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Un meccanismo per cambiare il Superbonus

Il Superbonus 110 per cento va cambiato. Ma la soluzione ipotizzata dal governo Meloni non entusiasma gli operatori. Si potrebbe invece introdurre un meccanismo che contribuisca a liberare i crediti incagliati, senza alcun aggravio per l’erario.

Una norma mal concepita

Con l’articolo 9 del decreto legge 176/2022 (Aiuti-quater) il Superbonus del 110 per cento cambia. Già il governo precedente aveva affermato che si tratta di una politica mal disegnata e insostenibile per il bilancio statale (a fine ottobre l’Enea ha previsto un onere per lo stato di 60,5 miliardi di euro), e che perciò andava ripensata. Ora, il decreto legge inizia ad affrontare il problema, rendendo più selettivo, e meno oneroso per l’erario, l’accesso al beneficio fiscale.

Il decreto interviene anche sull’ampliamento della capienza fiscale degli intermediari che devono scontare i crediti fiscali. La proposta è di alzare da cinque a dieci gli anni in cui portare in detrazione il credito d’imposta. Non sembra, però, una soluzione adeguata a sbloccare la situazione di grande difficoltà in cui si trovano tante imprese – nel settore dell’artigianato 35 mila sarebbero a rischio fallimento – che non riescono a cedere i crediti già acquisiti con lo sconto in fattura a causa dell’ormai esaurita capacità fiscale degli enti cessionari.

La saturazione della capienza

Con una lettera al presidente del Consiglio Abi e Ance hanno chiesto la ricostruzione della capacità fiscale delle banche. Il sostanziale blocco dello sconto dei crediti ha infatti effetti negativi anche sui professionisti coinvolti nella progettazione delle opere e nella gestione amministrativa delle pratiche, sia se hanno accettato essi stessi di scontare in fattura il prezzo delle loro prestazioni sia se sono in attesa del pagamento da parte delle imprese che non riescono a cedere i crediti acquisiti. Del fallimento delle imprese risentirebbero, con un aumento delle sofferenze, le stesse banche che hanno concesso loro finanziamenti ponte per la realizzazione degli interventi.

Dalla relazione conclusiva della commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, da cui sono tratti anche gli altri dati riportati qui sotto, si ricava che le undici banche italiane classificate come significative dalla Bce detengono i quattro quinti del mercato delle cessioni dei crediti fiscali. L’importo annuo dei versamenti tributari e contributivi che prevedono di effettuare è di poco più di 16 miliardi di euro; 81 miliardi in cinque anni, 162 in dieci. Sono gli importi massimi dei crediti d’imposta che possono utilizzare, ipotizzando che siano destinati esclusivamente allo sconto dei crediti fiscali. Nel biennio 2020-2022 (giugno) l’importo complessivo degli impegni (somme erogate e importi delle pratiche deliberate e in corso di lavorazione), assunti da quelle banche, a scontare i crediti relativi a tutti i bonus edilizi, è stimato in 77 miliardi di euro: la loro capacità fiscale per il primo quinquennio è già sostanzialmente esaurita. È verosimile ritenere che la situazione delle banche più piccole non sia diversa. Alle undici banche significative sono state presentate altre 500mila richieste di sconto che non sono state accolte, per carenza di documentazione (300mila circa) o per altre ragioni. L’importo dello sconto richiesto è stimabile in 22 miliardi di euro, di cui 16 miliardi riguardano il Superbonus del 110 per cento. Non tutte le pratiche andranno a buon fine, ma per quelle che avranno le carte in regola, si tratterà comunque di smaltire qualche miliardo.

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Un borsino per la cessione dei crediti

Il Dl 176/2022 ha dunque portato a dieci gli anni in cui è possibile detrarre i crediti, anche quelli già maturati e inviati all’Agenzia delle entrate entro lo scorso 31 ottobre. È una possibilità che non entusiasma né le associazioni imprenditoriali né il mondo bancario.

Per i crediti che già ora sono detraibili in 10 anni, le undici banche significative hanno applicato una percentuale di sconto fino al 20 per cento: ė probabile una sua crescita con la lievitazione dei tassi di interesse. Per un credito di 110 euro da Superbonus, l’impresa che lo vende ne riceve 88: è come fare uno sconto del 12 per cento sull’importo fatturato dei lavori. Le imprese che hanno già acquisito crediti con lo sconto in fattura sarebbero probabilmente disposte, o costrette, ad accettare il sacrificio, se trovassero a chi cederlo.

A questo prezzo, i crediti potrebbero essere acquistati dai contribuenti che hanno la capienza fiscale per scontarli in cinque anni, cioè il numero previsto al momento in cui sono maturati. Lo stato accuserebbe lo stesso minor gettito previsto nel caso in cui le imprese fossero già riuscite a cedere i loro crediti. I contribuenti che acquistano i crediti aumenterebbero le somme investite del 25 per cento in cinque – (110-88)/88); il tasso di rendimento interno sarebbe dell’8 per cento (calcolato con la funzione Tir.Cost di excel per un investimento di 88 euro che per cinque anni genera un flusso costante di cassa di 22). È un rendimento apprezzabile, soprattutto se non dovesse presentare rischi, come potrebbe avvenire se una o più compagnie di assicurazioni costituissero una piattaforma per la cessione dei crediti.

