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Autore: Alberto Zanardi Pagina 6 di 8

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Professore ordinario di Scienza delle finanze nell'Università di Bologna. Attualmente è componente del -Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa pubblica istituito presso il MEF. Durante il 2022 è stato presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard presso il MEF e tra il 2014 e il 2022 componente del Consiglio direttivo dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Nel passato ho fatto parte della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e della Commissione tecnica per la finanza pubblica presso il MEF.

LA RISPOSTA DEGLI AUTORI A ” MA TRIESTE NON È BOLZANO

Il nostro intervento “Quelle Regioni ancora più speciali” ha suscitato non poche reazioni da parte dei lettori de lavoce.info, a conferma che il tema è attuale e rilevante, anche se non sempre riceve la dovuta attenzione da parte della politica e dei mass media.

Oltre a ringraziare per i molti commenti postivi, tentiamo di rispondere alle poche (ma autorevoli) critiche che abbiamo ricevuto.
Nella conclusione del loro intervento “Ma Trieste non è Bolzano”, Clara Busana e Antonio Salera affermano testualmente che “LÂ’atteggiamento conservatore della Regione Fvg nei confronti della riforma del federalismo fiscale ci sembra quindi motivato (anche se probabilmente non giustificato) non tanto dal timore di vedersi valutare, quanto di vedersi “trascinare” in un sistema complessivamente meno efficace ed efficiente”.
Siamo perfettamente d’accordo. La nostra tesi è appunto che la riforma del federalismo fiscale avrebbe potuto essere l’occasione per rendere quel “sistema” più efficace ed efficiente, così da poterlo estendere progressivamente anche alle RSS in modo tale da eliminare (o almeno attenuare) situazioni di “privilegio” dai più considerate come anacronistiche e che ingenerano veri e propri fenomeni di concorrenza sleale a danno delle RSO (da questo punto di vista, i tentativi, finora in gran parte falliti, di migrazione di Comuni da queste ultime alle Rss sono emblematici).
Non condivisibile ci pare invece l’affermazione secondo cui “la bilateralità degli accordi è di per sé uno strumento corretto proprio perché le Rss sono tra di loro molto diverse sia nel grado di autonomia fiscale originariamente concesso, sia ovviamente nella loro traiettoria di sviluppo”.

In generale, procedere mediante accordi one to one rischia di segmentare ulteriormente la platea degli enti sub-statali, senza sostanziali guadagni in termini di efficacia ed efficienza per il “sistema” nel suo complesso. Nel nostro intervento non ci sono affatto “specifiche attribuzioni di responsabilità attribuite alla Regione Friuli Venezia Giulia”, ma è un fatto (confermato dalle stesse fonti citate da Busana e Salieri) che il FVG sia più ricco della media nazionale e soprattutto delle Rss del Sud, che è esattamente quanto noi abbiamo affermato.
Nello specifico, parlare di “autonomia fiscale” con riferimento a regimi che si reggono su meccanismi di compartecipazione ci pare improprio.
Non crediamo, pertanto che la soluzione corretta sia quella (suggerita da Magotti e ripresa da altri lettori) di parificare le Rso alle Rss, perché le attuali regole di finanziamento di queste ultime non sono del tutto coerenti con quel principio di responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche che dovrebbe ispirare qualsiasi modello federale in ossequio al principio no taxation without representation.
Del resto, è universalmente riconosciuto che la generalizzazione del modello finanziario delle Rss sarebbe finanziariamente insostenibile per lo Stato centrale, che perderebbe il controllo di gran parte delle proprie attuali entrate tributarie. In un simile scenario, come minimo, si dovrebbe aprire una discussione su come ripartire fra i diversi territori lo stock di debito pubblico attualmente in capo allo Stato.
Forse è vero che “attribuire alle Rss forme di egoismo à la Scrooge non aiuta ad individuare un percorso di convergenza” con le RSO, ma è un fatto che il disegno federalista è stato costruito a compartimenti stagni anche su pressione dei rappresentanti della lobby delle autonomie speciali.

Per questo non possiamo che concordare con Busana e Salera sul fatto che “lasciar fuori le Rss dalla riforma sia una pessima idea” ed “un grave segnale di debolezza da parte del governo”.
In questi giorni si stanno valutando interventi correttivi ai provvedimenti attuativi della legge n. 42/2009. Sarebbe una bella notizia apprendere che fra i punti allÂ’ordine del giorno vi sia anche quello di una maggiore, progressiva armonizzazione fra Rss e Rso.
Ciò gioverebbe anche alle stesse Rss, che potrebbe contribuire alla razionalizzazione di un “sistema” (giuridico ed economico) di cui, volenti o nolenti, fanno e continueranno a fare parte.

QUELLE REGIONI ANCORA PIÙ SPECIALI

La riforma del federalismo fiscale avrebbe potuto essere l’occasione per intervenire sull’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale, eliminando alcuni privilegi ormai anacronistici, per accettare la sfida di una maggiore trasparenza sui costi e di una spinta verso l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici. Invece, l’attuazione della riforma allarga ancora il solco con le Regioni a statuto ordinario. E si delinea una segmentazione anche del regime delle singole Regioni autonome, a tutto svantaggio di quelle del Sud.

