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Reddito di cittadinanza e lavoro: dove cambiare

Il Rapporto Inps traccia un quadro preciso del numero e del profilo dei beneficiari del reddito di cittadinanza. I percettori con un impiego sono in media lavoratori deboli, con un reddito molto basso. Cosa fare per aumentarne la quota.

Chi sono i beneficiari del Rdc

Il Rapporto Inps 2022 contiene un’ampia sezione dedicata al reddito di cittadinanza (Rdc), con informazioni di grande interesse. Qui ci concentriamo su due aspetti: l’evoluzione nel tempo delle caratteristiche dei beneficiari e il loro rapporto con il lavoro.

Nei primi tre anni della misura (che è disponibile da aprile 2019) hanno ottenuto almeno una mensilità del Rdc (o della pensione di cittadinanza, la variante del Rdc che riguarda nuclei composti solo da persone con almeno 67 anni) 2,2 milioni di famiglie (quasi il 9 per cento delle famiglie italiane) in cui vivono circa 4,8 milioni di persone. La spesa totale cumulata tra aprile 2019 e marzo 2022 è di circa 23 miliardi di euro (di cui 7,1 nel 2020 e 8,8 nel 2021). I primi tre mesi del 2022 (2,1 miliardi di spesa) sono in linea con questi dati. L’importo medio mensile si conferma attorno ai 550 euro per nucleo percettore, molto maggiore per il Rdc (577) rispetto alla Pdc (248).

Nel mese di marzo 2022, il più recente disponibile nel Rapporto, hanno ricevuto la misura 1,2 milioni di famiglie con 2,7 milioni di persone. Il numero rappresenta circa la metà della platea dei poveri assoluti secondo gli ultimi dati Istat. Il 69 per cento dei nuclei percettori risiede nel Sud. Il 25 per cento ha meno di 18 anni, ma sono presenti anche molte persone non più giovani, tanto che circa il 28 per cento ha almeno 50 anni. I non comunitari sono solo l’11 per cento del totale dei beneficiari.

La dimensione media dei nuclei interessati continua a diminuire: da 2,45 nel 2019 si è passati a 2,35 nel 2020, 2,23 nel 2021 e 2,21 nel 2022. Questa dinamica segue il declino demografico del complesso delle famiglie italiane, ma può essere influenzata anche dalle caratteristiche della povertà e dalle regole di accesso al Rdc. È noto ad esempio che queste ultime penalizzano le famiglie con minori (a causa del basso peso che essi ricevono nella scala di equivalenza) e quelle degli immigrati (servono almeno 10 anni di residenza in Italia), che sono spesso numerose. Inoltre, sono possibili (seppur probabilmente poco diffusi) comportamenti opportunistici per accedere alla misura, come la suddivisione dei membri di una famiglia in più nuclei distinti solo per poter soddisfare i requisiti per accedere al Rdc. Quanto alle caratteristiche della povertà, è vero che la sua incidenza è molto alta tra i minori, ma i 50-60enni non ancora in pensione sono tanti, quindi tra di loro vi sono molti poveri pur con una minore incidenza della povertà.

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Lavoratori molto deboli

Il Rapporto propone anche una discussione sui beneficiari del Rdc che hanno un lavoro. Se si considerano solo i nuclei che “stabilmente” (per almeno undici mesi in un anno) hanno ricevuto il Rdc (escludendo la pensione di cittadinanza), risulta che nel 40 per cento circa dei nuclei beneficiari stabili del Rdc vi è almeno un lavoratore. Il 30 per cento dei beneficiari stabili tra 18 e 49 anni lavora, una quota che scende al 18 per cento tra i cinquantenni. Di solito svolgono un lavoro dipendente per circa 6/7 mesi in un anno, con contratti spesso a termine o a tempo parziale e un imponibile retributivo medio annuo di 6 mila euro. La percentuale di lavoratori è molto più alta tra gli extracomunitari rispetto agli italiani.

Questi dati confermano che in media i beneficiari del Rdc che hanno un impiego sono lavoratori molto deboli e con redditi davvero bassi, e che molte persone che ricevono stabilmente il Rdc in effetti lavorano o hanno da poco lavorato, anche se per poche ore o in modo occasionale e molto precario. Si noti che la percentuale del 30 per cento di lavoratori tra i beneficiari stabili tra 18 e 49 anni è calcolata considerando tutte le persone in quella fascia di età, anche gli invalidi o chi ben difficilmente potrebbe trovare un’occupazione.

Quanto all’effetto della misura sulla propensione a offrire lavoro, il Rapporto trova una piccola riduzione della quantità di lavoro (monitorabile dagli archivi Inps) tra i beneficiari, che però può essere dipesa anche dall’andamento generale dell’economia post-pandemia e dall’offerta di lavoro nero. È interessante osservare a tal proposito quanto riportato dal Rapporto in merito alle cause di decadenza dal beneficio nel 2020 e 2021. La stragrande maggioranza dei casi di decadenza è attribuibile alla perdita dei requisiti economici (che indica appunto un incremento nel tempo del reddito/patrimonio del nucleo) o all’accertamento ispettivo di svolgimento di lavoro in nero.

Emerge quindi ancora una volta il tema della relazione tra Rdc e lavoro. Se l’obiettivo è l’aumento della quota di adulti beneficiari che lavorano, ben sapendo che sarà sempre molto inferiore al 100 per cento, si dovrebbe – come suggerito dalla stessa Commissione Saraceno sul Rdc – ridurre l’alta tassazione implicita sul reddito da lavoro oggi presente (dall’80-100 per cento attuale al 50 per cento), e forse ridurre l’importo del Rdc per la persona sola, aumentando nello stesso tempo la scala di equivalenza.

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Il Punto

  1. Savino

    I database dei CPI sono molto limitati come area geografica, essendo stati dapprima su base regionale, poi provinciale, poi, attualmente, di nuovo regionale. Occorre un database unico nazionale che metta in contatto tutti i CPI, con la conseguente disponibilità del disoccupato a trasferirsi. E, poi, il percettore del reddito deve risultare come più attivo sia nella ricerca del lavoro che nella formazione; il reddito può essere una soluzione tampone di breve periodo, ma, se c’è la piena idoneità al lavoro, l’obiettivo deve essere l’occupazione e non tirare a campare.

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