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Come risvegliare le università del Mezzogiorno

Gli atenei del Sud patiscono un calo di iscritti legato a ragioni demografiche e una carenza di risorse dovuta alla minore capacità contributiva degli studenti. Con più fondi si potrebbero attenuare i divari con il Nord, incentivando i miglioramenti.

Perché calano le iscrizioni

Negli ultimi anni, diversi lavori si sono dedicati all’analisi dei divari nei risultati e nella distribuzione delle risorse tra atenei del Centro Nord e del Mezzogiorno. Un nuovo studio torna su questi temi, e in particolare sugli andamenti territoriali delle iscrizioni, sulla performance degli studenti e degli atenei e sull’allocazione dei finanziamenti pubblici, cercando di mettere ordine in un dibattito spesso polarizzato.

Il dato da cui partire è l’evidente, progressiva divergenza nell’andamento delle iscrizioni agli atenei delle due aree nell’ultimo decennio (Figura 1). Come si mostra nel lavoro, non dipende né da una diversa evoluzione nella propensione a proseguire gli studi dopo il diploma, né dall’intensificarsi della spesso evocata mobilità degli studenti verso gli atenei del Centro-Nord. Alla base c’è invece una questione demografica: nel Mezzogiorno i giovani nell’età tipica per l’immatricolazione sono diminuiti, mentre nel Centro-Nord hanno continuato a crescere. Nei prossimi 15 anni, secondo le proiezioni dell’Istat, il divario nei trend demografici si amplierà ulteriormente, ma il numero di giovani in età “di immatricolazione” scenderà anche al Centro-Nord. A parità di propensione a continuare gli studi, quindi, gli scenari saranno sfavorevoli per tutti gli atenei, decisamente peggiori per quelli del Sud.

Per l’università italiana e per la produzione di capitale umano del paese diverrà quindi cruciale che aumenti la quota di coloro che si iscrivono a corsi universitari. Nel caso degli atenei meridionali sarà anche fondamentale accrescere la capacità di attrarre studenti, dato che uno studente del Mezzogiorno su cinque si iscrive al Centro Nord, mentre i flussi nella direzione contraria sono praticamente nulli.

Attrattività degli atenei del Mezzogiorno

Un aumento dell’attrattività delle università meridionali, in parte penalizzata dalle migliori opportunità occupazionali offerte dal Nord, passa necessariamente per un innalzamento della loro qualità, mediamente più bassa su diverse dimensioni. Gli atenei meridionali mostrano ritardi nella qualità dei servizi e nella didattica (almeno secondo le percezioni degli studenti), così come nella qualità della ricerca. Seppure in riduzione negli ultimi anni anche grazie all’introduzione dei cicli di valutazione dell’Anvur e di meccanismi di finanziamento incentivanti, il divario nella qualità della ricerca evidenzia problemi nella selezione del corpo docente. I recenti risultati del terzo esercizio di valutazione condotto dall’Anvur mostrano che la qualità del reclutamento è migliorata anche al Sud. Confermano tuttavia il persistere di risultati nella ricerca mediamente meno favorevoli per gli atenei meridionali rispetto a quelli del Centro e soprattutto del Nord.

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La minor qualità degli atenei del Sud concorre a spiegare i divari nei risultati accademici degli iscritti, anche se, come mostrato nel lavoro, le differenze derivano in gran parte dalla minor preparazione degli studenti in ingresso, accentuata dalla selettività dei flussi di mobilità verso il Centro-Nord, che interessano soprattutto i più preparati.

Le risorse

Tra il 2009 e il 2015, l’insieme dei fondi Ministero dell’Università e ricerca destinati al sistema universitario si è ridotto di circa il 20 per cento in termini reali, recuperando solo in parte negli anni successivi, con la conseguente forte riduzione sia del numero dei docenti sia del personale amministrativo.

La diminuzione dei fondi è stata particolarmente ampia per gli atenei del Mezzogiorno, la cui quota di studenti si è ridotta, e per quelli del Centro (Figura 2), dove i livelli di finanziamento iniziali erano superiori alla media nazionale. In rapporto alle iscrizioni, tuttavia, il calo dei trasferimenti pubblici e delle risorse umane è stato molto più marcato per le università del Nord, data la forte crescita degli iscritti.

Cionondimeno il calo delle risorse ha determinato un ridimensionamento degli atenei del Sud e ha accresciuto le conseguenze della loro minore capacità di attingere ad altre fonti di entrata, sia pubbliche sia private. Tra queste, un ruolo importante hanno le tasse universitarie, che costituiscono quasi il 14 per cento delle entrate complessive nella media nazionale. Al Sud, risentono della minore capacità contributiva degli studenti meridionali, dovuta al ritardo economico dell’area ed esacerbata dalla selettività dei flussi di mobilità universitaria, che riguarda gli studenti provenienti dalle famiglie più abbienti. Attualmente, nell’allocazione dei fondi pubblici se ne tiene conto attraverso una componente perequativa inserita nel calcolo del costo standard per studente, che tuttavia incide poco, dato che si tratta di un parametro utilizzato per ripartire meno di un quarto dei trasferimenti totali.

