Il 2022 doveva essere l’anno del ribilanciamento del mercato, invece i prezzi di molte materie prime hanno raggiunto picchi decisamente alti. Cosa dobbiamo aspettarci per il 2023? Le prospettive di miglioramento ci sono, ma le incertezze non mancano.
Un 2022 eccezionale
Si è appena concluso un anno eccezionale per i mercati delle materie prime (alimentari ed energetiche in particolare), con prezzi che in molti casi hanno raggiunto i picchi più alti degli ultimi 10 anni o addirittura superato il loro massimo storico.
A febbraio del 2022 il prezzo del caffè di tipo arabica, alla borsa dell’Intercontinental Exchange, ha raggiunto 5.700 USD/MT, il livello più elevato dell’ultimo decennio. Analogamente soia, granoturco, latte in polvere, Brent e gas naturale americano hanno toccato prezzi record da 9-10 anni. Tra marzo e agosto, i corsi dell’olio di palma, del grano, del gas naturale europeo, dell’alluminio hanno raggiunto quotazioni mai registrate prima. Nella seconda metà del 2022 questi stessi mercati hanno però cominciato un trend decrescente, pur rimanendo su valori storicamente sostenuti.
Come sarà il 2023? Possiamo affermare che gli elementi che hanno determinato quello che alcuni analisti hanno definito “commodity super-cycle” siano venuti meno? Per capire cosa accadrà, facciamo un passo indietro per analizzare i fattori che hanno determinato l’inflazione delle materie prime. Le ragioni sono molteplici e alcune risalgono al periodo pre-Covid, ma è con l’inizio della pandemia che i mercati hanno sperimentato veri e propri shock che si sono progressivamente riflessi sull’andamento dei prezzi.
Figura 1
Una domanda inaspettatamente sostenuta
Con l’inizio e il rapido diffondersi della pandemia nel primo quadrimestre del 2020 le aspettative di caduta del prodotto lordo globale hanno fatto erroneamente pensare a un calo della domanda dei beni primari. Al contrario, consumatori in lockdown hanno spostato la domanda di servizi di cui non potevano beneficiare (turismo, ristorazione) verso beni di consumo. Da metà 2020 e per tutto il 2021 si è inoltre registrata una forte crescita delle importazioni cinesi (principale importatore mondiale di materie prime), dovuta anche alla volontà del governo di costruire riserve strategiche in un periodo di incertezza di approvvigionamento.
Una serie di “black swan events” hanno colpito l’offerta
Per quanto riguarda l’offerta, il mercato delle materie prime ha subito una serie di shock senza precedenti nel periodo 2020-2021.
Le misure di lockdown hanno limitato la disponibilità di forza lavoro nelle fabbriche anche attraverso la riduzione di flussi migratori. La limitata disponibilità di forza lavoro, a sua volta, ha contribuito alla crisi logistica globale, che ha avuto riflessi sui trasporti sia terrestri sia marittimi. Come se non bastasse, a marzo del 2020 una portacontainer si è bloccata nel Canale di Suez, attraverso il quale passa il 12 per cento del commercio globale (fonte SCA), ostruendone il passaggio per cinque giorni. Nel 2021, poi, una serie di eventi climatici estremi ha ridotto la produzione di alcune materie prime. Ad esempio, il Brasile ha registrato la peggiore siccità in un secolo e in luglio la peggiore gelata in 20 anni che ha significativamente ridotto il raccolto del caffè arabica.
Figura 2
Attese smentite di ribilanciamento del mercato
Si è così entrati nel 2022 con prezzi delle materie elevati e stoccaggi ridotti in diversi mercati. Le previsioni erano di un progressivo ribilanciamento della domanda e dell’offerta: “high prices cure high prices” (i prezzi alti curano i prezzi alti), dice un vecchio adagio degli analisti.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia in febbraio ha invece stravolto le aspettative. La regione del Mar Morto rappresenta il 30 per cento dell’export mondiale di grano, il 75 per cento dell’olio di girasole (fonte Usda) ed è anche il principale esportatore mondiale di fertilizzanti, di petrolio e dei suoi derivati e di gas naturale (fonte Iea). Il conflitto ha dunque determinato un forte shock all’offerta delle materie prime. Inoltre, l’ulteriore inflazione ha indotto circa 20 paesi a limitare le esportazioni di materie prime. Esemplare è stato il bando totale – seppur temporaneo – delle esportazioni di olio di palma imposto in aprile dall’Indonesia, primo esportatore mondiale. Altra conseguenza del conflitto è stata l’aggravarsi della crisi energetica in Europa – già in atto dal 2021 – che a sua volta ha influenzato la produzione di commodity (il gas naturale rappresenta il principale costo di produzione di fertilizzanti e di alluminio).
Cosa aspettarsi per il 2023?
Difficile prevedere l’andamento della guerra in Ucraina, così come fare previsioni metereologiche, principale variabile delle materie prime.
Le aspettative generali sui beni primari sono comunque per una continua e graduale discesa dei prezzi. Dal lato dell’offerta, è atteso un aumento di produzione grazie ai margini positivi ottenuti dai produttori nell’ultimo anno, nonostante l’aumento dei costi di produzione. Da quello della domanda ci si aspetta una riduzione coerente con la limitata crescita economica globale. Inoltre, il congestionamento della catena di fornitura innescata dalla pandemia si è praticamente risolto, anche in virtù di una domanda globale più fredda.
Le incertezze
Pechino ha infatti sorpreso diversi analisti accelerando la riapertura ed è oggi difficile prevedere le conseguenze della decisione sull’economia. Per il momento, si stima soprattutto un forte aumento di contagi più che un immediato ritorno al turismo e alla socialità che avrebbero un effetto positivo sulla domanda di materie prime.
Per quanto riguarda il gas naturale, in Europa la crisi è tutt’altro che risolta, nonostante il prezzo di riferimento europeo (Ttf) sia attualmente a livelli registrati prima dell’inizio della guerra. La questione principale è come potrà l’Unione europea ristabilire gli stock prima dell’inverno 2023/2024. L’offerta russa sarà inferiore rispetto al 2022 (quasi totalmente interrotta da fine agosto) e l’Unione europea dovrà competere con la Cina per le esportazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità del datore di lavoro.
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Savino
Il mercato e il prezzo lo fa la domanda, non l’offerta come ci vogliono imporre, proprio il lockdown (politica recessiva e regressiva che non ha risolto i problemi sanitari) ce lo insegna. Il consumatore è un essere umano che vive, respira, cammina e si emoziona. Egli merita tutela giuridica di contraente debole e merita di stare al centro dell’organizzazione mercato. Da lavoratore, secondo l’art. 36 della Costituzione, egli ha diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, quindi adeguata al costo della vita reale. Quanto stiamo vedendo coi prezzi fuori controllo, con le speculazioni in atto, con l’assenza di tutela per la dignità del lavoratore-consumatore è fuori dall’alveo democratico e chi ne ha le competenze deve darne e darsi una regolata.