La domanda potrebbe essere alimentata da contribuenti persone fisiche attraverso l’acquisto di crediti per un importo pari alla potenziale capienza cumulabile in cinque anni da ciascuno. Le statistiche sulle dichiarazioni dei redditi per l’anno fiscale 2020 hanno censito più di 900 mila contribuenti persone fisiche con un reddito di oltre 75mila euro, che versano un’Irpef netta complessiva di circa 40 miliardi di euro e media di 43 mila. Tra questi contribuenti, quelli più “poveri”, con un reddito tra 75mila e 80mila euro, versano mediamente 22 mila euro di Irpef. Tutti i contribuenti con più di 75 mila euro di reddito, pertanto, hanno una capienza fiscale per detrarre un credito di almeno 115mila euro in cinque anni, un importo non lontano dai 122 mila mediamente erogati per i crediti dei Superbonus al 110 per cento dalle undici banche “significative”.

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Quali rischi correrebbero questi contribuenti? Per i pensionati, il rischio è di morire prima del decorrere dei cinque anni, con un danno per gli eredi. Per i lavoratori dipendenti è quello di perdere il lavoro o essere costretti ad accettarne uno meno remunerativo (in entrambi i casi, l’erario se ne avvantaggerebbe). Il rischio potrebbe essere neutralizzato con un’assicurazione sulla vita, sulla perdita del lavoro o sulla riduzione del reddito. La compagnia di assicurazione dovrebbe studiare una polizza che soddisfi queste esigenze, con un premio commisurato alle caratteristiche personali dei singoli sottoscrittori, alla riduzione annuale del capitale assicurato. Anche se i conti può farli solo l’assicurazione, non è però azzardato ipotizzare che la polizza dovrebbe essere meno onerosa delle normali polizze vita. Oltre al premio, l’assicurazione incasserebbe anche la commissione per la sua attività di intermediazione.

Perché il meccanismo possa funzionare, i crediti d’imposta acquisiti devono poter essere utilizzati non solo in compensazione, ma anche in detrazione. Ai lavoratori dipendenti e ai pensionati l’importo della detrazione d’imposta relativa ai crediti fiscali edilizi dovrebbe essere accreditato dai loro sostituti d’imposta, così come avviene per gli altri eventuali crediti dei contribuenti che pagano le imposte alla fonte. Se la sua capienza fiscale cala sotto l’importo che può portare in detrazione, il contribuente non subisce alcun danno, poiché interviene l’assicurazione a risarcirlo della differenza tra l’ammontare del suo credito e l’importo che gli versa il sostituto d’imposta. Il contribuente che diventa incapiente è però un vantaggio per l’erario.

Il meccanismo qui schematizzato potrebbe contribuire a liberare i crediti incagliati, senza alcun aggravio per l’erario. Se lo stato riconosce le legittimità dei crediti maturati in attuazione di sua discutibile misura, dovrebbe essergli del tutto indifferente pagarli all’uno o all’altro debitore. La conversione del Dl n. 176 è l’occasione buona per affrontare il problema.

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  1. stefano

    Complimenti è un articolo veramente completo che aggiunge elementi nuovi e significativi al tema.

  2. ERNESTO

    SE LA SOLUZIONE PROSPETTATA CHE POTREBBE SBLOCCARE IL MECCANISMO DELLA CESSIONE DEI CREDITI DEL BONUS 110 %/90% : La domanda potrebbe essere alimentata da contribuenti persone fisiche attraverso l’acquisto di crediti per un importo pari alla potenziale capienza cumulabile in cinque anni da ciascuno
    QUALE E’ IL PROBLEMA PER ATTUARLA ?

    • raffaele lungarella

      il problema principale è che serve un quadro normativo che connsenta di attuarla. senza nessuna assicurazione inizierà a pensarci.

  3. VILLA ENRICO

    La conversione in legge del DL n.176 è una beffa, o meglio garantisce la beffa (truffa? falso?) dei condòmini che si sono affrettati con assemblee dal 19 al 23 novembre ‘taroccando’ gli impossibili termini di convocazione. Ne ho notizia di diversi casi. Così in Italia migliaia di assemblee (e successive presentazioni affrettate di Cilas entro il 25 novembre) si sono garantite il superbonus al 110%, e non al 90% nonostante i propositi dei legislatori. In sede di conversione si è concessa una dilazione nel presentare la Cilas entro il 31.12.2022 solo per le assemblee svolte entro il 18 novembre 2022. Ma chi è stato così sprovveduto, alla notiza del DL n. 176, di non aver presentato la Cilas nonostante l’assemblea che ha approvato i lavori? Ora si tenterà la corsa alla cessione del credito, ammesso che si trovino ancora imprese disposte ad iniziare i lavori nell’inertezza che le ha ‘fregate’ nel corso del 2022. Adducendo le colpe alle solite banche cattive che remano contro i legittimi desideri popolari di avere una ristrutturazione della casda ‘a gratis’, così come fatto intendere dai nostri politici di ogni colore.
    In questo contesto la sua ragionevole proposta di soluzione, se accolta dai ceti ‘capienti’ genererebbe un enorme buco nelle casse statali.

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