IL FEDERALISMO FISCALE VISTO DA WASHINGTON

La nota ufficiale seguita alla missione dell’Fmi in Italia si occupa, tra l’altro, di federalismo fiscale. Il Fondo sembra guardare alla fase di ulteriore decentramento con un misto di apprensione e speranza. E perché la seconda prevalga, individua alcuni punti: la reintroduzione di qualche forma di tassazione sulle prime case in termini patrimoniali e reddituali; lo snellimento del sistema delle province; l’opportunità di introdurre anche nel nostro paese forme di federalismo a velocità variabile. Suggerimenti utili alla discussione. L’auspicio è che siano ascoltati.

PEREQUAZIONE: CHI L’HA VISTA?

La riforma del federalismo fiscale è arrivata finalmente alle questioni di peso con l’approvazione del decreto sulla finanza regionale, dopo quello sulla finanza comunale. Colpisce quello che i due decreti mancano di affrontare. Il nodo centrale ancora aperto riguarda la perequazione: come redistribuire tra regioni ricche e regioni povere, e tra enti locali ricchi e poveri, le risorse fiscali loro attribuite mediante le imposte decentrate. Le decisioni su elementi solo apparentemente tecnici sono ancora rimandate a interventi successivi.

LO PSICODRAMMA DELLE IMPOSTE COMUNALI

Il decreto sul federalismo municipale ha rischiato di mettere fine alla legislatura ed è ora al centro di una forte tensione istituzionale. Ma rappresenta davvero il passaggio cruciale per la costruzione del federalismo nel nostro paese? Il provvedimento è tutto sommato assai modesto. Manca comunque una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. Mentre l’ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, il cui principale obiettivo è rendere i sindaci responsabili davanti ai propri cittadini.

È ANCORA LUNGA LA STRADA DELL’ITALIA FEDERALE

Non è vero che il federalismo fiscale è fatto. E non solo perché ovviamente alla concreta attuazione della riforma del sistema di finanziamento di Regioni ed enti locali manca un’infinita sequenza di atti amministrativi e un periodo di transizione di cinque anni. Ma anche perché la fase della formulazione e approvazione dei decreti legislativi è ben lontana dall’essere conclusa. Nel mosaico della riforma disegnato da questi provvedimenti ci sono ancora molte lacune, totali o parziali, rispetto a quanto previsto dalla legge delega.

Tutto ruota intorno ai fabbisogni standard

Ancor più della riforma dei tributi regionali e locali, il vero punto critico del federalismo fiscale è la definizione dei fabbisogni standard. Nei due schemi di decreti finora approvati sugli standard di comuni e province e sugli standard sanitari per le Regioni, il governo ha seguito due ispirazioni e due approcci metodologici profondamente diversi. Ma come far convivere le due accezioni, entrambe presenti nella Costituzione e nella stessa legge delega? Momenti di collegamento vanno ricercati in tutte le fasi del processo di decisione e di applicazione dei fabbisogni standard.

 

Il nuovo fisco regionale? Quello di prima

Nel decreto omnibus sul federalismo fiscale approvato dal governo è delineato anche il sistema di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario. I tributi disponibili restano quelli di oggi: Irap, addizionale Irpef, compartecipazione Iva, con qualche margine di manovra in più, seppure sotto il vincolo di non aumentare la pressione fiscale generale. Sul sistema perequativo delle Regioni, lo schema di decreto aggiunge poco a quanto detto dalla legge delega. Scioglie alcuni ma non tutti i dubbi e suscita però anche nuovi interrogativi.

La risposta ai commenti

L’Â’imposizione sull’Â’abitazione di residenza è la norma negli altri paesi. Il valore dell’Â’immobile di residenza è un ottimo indicatore di capacità contributiva, fortemente correlato con reddito e ricchezza.
L’esenzione da imposte sulla “prima casa” determina dunque iniquità orizzontale. Tale esenzione non si giustifica con il fatto che si tratta di un bene primario: molti altri beni primari (il cibo, il vestiario) sono tassati.
D’altra parte, l’Â’imposizione sulla casa di residenza non esclude la possibilità di applicare deduzioni o detrazioni in grado di modulare l’Â’onere impositivo tra le diverse famiglie (molto meglio che distinguere soltanto tra abitazioni di lusso e non di lusso).
Va anche detto che l’investimento immobiliare ha nel nostro sistema un trattamento di favore, visto che la rendita catastale sottostima fortemente la redditività effettiva dell’immobile. Ciò discrimina rispetto a investimenti alternativi ad esempio in attività produttive.
Non si dimentichi inoltre che lÂ’’imposta sugli immobili rappresenta uno dei pochi esempi di tributo effettivamente locale, in quanto caratterizzata da una base imponibile sufficientemente uniforme e stabile sul territorio nazionale e che ben si collega ai benefici che i cittadini ricevono dall’Â’attività pubblica. Anche da questo punto di vista, è chiaro che lÂ’’esenzione delle abitazioni principali non consente di ottenere un federalismo pienamente responsabile. Il punto sollevato nellÂ’’articolo riguardava proprio questo aspetto: chi prende le decisioni deve essere anche chi sopporta i costi di queste decisioni; dunque non si possono escludere i residenti nel disegno dell’autonomia tributaria.

Prove di federalismo municipale

Più ombre che luci nella riforma della fiscalità comunale. Nascono dubbi sul fatto che possa garantire la certezza di risorse alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti territoriali. Nella seconda fase, l’Imup si profila come una super-patrimoniale sulle seconde case.

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