A partire dal 2021, i prezzi delle commodity energetiche sono progressivamente aumentati. Ne sono colpiti indistintamente tutti i principali paesi europei. Ma in Italia la crisi energetica rischia di produrre danni più gravi rispetto a Francia e Germania.

Le ragioni dei rincari

Nel corso degli ultimi diciotto mesi lo scenario economico internazionale è stato caratterizzato da una eccezionale corsa al rialzo nei prezzi delle materie prime, che hanno raggiunto in molti casi picchi senza precedenti da decenni. I rincari hanno toccato in maniera trasversale diverse commodity, non solo tra le materie prime, ma anche tra i semi-lavorati e hanno in alcuni casi raggiunto rialzi a doppia cifra già da fine 2021.

Il protagonista assoluto della fiammata è stato il gas naturale, il cui prezzo in Europa già a gennaio del 2022 era cresciuto del 421 per cento rispetto al dicembre 2019. Anche i prezzi di petrolio e carbone hanno subito impennate notevoli, sebbene con aumenti decisamente più contenuti di quelli del gas (rispettivamente +24 e +122 per cento a gennaio 2022 rispetto a dicembre 2019) (Figura 1).

Le cause dei rialzi delle materie prime energetiche sono molteplici e riguardano fattori di squilibrio tra la domanda e l’offerta – alcuni di carattere congiunturale, altri di carattere più strutturale – e sono preesistenti lo scoppio del conflitto in Ucraina. Ma, tra i paesi di provenienza dei combustibili fossili, la Russia gioca un ruolo di primo piano, coprendo quasi metà delle importazioni Ue di gas, il 44 per cento di quelle di carbone e quasi il 25 per cento per quelle di petrolio. Di conseguenza, le pressioni al rialzo dei prezzi già in corso a partire da metà dello scorso anno non potevano che essere amplificate dalla guerra (prima attesa e poi reale), che ha generato un’ulteriore fiammata delle quotazioni delle materie prime, come mostrano le impennate registrate a marzo.

Alle incertezze sullo squilibrio tra domanda e offerta di materie prime energetiche si è aggiunto quindi un ulteriore fattore di criticità: l’indeterminatezza sulla durata dello shock energetico, rendendo più incerta la riduzione delle tensioni sui mercati delle commodity e vanificando le aspettative, precedenti alla guerra, di una graduale discesa dei prezzi. Anzi, nel corso delle scorse settimane, i timori di tagli o interruzioni negli approvvigionamenti dalla Russia hanno peggiorato ulteriormente il quadro, gettando l’ombra – almeno per l’Europa – di un possibile deficit di offerta, soprattutto per il gas, con conseguente razionamento dell’energia.

Le conseguenze sull’economia

Ma come ha influito l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche sui costi energetici sostenuti dalle attività economiche?

L’analisi delle interdipendenze settoriali, resa possibile dalle tavole input-output, consente di stimare l’impatto che l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche ha sull’attività economica. Con opportune elaborazioni, si può  tener conto del doppio canale di trasmissione del rincaro sull’economia: come consumo (diretto) di materia prima energetica e come consumo (indiretto) di raffinati del petrolio e di elettricità-gas.

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Confrontando le stime per il nostro paese con quelle ottenute per Francia e Germania (Figura 2), si osserva come, anche prima delle recenti dinamiche inflattive sui mercati internazionali delle materie prime, i costi energetici erano maggiori per le imprese italiane rispetto ai competitor europei. Le differenze tra l’incidenza dei costi energetici nel biennio 2018-2019 erano relativamente contenute rispetto alla Germania (0,6 punti percentuali) ma già ampie rispetto alla Francia (1,6 punti percentuali).

