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Non solo mascherine: se l’Italia si scopre dipendente dall’estero

La globalizzazione ha favorito la specializzazione e ottimizzato l’impiego di risorse, rendendo le economie sempre più integrate, ma anche più vulnerabili. La carenza di prodotti essenziali come alcol o mascherine è solo la punta dell’iceberg.

La globalizzazione ha consentito di fronteggiare molti shock cambiando in corsa fornitori e mercati di sbocco ma ha anche reso l’economia mondiale più vulnerabile a crisi sistemiche, come il blocco dei trasporti aerei del 2010 causato dall’eruzione di un vulcano islandese o il lockdown provocato da un virus. Per misurare, almeno approssimativamente, l’esposizione di un’economia a un blocco degli approvvigionamenti dall’estero è possibile utilizzare i dati riportati nelle tavole input-output. Le tavole “quadrate” riportano la quantità di ogni prodotto necessaria a soddisfare ciascun impiego finale (consumi, investimenti ed esportazioni) e la richiesta di input intermedi da parte delle imprese nazionali. Tali quantità sono distinte a seconda che provengano dall’interno o dall’estero e sono valutate ai “prezzi base”, ossia escludendo i margini commerciali e le imposte indirette nette, che generalmente pesano più sui beni di importazione che su quelli nazionali. Per l’Italia le tavole sono aggiornate al 2016 e comprendono 65 gruppi di prodotti della classificazione Nace/Cpa a due cifre. Il rapporto tra importazioni e fabbisogno di ciascun prodotto fornisce un indice approssimativo della dipendenza dall’estero o, se si preferisce, del grado di integrazione internazionale.

Il peso di import ed export

A livello aggregato, l’import costituisce l’11 per cento della produzione lorda e meno del 30 per cento del Pil, tuttavia il rapporto tra import e fabbisogno oscilla tra il 29 e il 58 per cento per i derivati del petrolio, la chimica, la gomma, la farmaceutica, la metallurgia di base, la carta, i mezzi di trasporto, gli apparecchi elettrici e i computer. La figura 1 riporta il peso complessivo dei settori al variare del livello di dipendenza dall’estero. Le importazioni rappresentano meno del 20 per cento del fabbisogno totale per oltre il 60 per cento della produzione; la dipendenza supera il 30 per cento solo per il 15 per cento dell’output; il rapporto tra import e output sale oltre il 40 per cento per appena il 5 per cento della produzione. A livello di gruppo Nace/Cpa, il nostro sistema produttivo sembrerebbe dunque in grado di soddisfare la maggior parte della domanda aggregata anche in caso di una temporanea strozzatura nei rifornimenti dall’estero.

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Figura 1 – Dipendenza dall’estero per prodotto.

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat.

Sono invece molto meno tranquillizzanti i dati sugli input intermedi necessari a produrre ciascuna merce o servizio. Proviene dall’estero per esempio il 90 per cento del fabbisogno di petrolio, gas, minerali e prodotti della pesca utilizzati come materie prime o semilavorati in settori come petrolchimica, metallurgia, energia, servizi sanitari, industria estrattiva e alimentare. I prodotti agricoli importati condizionano nella stessa misura il tessile e abbigliamento. A vincolare l’industria italiana, tuttavia, non sono solo le importazioni delle materie prime di cui siamo carenti. Il settore dei trasporti e la Ict, per esempio, dipendono per oltre il 90 per cento da computer, macchine elettriche e altre attrezzature provenienti dall’estero. I servizi assicurativi e finanziari di importazione risultano altrettanto essenziali per la Ict, la carta (compresi gli imballaggi), la produzione di mezzi di trasporto speciali (navi, aerei, etc.), vetro e materiali da costruzione. L’editoria si affida a mezzi di trasporto speciali importati per oltre il 90 per cento del suo fabbisogno. Alcune macchine e attrezzature, elettriche e non, importate sembrano essenziali per la fabbricazione di mezzi di trasporto speciali. È chiaro che, in caso di una interruzione delle importazioni, un simile grado di dipendenza dall’estero potrebbe condizionare gravemente l’attività di molte industrie.

I settori più vulnerabili

La lista dei settori fortemente dipendenti dall’estero si allunga molto se si considerano soglie di importazione inferiori al 90 per cento del fabbisogno di ciascun input intermedio. La figura 2 riporta il peso complessivo delle industrie condizionate in caso di carenze di specifici prodotti importati a seconda del livello di dipendenza (escludendo quelli con un rapporto tra import e fabbisogno inferiore al 50 per cento). Nella stessa figura è riportato anche il peso di questi colli di bottiglia sulla produzione totale, che appare trascurabile nonostante la loro carenza possa provocare effetti devastanti su tutto il sistema produttivo. Ad esempio, solo il 2 per cento degli input presenta una dipendenza dall’estero superiore al 70 per cento, ma se le rispettive importazioni si bloccassero si fermerebbe il 70 per cento della produzione complessiva. Se si bloccano le importazioni di pochi specifici prodotti che rappresentano poco più l’1 per cento della produzione totale, si registrerebbero rallentamenti o interruzioni dell’attività del 60 per cento del sistema economico italiano.

