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Clausole di non concorrenza: perché proibirle

Le clausole di non concorrenza vanno ormai ben al di là della protezione dei legittimi interessi del datore di lavoro. Negli Usa si pensa di vietarle. Perché limitano la diffusione della conoscenza, con effetti negativi sull’innovazione e la crescita.

Le scelte della Federal Trade Commission

All’inizio dell’anno la Federal Trade Commission degli Stati Uniti (un’autorità indipendente comparabile, ma con più poteri, alla nostra autorità per la concorrenza) ha preso due decisioni molto rilevanti per il mercato del lavoro, che faranno discutere anche al di là dei confini americani.

Il 4 gennaio 2023 la Ftc ha annunciato di aver (per la prima volta) intrapreso azioni legali contro tre società, che avrebbero utilizzato clausole di non concorrenza illegittime, così danneggiando lavoratori interessati e imprese concorrenti. Il giorno successivo, invece, l’autorità ha reso nota la propria proposta di vietare completamente l’utilizzo di clausole di non concorrenza (a differenza delle autorità europee, la Ftc ha anche potere di scrivere le regole, non solo di farle applicare). La proposta sarà ora aperta al dibattito pubblico per due mesi, dopo i quali l’autorità americana prenderà la decisione finale.

La questione è abbastanza tecnica e, ad alcuni, potrebbe apparire residuale. Il presidente Joe Biden in un tweet ha parlato di “un’enorme vittoria per il lavoratori”. Perché sarebbe così importante? E perché è di interesse anche per l’Italia?

Il ruolo delle clausole di non concorrenza

Un patto di non concorrenza è un contratto, o una sua clausola, in cui un dipendente si impegna a non fare concorrenza al datore di lavoro una volta terminato il rapporto di lavoro. Nella maggior parte dei paesi Ocse, i patti di non concorrenza sono ammessi (a determinate condizioni) e giustificati dalla necessità di proteggere segreti industriali e investimenti specifici nel rapporto di lavoro da parte del datore (come alcuni tipi di formazione e investimenti in specifiche conoscenze). Tuttavia, le clausole di non concorrenza possono essere utilizzate semplicemente per limitare la mobilità dei lavoratori, riducendo quindi le loro opportunità esterne e il loro potere contrattuale (dando quindi alle imprese un potere di monopsonio); oppure possono essere utilizzate per rendere più difficile, per le aziende concorrenti, l’ingresso nel mercato o il prenderne una parte assumendo i lavoratori della propria azienda (e qui la ragione dell’intervento di un’autorità della concorrenza).

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I risultati delle ricerche

Nell’ultimo decennio, delle clausole di non concorrenza si è occupata negli Usa una letteratura crescente in ambito giuridico ed economico. Un’indagine a livello di lavoratori del 2014 ha rilevato che il 18 per cento degli operatori sanitari pubblici e privati statunitensi è attualmente coperto da un accordo di non concorrenza. Un’altra ricerca condotta a livello di impresa nel 2017 ha mostrato un’incidenza significativamente più elevata: circa la metà (49,4 per cento) delle aziende ha almeno alcuni dipendenti con un accordo di non concorrenza e quasi un terzo ha indicato che tutti i dipendenti della propria azienda hanno tale clausola. Una serie di altri studi ha misurato l’incidenza delle clausole di non concorrenza tra gruppi specifici di dipendenti, dai dirigenti (70-80 per cento coperti dalle clausole), agli ingegneri elettrici ed elettronici (43 per cento), ai medici (45 per cento) fino ai parrucchieri (30 per cento).

