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Il Regno Unito dopo Johnson

Dopo l’ennesimo scandalo, il primo ministro inglese Boris Johnson ha infine deciso di dimettersi. Su temi cruciali come Brexit, pandemia e aumento del costo della vita, però, non sembra cambierà molto.

L’ultima gaffe di Boris Johnson è stata definire “Pincher (pizzicatore) di nome e Pincher di fatto” un ministro che, ubriaco a una festa, ha palpeggiato le “parti intime” di due colleghi maschi. Il goffo tentativo di sminuire il fatto con una battuta per giustificare la sua decisione di non licenziarlo dopo la conferma della verità dell’accusa, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, scatenando una gara forsennata dei suoi ministri, viceministri e sottosegretari, ansiosi di pubblicare su Twitter la più efficace e graffiante lettera di dimissioni.

Il vaso però era già pieno. La stragrande maggioranza dei deputati senza responsabilità ministeriali aveva votato contro Johnson nel voto di fiducia del gruppo parlamentare il 6 giugno. La sua risicata vittoria è stata seguita a ruota da due sonanti sconfitte in elezioni suppletive che, al di là del tracollo elettorale, hanno indicato sia agli elettori anti-Tory, sia ai deputati Tory in seggi competitivi, che il voto tattico è efficace, e non ha bisogno di essere ufficializzato da patti formali fra i partiti di opposizione: a Wakefield, un seggio tradizionalmente laburista e decisamente pro-Brexit, i Lib-Dem hanno fatto poca campagna elettorale, consentendo ai laburisti di riprendersi uno dei mattoni del “muro rosso” che avevano perso nella catastrofe corbinista del 2019. Situazione invertita a Tiverton, nel benestante sud-ovest i cui elettori vivono in cittadine e villaggi che gli appassionati dell’ispettore Barnaby riconoscerebbero certo, dove i laburisti hanno reso il favore, permettendo ai Lib-Dem di ottenere una vittoria record, pur partendo dalla terza posizione. Nonostante i laburisti rifiutino di formalizzare patti pre- o post-elettorali con altri partiti, gli elettori con forte sentimento anti-Tory, assisiti da siti specializzati nel facilitare lo scambio di voti, potrebbero scegliere alle elezioni che si terranno entro due anni, un parlamento senza maggioranza, in cui i Tory non sarebbero in grado di guidare una coalizione nemmeno se fossero il primo partito.

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Così Johnson ha annunciato le dimissioni, ma come Sant’Agostino prima di lui, preferisce continuare ancora per un po’, passando dalla promessa di dimissioni alle nomine per sostituire i ministri dimissionari senza soluzione di continuità. L’assenza di una costituzione scritta e formalizzata, implica ancora una volta che il paese è lasciato in una specie di limbo; in pratica, la situazione è analoga a quella che succede in Italia: il governo rimane in carica per l’ordinaria amministrazione ma non introdurrà riforme o nuove leggi.

Martedì 12 luglio il comitato del partito Tory che organizza le elezioni ha reso note le regole che verranno seguite. Dopo le nomine ci saranno successive eliminazioni con votazioni ristrette al gruppo dei deputati, finché rimarranno due soli candidati, tra i quali i membri del partito sceglieranno il leader. Il risultato si saprà il 5 settembre.

Assolutamente impossibile fare previsioni. Il giorno delle dimissioni i bookmakers davano favorito Ben Wallace, ministro della difesa, generalmente apprezzato per la sua condotta nella guerra di Putin, che penso, verrà ricordata dalle future generazioni come l’unico aspetto positivo del governo Johnson. Wallace si è però dichiarato indisponibile. Questa pagina (accessibile in Italia tramite VPN) riporta le quotazioni correnti, ma i bookmakers mirano al profitto, non alla correttezza delle previsioni. Informazioni sui candidati e sondaggi sono disponibili sul sito conservativehome.com, e sui siti dei periodici di destra e di sinistra.

Oggi guidano i sondaggi due donne, ma, in una frase resa famosa da Harold Wilson nel 1964, “in politica una settimana è un’eternità”, per cui non scommetterò su di loro, visto anche la mia ovvia incapacità di fare previsioni sugli eventi politici inglesi. Mi azzardo però, basandomi sui programmi elettorali dei vari papabili, a prevedere la direzione che prenderà il nuovo governo: oltre a un atteggiamento più severo sulla questione morale, una riduzione della spesa pubblica e delle tasse, lasciate crescere dallo spensierato Johnson al livello più alto degli ultimi 70 anni. Su Brexit, conflitto in Ucraina, istruzione, sanità, trasporti, spesa sociale, immigrazione, e, nonostante quasi tutti i candidati dichiarino essere la loro principale priorità, sul supporto da fornire a chi è colpito dai ripidi recenti aumenti nel costo della vita, dubito che cambierà davvero qualcosa. I mala tempora, perciò, continueranno a correre almeno per un po’.

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Il Punto

  1. lorenzo

    Se BoJo avesse chieste consiglio a SiBe a quest’ora avrebbe ancora una prospettiva di governo di un ventenni 😀

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