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Figura 2 – Dipendenza dall’estero per materie prime e semilavorati.

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat.

Si tratta di segnali abbastanza allarmanti, ma queste cifre probabilmente sottostimano la reale dipendenza dall’estero dell’Italia, perché le tavole sono compilate solo a livello di gruppi di prodotti abbastanza ampi, mentre le strozzature si verificano verosimilmente per merci e servizi molto specifici (come le famigerate mascherine chirurgiche, che nelle tavole sono comprese tra i prodotti tessili). Inoltre gli indici calcolati in questo modo segnalano solo i colli di bottiglia diretti ma non quelli provocati dal rallentamento di altre attività che utilizzano come input intermedi i prodotti di quelle colpite direttamente. Un esempio: quasi tutta l’economia risentirebbe di una carenza di computer importati che invece condiziona direttamente solo trasporti e Ict.

Prodotti ad alta, bassa e bassissima tecnologia

I vantaggi comparativi e le dotazioni naturali sconsigliano di produrre tutto in casa ma sarebbe da evitare una eccessiva dipendenza dalla disponibilità e dai prezzi di prodotti strategici come quelli informatici, che dovrebbero invece far parte dei settori di punta di un’economia altamente sviluppata. Le recenti polemiche sulla sicurezza dei sistemi di comunicazione 5G prodotti in Cina dovrebbero far riflettere su questo punto ma in un settore delicato come la Ict dovrebbe preoccupare altrettanto l’impiego pervasivo di servizi assicurativi e finanziari esteri segnalato dalla tavola. La fortissima dipendenza dall’estero per i prodotti ittici è paradossale per un paese con 7.500 chilometri di coste ma dovrebbe allarmare anche la mancanza di prodotti a bassissima tecnologia come mascherine chirurgiche e alcol denaturato nel bel mezzo di una pandemia.

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  1. bob

    Prof. a sostegno della Sua tesi le riporto una equazione che a me non torna. In tre settori: edilizia, ristorazione, agricoltura la presenza di italiani è nulla. Di rimando le statistiche ci dicono che siamo il Paese con il più alto numero di abbandoni scolastici, il minor numero di laureati, ancora nel 2020 percentuali di analfabeti paurose. Il Paese senza memoria dimentica che per oltre 30 anni siamo stati in balia di un “sedicente” ministro delle riforme espressione della miglior commedia all’italiana (comicità che neanche il miglior Totò ha raggiunto). Da aggiungere che si è distrutto un sistema-Paese a favore di regionalismi locali che proprio in questa emergenza hanno mostrato il peggio del peggio; questa “politica”, anche nei rapporti con il mondo, ha fatto molto più danni dell’epidemia stessa. Ho sempre osservato con sospetto l’esaltazione della “Italia dei capannoni” sottolineando che preferivo quella dei laboratori, dei centri di ricerca, delle ottime Università che sono terreno di semina per progetti e produzioni nel tempo e non alla “bisogna quotidiana del tirare a campare”. Il profetico Marchionne diceva: al mondo non frega a nessuno che siamo belli, che abbiamo il tempo bello, che sappiamo cantare….” lo diceva entrando ad Agosto negli uffici completamente vuoti della FIAT, azienda che in quel momento perdeva 5 milioni di euro al giorno. Tiram a campà sappiamo cantà….

  2. serlio

    Uno Stato degno di questo nome dovrebbe provvedere a sanare tutte le criticità emerse da questo studio, rendendoci più robusti ed in grado di affrontare meglio le crisi che sicuramente seguiranno (non è certo un augurio come qualche stupido sicuramente penserà).
    Si tratta in qualche modo di riportare a casa tutte le produzioni essenziali, al netto delle materie che non possediamo, Se la prima obiezione che viene in mente è il loro costo comparato a quello fornito dalla globalizzazione tanto amata dalla sinistra terzomondista, direi che anche le assicurazioni si pagano, nella speranza di non utilizzarle mai. Certamente è tutto più complesso di quanto scritto, ma il prncipio che dovrebbe informare l’azione è invece piuttosto semplice. Occorre un po’ di tempo e molta volonta….

  3. Eleonora Mazzoni

    Buongiorno Professore, sarebbe possibile sentirci per alcune informazioni su questo lavoro? Grazie.

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