Le indagini quantitative hanno permesso di andare oltre le informazioni disponibili nella giurisprudenza, che riguardano ben pochi e molto selezionati casi. Inoltre, la significativa variazione nella regolamentazione e nell’applicazione delle clausole di non concorrenza nei vari stati Usa (in alcuni, come la California, sono già vietate) ha permesso di identificare in maniera robusta l’impatto che hanno su lavoratori, imprese e l’economia più in generale. In particolare, i vari studi tendono a concordare che le clausole di non concorrenza negli Stati Uniti sembrano andare ben oltre la protezione dei legittimi interessi del datore di lavoro: in primo luogo, non solo sono associate a una minore mobilità lavorativa, ma anche a salari più bassi. Inoltre, le clausole di non concorrenza sono raramente il risultato di una trattativa. In aggiunta, i patti di non concorrenza sono comuni pure negli stati Usa che non li applicano. Le aziende usano clausole di non concorrenza anche quando non sono legalmente applicabili perché sanno, o almeno sperano, che gli effetti psicologici del divieto bloccheranno comunque i lavoratori. Infine, al di là degli effetti sui lavoratori, gli studi mostrano che, restringendo la mobilità, questi patti tendono a soffocare la diffusione della conoscenza, ridurre il dinamismo del mercato del lavoro e limitare la concorrenza anche sul mercato dei prodotti, con un effetto negativo sull’innovazione e, in ultima analisi, sulla crescita. Per questo insieme di motivi, la Ftc intende optare per la via più breve e vietarle del tutto.

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In Italia il tema non è considerato una questione di grande importanza. Le clausole sono regolate dal codice civile, ma la legge prevede solo requisiti minimi, senza fornire un quadro dettagliato. La giurisprudenza al riguardo è limitata e la ricerca, sia in campo giuridico che economico, pure. Tuttavia, un’indagine che abbiamo condotto lo scorso anno, e che presenteremo più in dettaglio in un prossimo articolo, indica che nel nostro paese il 16 per cento dei dipendenti del settore privato (cioè, circa 2 milioni di lavoratori) è vincolato da una clausola di non concorrenza, ma la maggior parte non rispetta i requisiti minimi previsti dalla legge. È forse giunto il tempo di aprire il dibattito anche in Italia?

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  1. Savino

    I brevetti su invenzioni e scoperte e i segreti aziendali sono solo vecchi retaggi dell’800 e del ‘900. Le idee devono girare per far girare l’economia e salvare l’umanità ( a partire dal campo sanitario) in un mondo globale. Pensate come sarebbero inceppate alcune startup se si ponessero questi problemi.

  2. Pietro Della Casa

    Tali clausole possono essere dei veri capestri per quegli ingegneri (e categorie affini) che hanno maturato una grande esperienza in un determinato settore. Di fatto, rimangono sotto ricatto della propria azienda, in quanto se si licenziano devono “ripartire da zero” nella propria carriera.

  3. Errico

    Ma perché in Italia sempre più gente si ispira alle idee (neanche recentissime) del figlio di Posner, senza dargli il credito che merita?
    Subordinare il diritto del lavoro al diritto della concorrenza è molto umiliante per i lavoristi: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e non sulla concorrenza (o competizione come ormai molti dicono). Negli Stati Uniti questi ragionamenti si incardinano poi in un sistema di relazioni industriali completamente diverso dal nostro (per la serie, sapranno Posner e suoi seguaci cos’è la contrattazione territoriale?).
    Come si possono importare in Italia tesi che negli Stati Uniti in realtà si applicano soprattutto a zone rurali scarsamente popolate (ovest e mid-west modello Yellowstone) o ai giocatori di football e agli ingegneri di GAFAM?
    Il dato del 16% è poi abbastanza irrilevante: vi è una qualche prova di potere di mercato in qualche mercato rilevante (perché questo è quello che si deve provare)?
    Volete sapere poi come risolvere in modo pratico il problema dei patti di non concorrenza? Se è tardi rivolgetevi a una bella società fiduciaria (campano anche di questo) e se siete ancora in tempo, prima di firmare qualcosa, sentite un (buon) avvocato.

    • Savino

      Su quale lavoro si fonda la Repubblica italiana? su quale livello di produttività ed efficienza, nel pubblico e nel privato? Si vedono solo una casta di privilegiati, una ricchezza ostentata di rendite e patrimoni, i soliti furbi e tanti poveracci penalizzati dalla mancanza di occupazione, da stipendi da fame e dall’assenza di concorrenza dalle farmacie alle utenze di luce e gas, dalle concessioni regalate di varia natura ecc. ecc.

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