciati circa 105mila, con un dimezzamento rispetto al numero medio annuo del decennio precedente. Tra il 2012 e il 2020, il numero ha superato di poco le 52mila unità, pari alla metà di permessi rilasciati nel primo anno di applicazione della cedolare secca.

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Non si può stabilire quanti permessi autorizzino la costruzione di abitazioni destinate al mercato della locazione; ma la loro distribuzione tra categorie di soggetti richiedenti fa ritenere che siano una quota non rilevante. Nel 2020 solo per un terzo di essi, cioè meno di ventimila, la richiesta è stata avanzata da persone fisiche, che costituiscono la categoria di contribuenti che può optare per la cedolare. Ovviamente, anche per i nuovi immobili di proprietà di persone fisiche non è ipotizzabile la misura in cui essi sono destinati alla locazione.

Il livello dei canoni

La cedolare secca non sembra avere reso meno onerosi i canoni per gli inquilini. La Figura 1 evidenzia che (ferma l’ipotesi, avanzata nel precedente articolo, che il numero di abitazioni coincida con quello dei contribuenti) il canone medio annuo, sia libero sia concordato, ha registrato un calo rilevante nei primi tre anni di applicazione della cedolare; negli anni successivi la tendenza è stata all’aumento per quelli liberi e a una sostanziale stabilità per i concordati.

Sembra confermarlo anche la lettura della breve serie storica del canone annuo medio per metro quadrato ricavabile dai rapporti immobiliari per il settore residenziale dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate. La cedolare secca può essere applicata solo nei comuni ad alta tensione abitativa (Ata), dove dal 2015 al 2020 il valore dell’indicatore è cresciuto del 10 per cento per i canoni liberi e dell’8 per cento per quelli concordati. Nel 2021, anno per il quale non è ancora possibile il raffronto con i dati della cedolare secca, il canone medio annuo al metro quadrato ha continuato a crescere.

Tabella 1 – Canone annuo medio a metro quadro per tipo di canone

Fonte: elaborazione dati Omi, Rapporto immobiliare, settore residenziale, anni vari.

La crescita dei canoni induce a ritenere poco probabile che una parte del risparmio fiscale di cui beneficiano i locatori sia trasferita ai loro inquilini. Il beneficio evidente per i locatari resta, pertanto, quello dell’invarianza dei canoni, che il ricorso alla cedolare secca garantisce per tutta la durata del contratto; la sua misura dipende dall’inflazione.

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Anche i canoni per unità di superficie evidenziano uno scarto tra liberi e concordati. Nei primi anni di applicazione della cedolare, questi ultimi sono stati 7 o 8 punti percentuali più bassi dei primi; negli anni seguenti la differenza si è accentuata, fino a toccare il 12,5 per cento nel 2018. L’importo dei canoni concordati è, però, inferiore a quello dei canoni liberi non a causa del tipo di imposta applicato, bensì per gli accordi territoriali tra rappresentanze dei proprietari e degli inquilini, che negoziano canoni più bassi di quelli di mercato – ed è la ragione per cui questo regime contrattuale fu introdotto, nel 1998, con una fiscalità di vantaggio. In definitiva, mentre è certo il vantaggio che dalla cedolare secca traggono i locatori, non altrettanto sembra si possa dire per gli inquilini. Sono sicuramente i più colpiti dal disagio abitativo, ma la loro situazione è la più trascurata da politiche della casa che sono nel complesso carenti.

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Piccole questioni di quorum

  1. Massimo

    Non credo che il numero di licenze a costruire sia un parametro valido per valutare l’efficacia della cedolare secca. Vi è ovunque una spinta a ridurre l’urbanizzazione e la popolazione è sostanzialmente stabile. Un parametro significativo invece sarebbe valutare l’andamento del numero di contratti registrati.

    • paolo

      in effetti sembra impensabile valutare una misura di contrasto all’evasione senza considerare gli effetti sulla medesima (e più in generale sull’equità fiscale).

      • Lorenzo

        Un po’ come la flat tax. È scandaloso che chi ha un reddito di 60k€ sia equiparato a chi ha 20€.
        Questi ultimi dovrebbero essere tassati come nel regime dei minimi!

        • mike

          ma cos’è sta marxata? la cedolare secca è secca proprio perché slegata dagli altri redditi

  2. Fausto Tagliabue

    Con la cedolare gli affitti sono bloccati da anni: questo è il beneficio per gli inquilini oltre al minor costo del 50% della registrazione dei contratti.

  3. Giovanni

    Nell’articolo traspare quasi un intento punitivo nei confronti dei proprietari. Vorrei ricordare che tra le imposte c’è anche l’IMU, che nel mio caso equivale a due mesi di affitto, cioè un altro 17%. Il vero motivo per cui non vi sono appartamenti in locazione è che il proprietario non è tutelato di fronte agli inadempienti: le tasse vanno pagate in rapporto al canone riportato sul contratto, anche se l’affitto non viene pagato (è costituzionale una tassa su un reddito inesistente? ), se l’inquilino non paga il condominio deve subentrare il proprietario, lo sfratto va per le lunghe, è oneroso e comunque è spiacevole e comporta amarezza.

    • mike

      non è costituzionale infatti, si può pagare solo la cedolare relativa ai canoni riscossi con buone possibilità di avere ragione in caso di contestazioni

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