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A tempo scaduto: la sentenza del tribunale Ue nel caso Carige

Il Tribunale della Ue ha annullato la decisione della Bce di mettere Banca Carige sotto amministrazione straordinaria. Il caso solleva molte domande. La principale è sulle contraddizioni tra norme europee e nazionali all’interno dell’unione bancaria.

La vicenda Carige

Si è soliti paventare i tempi lunghi delle procedure di crisi, specie nel settore finanziario, dove sono richiesti interventi rapidi per evitare contagi sistemici. Ma…i tempi della giustizia possono far meglio.

Nelle scorse settimane, i media hanno ripreso la notizia dell’annullamento, da parte del Tribunale dell’Unione europea, della decisione con cui la Banca centrale europea, nei primi giorni del 2019, aveva posto Banca Carige in amministrazione straordinaria: una misura che ha comportato lo scioglimento del consiglio di amministrazione e la nomina di tre commissari. A inizio 2020, questi ultimi hanno riconsegnato la banca ai suoi azionisti, dopo un aumento di capitale che ha rafforzato Carige e ha aperto la strada alla successiva integrazione con un altro istituto.

Il 12 ottobre 2022, a distanza di quasi tre anni dalla chiusura dell’amministrazione straordinaria, i giudici del Lussemburgo hanno accolto il ricorso di una azionista retail di Carige (0,000361 per cento del capitale) e hanno sancito che quella procedura non poteva essere aperta. Secondo il Tribunale, la Bce ha errato nell’applicare la legge italiana, perché ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’amministrazione straordinaria in base a una circostanza (il “deterioramento significativo della situazione della banca”) che è contemplata dalla direttiva europea sul risanamento degli enti creditizi (la Brrd), ma non dal nostro Testo unico bancario, che quella direttiva attua.

La decisione ha determinato reazioni a catena, come quella degli ex soci di riferimento di Carige – usciti di scena con l’aumento di capitale – i quali hanno avviato un’azione risarcitoria contro la banca, ora confluita nel Gruppo Bper, per oltre 500 milioni di euro.

Le conseguenze dell’annullamento

Chiariamo subito: gli atti dei commissari sono salvi, perché legalmente compiuti anche se in costanza di una procedura successivamente giudicata illegittima; e la sentenza del Tribunale potrebbe essere impugnata davanti alla Corte di giustizia.

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Eppure, di fronte al primo caso in cui i giudici europei annullano una decisione della Bce nel quadro dell’unione bancaria, è naturale porsi alcune domande: quale utilità riveste, per il ricorrente, una sentenza che annulla una procedura conclusa da anni? È equilibrato un sistema di tutele nel quale il titolare di una partecipazione infinitesima, senza neppure lamentare un qualche pregiudizio patrimoniale, è legittimato a chiedere la “demolizione” di una procedura di crisi in una banca significant?

Il Trattato Ue riconosce in capo a ognuno il diritto di ricorrere contro atti che lo riguardino direttamente e individualmente. In questo caso, i giudici hanno ritenuto che la ricorrente fosse stata lesa nei suoi diritti di azionista: l’apertura dell’amministrazione straordinaria aveva messo fuori gioco l’assemblea di Carige, che poteva riunirsi solo su iniziativa dei commissari e non, ad esempio, su richiesta di una minoranza di soci. Senonché, si può dubitare che i diritti di voice appartengano individualmente all’azionista e non siano piuttosto poteri da esercitarsi nell’ambito di un’organizzazione collettiva, le cui regole di funzionamento possono modificarsi nel tempo.

Il tema è però più generale. La Brrd impone agli stati membri di salvaguardare il diritto di impugnare le decisioni adottate dalle proprie autorità di vigilanza, ma impone al contempo celerità del giudizio, tutela dei terzi che hanno interagito con la procedura e affidamento sulle valutazioni economiche effettuate dalla vigilanza. Sarebbe opportuno valutare, in prospettiva, una declinazione di questi principi anche per le tutele giurisdizionali europee; andrebbero poi privilegiati rimedi risarcitori rispetto a quelli di invalidazione.

Vi è poi un’ulteriore questione I giudici Ue hanno censurato la Bce per aver fondato la propria decisione su un criterio previsto in sede europea (quello del “deterioramento significativo”) anziché sulla norma nazionale che apparentemente non contempla tale criterio. Nell’unione bancaria, la Bce è tenuta ad applicare il diritto dello stato in cui si trova la banca interessata. Nel caso di Carige, ciò si è tradotto in una lettura formalistica e paradossale delle regole italiane: la situazione di deterioramento legittimerebbe la rimozione del Cda della banca, ma non la sostituzione con i commissari straordinari. Difficilmente un giudice nazionale, interpretando sulla base del sistema, sarebbe giunto a questa conclusione. Ecco emergere una delle contraddizioni dell’unione bancaria: gli stati membri custodiscono gelosamente i propri sottosistemi normativi, ma vi è il rischio che, “fuori sede”, istituzioni e giudici europei li applichino in modo imprevedibile.

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  1. Maurizio Cortesi

    Sono sbalordito: queste decisioni suggeriscono che l’indipendenza della banca centrale andrebbe estesa anche alla magistratura e non solo alla politica, se i giudici non capiscono il carattere sistemico della moneta e delle imprese che la trattano, come appunto le banche, e che quindi è a questo livello -ambientale direi- che va riferita la ricerca di fare giustizia.

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