Già nel 2021, la distanza nell’incidenza dei costi energetici dell’Italia dalla Germania aveva superato un punto percentuale, e ben 2,6 punti dalla Francia. Nel 2022, con le ulteriori fiammate dei prezzi, acuite dal conflitto Russia-Ucraina, il divario è stimato raggiungere un +2,1 per cento rispetto alla Germania e un +4,9 per cento rispetto alla Francia. Il maggior onere sostenuto per i costi energetici dall’Italia, in proporzione al totale dei costi sostenuti, è inoltre generalizzato a tutti i comparti dell’economia (Figura 3): riguarda tanto il settore primario, quanto il manifatturiero e il variegato mondo del terziario, incluso quello legato alla pubblica amministrazione, che risulta, per via della natura “residenziale” dei servizi erogati, particolarmente esposto ai rincari delle bollette di luce e gas.

Per la manifattura, il divario competitivo dell’Italia è soprattutto verso la Francia, mentre la distanza dalla Germania cresce in misura molto più contenuta, anche se non marginale. Al 2022, si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare a rappresentare l’8 per cento dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4 per cento nel periodo pre-pandemico), contro il 7,2 per cento per l’industria tedesca (dal 4 per cento) e del 4,8 per cento di quella francese (dal 3,9 per cento).

Nel complesso, quindi, nonostante i rincari delle materie prime esercitino un effetto consistente sui costi energetici di tutti i settori e per tutti i paesi, il sistema-Italia emerge come il più colpito.

In termini monetari, a seconda delle stime e delle ipotesi sottostanti, l’impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana compresa tra i 5,7 e 6,8 miliardi di euro su base mensile, ovvero in un maggior onere compreso tra 68 e 81 miliardi su base annua. Per il solo settore manifatturiero l’aumento dei costi energetici è quantificabile tra i 2,3-2,6 miliardi mensili, ossia tra i 27,3-31,8 miliardi su base annua. Per la Germania l’aumento è stimato tra 7,7 e 8 miliardi mensili (91,9 – 95,7 annui) per il totale economia e in circa 3,7 -3,8 miliardi mensili (45,9-47,2 annui) per la sola manifattura, mentre per la Francia le stime sono comprese tra 1,7 e 1,8 miliardi mensili (20,2-21,8 annui) per il totale economia e circa di 0,6 miliardi mensili (7,5 miliardi annui) per la sola manifattura.

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L’Italia e il gas

La principale ragione di un impatto così pervasivo e significativo della crisi energetica sull’economia italiana è legata alla forte dipendenza – molto più alta che in Francia e Germania – dall’utilizzo del gas naturale, non solo come fonte di produzione dell’energia elettrica, ma anche come input diretto all’interno dei processi produttivi.

Il gas naturale risulta infatti la fonte prevalente di consumo in Italia sia per il settore della distribuzione di energia (49 per cento circa nel 2019) – che poi la eroga sotto forma di gas ed elettricità agli altri comparti dell’economia – sia direttamente per la manifattura (76 per cento). Al contrario, il gas naturale come fonte di consumo per il settore energia è marginale sia in Germania (15 per cento, contro il 44 per cento del carbone) sia in Francia (4 per cento, contro l’83 per cento del nucleare), mentre il peso per il manifatturiero dei due paesi, pur significativo (68 per cento e 67 per cento), è molto inferiore a quello italiano (Tabella 1).

Ciò implica che variazioni dei prezzi del gas “fuori scala”, come quelle di questi mesi, che continuano a trainare al rialzo il prezzo dell’elettricità, hanno effetti proporzionalmente maggiori sulle filiere industriali italiane rispetto a quelle tedesche e francesi. Per l’Italia bisogna poi considerare che nel corso degli ultimi anni il ricorso da parte delle imprese nazionali a contratti a lungo termine per l’approvvigionamento del gas naturale è diminuito a favore di maggiori acquisti sul mercato a pronti, e ciò ha aumentato l’esposizione degli operatori alle variazioni delle quotazioni spot.

Le prospettive di una fase prolungata dei rincari energetici porta con sé il rischio di una grave perdita di competitività del sistema produttivo italiano rispetto al tessuto imprenditoriale dei suoi principali partner europei.

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