La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è alla fine iniziata. Porta con sé grandi rischi di un’escalation che potrebbe rallentare tutta l’economia mondiale. Non ci sarà un vincitore, ma è già chiaro chi pagherà il conto dell’azzardo di Trump.
Autore: Alessia Amighini Pagina 7 di 9
Professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell'ISPI. E' stata visiting scholar presso il Department of International Business and Economics dell'Universita' di Greenwich ed economista presso la United Nations Conference on Trade and Development. Ha pubblicato numerosi articoli sull’economia cinese e sull'espansione delle imprese cinesi all'estero su riviste accademiche internazionali quali China Economic Review, China and the World Economy, International Economics, World Development, World Economy. Tra i libri: L'economia della Cina nel XXI secolo (con F. Lemoine), Il Mulino, 2021; L'économie de la Chine au XXIè siècle (con F. Lemoine), La Découverte (in corso di pubblicazione); China Dream: Still coming True?, ISPI, 2016; Xi Jinping's policy gambles: The bumpy road ahead (con A. Berkofski), ISPI, 2015 e L'economia della Cina (con S. Chiarlone), Il Mulino, 2006.
Lo yuan si è indebolito dalla seconda metà di aprile e da inizio giugno ha perso sul dollaro il 3 per cento. Ma non è la banca centrale cinese a orchestrare la svalutazione. Anzi le autorità di Pechino hanno molti motivi per preferire una moneta forte.
Il governo dice di voler difendere la qualità dei prodotti alimentari italiani. Ma ritirarsi dagli accordi internazionali e chiudere le frontiere alle importazioni non è il modo migliore di farlo. Anzi, finisce per danneggiare le nostre esportazioni.
La guerra dei dazi tra Usa e Cina sembra rientrata, ma resta il tema della dipendenza della crescita mondiale da quella cinese. I suoi pilastri sono stati accumulazione di capitale e aumento di popolazione attiva e produttività. Cosa accadrà in futuro?
Le minacce di dazi puntano a indurre la Cina ad accettare trattative bilaterali con gli Stati Uniti su temi che l’attuale sistema multilaterale degli scambi non riesce a gestire. Un accordo di questo tipo segnerebbe però la fine del multilateralismo.
L’amministrazione Usa cerca di mantenere le promesse elettorali frenando la concorrenza sleale delle imprese di stato cinesi. Sceglie però i dazi, un metodo sbagliato e inefficace. E in una guerra commerciale chi avrebbe più da perdere è proprio Trump.
Dall’Assemblea generale del popolo emerge una Cina ben lontana dall’aprirsi al mercato. Anzi si rafforza un sistema di economia pianificata, con importanti finanziamenti statali alle industrie strategiche per sfidare le economie occidentali.
La Nuova via della seta progettata dal governo cinese aumenterà gli scambi commerciali internazionali. Avrà effetti anche sulle modalità di trasporto: oggi gran parte delle merci viaggia via mare, ma la ferrovia può diventare una concorrente agguerrita.
Italia e Cina sono ora collegate da una linea ferroviaria diretta per il trasporto merci. In futuro le merci viaggeranno sempre più per via multimodale. Perché il nostro paese ne benefici va superata la frammentazione e la competizione tra diversi poli.
La visita di Trump ha permesso alle autorità cinesi di ri-annunciare l’apertura del settore finanziario ai capitali esteri. Una mossa per arginare la sfiducia delle banche straniere nelle riforme finanziarie. Anche perché a Pechino serve una moneta forte.