In termini di risorse, il problema principale risiede tuttavia nell’ammontare insufficiente dei fondi e non nei criteri di ripartizione, che tengono ora giustamente conto dell’andamento delle iscrizioni e dei risultati degli atenei.

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Il calo dei trasferimenti alle università ha dato un contributo modesto agli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche, ma ha indebolito un settore di importanza cruciale, già sotto-finanziato. Peraltro, il settore universitario mostra risultati nella ricerca più che buoni nel confronto internazionale, specialmente tenendo conto dell’ammontare delle risorse investite ed è l’unico comparto pubblico che prevede un sistema di valutazione e di finanziamento incentivante. Solo negli ultimi anni i finanziamenti sono tornati a salire, senza ancora recuperare il calo subito, e ulteriori incrementi sono previsti nel prossimo triennio, anche se non in misura tale da colmare l’ampio divario rispetto alla media europea, pari a circa lo 0,3 per cento del Pil (circa 5 miliardi).

Se è sicuramente fondamentale migliorare la gestione degli atenei continuando a far leva sugli incentivi, occorre anche un innalzamento significativo e strutturale del totale delle risorse disponibili, tale da ridurre il ritardo rispetto agli altri paesi avanzati. Con maggiori risorse sarebbe possibile definire una riserva addizionale a favore degli atenei localizzati nelle aree in ritardo di sviluppo, distribuita incentivandone il miglioramento. Una riserva di questo tipo potrebbe essere utilizzata per tener pienamente conto della minor capacità contributiva di questi territori, ma anche, se ritenuto desiderabile, per salvaguardare la presenza di atenei in aree penalizzate dagli andamenti demografici, tenendo conto che il loro ruolo non si limita alla didattica e che possono contribuire allo sviluppo locale. Allo stesso tempo, un significativo aumento dei finanziamenti potrebbe consentire di accrescere il ruolo di criteri premiali nell’allocazione delle risorse, che attualmente risulterebbe insostenibile per molti atenei: i trasferimenti complessivi, compresi quelli ripartiti su base premiale, e le tasse universitarie coprono infatti appena i costi di funzionamento, contrariamente a quanto avviene nei sistemi universitari che adottano criteri di allocazione dei fondi per la ricerca molto più selettivi.

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  1. Marcello Romagnoli

    Il primo passo che si dovrebbe fare è riportare il finanziamento a livello della media europea. Siamo a -30% per studente secondo lo studio Educational at glance. Già questo produrrebbe un aumento dei fondi anche alle università del sud.
    Una nazione che vuole rimanere al passo con le altre deve investire di più sul settore ricerca – istruzione

  2. paolo

    ben vengano maggiori investimenti in formazione e ricerca.
    ma francamente è discutibile il presupposto (assunto acriticamente nell’articolo) che sia più opportuno sostenere le università del sud nella “corsa” con quelle del nord, piuttosto che quelle di eccellenza (ovunque si trovino geograficamente) nella corsa con quelle dei competitor europei.

    • Roberto

      Caro Paolo, in realtà l’unico “assunto”dell’articolo , in realtà constatazione, è che il sistema universitario è sottofinanziato. Come si spiega nel lavoro, nessuno chiedere di sottrarre risorse agli atenei più dinamici. Bisogna però sapere che attualmente il finanziamento orinario (trasferimenti+tasse), anche se tornato a crescere, copre poco più delle spese di base e che i trasferimenti non tengono conto adeguatamente della minor capacità contributiva dei territori. Se si aumentassero in maniera congrua le risorse, si potrebbe aggiustare il finanziameno di base per tener conto dei divari nelle capacità contributiva dei territori e potenziare le componente premiali. Non si tratta di appiattire e tanto meno di rimuovere meccanismi valutativi e incentivi con tanta fatica introdotti nel sistema, ma di affrontare i problemi a partire dai dati di base. Con livelli di finanziamento ordinari bassi nel confronto internazionale diventa difficile immaginare di concentrare le risorse su pochi atenei, a meno che non si pensi che in Italia il sistema universiatrio sia sovradimensionato. Grazie del commento.

  3. Carlo Bianchi

    Non mi sembra una grande idea spendere altri soldi per università in cui non vuole andare più nessuno perché gestite in modo scellerato da settant’anni.
    La logica vorrebbe che si chiudesse almeno un 10% degli atenei creati in posti improbabili quando gli studenti erano il doppio.
    Poi mandiamo i docenti nelle altre università del centro nord (o anche del sud) così provano l’ebbrezza di fare lezioni e esami a 300 studenti per corso, prendendo uno stipendio con il potere d’acquisto dimezzato e facendo fatica ad arrivare alla fine del mese.

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