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Porti italiani chiusi anche alle merci

Il governo dice di voler difendere la qualità dei prodotti alimentari italiani. Ma ritirarsi dagli accordi internazionali e chiudere le frontiere alle importazioni non è il modo migliore di farlo. Anzi, finisce per danneggiare le nostre esportazioni.

Quell’antipatia per il Ceta

Porti chiusi non solo per i migranti dall’Africa, ma anche per alcune merci, soprattutto alimenti, provenienti dai paesi meno avanzati. Sono queste le intenzioni del nuovo governo, che sta ripensando in modo indiscriminato la posizione dell’Italia nelle relazioni con il resto del mondo, soprattutto con i paesi poveri, ma anche con quelli ricchi.

Per esempio, il ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio ha affermato di non essere favorevole al Ceta, l’accordo commerciale tra Canada e Unione europea approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio 2017, entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2017, e ora in attesa di essere ratificato da tutti i membri dell’UE. L’accordo consentirebbe l’eliminazione della quasi totalità delle tariffe doganali tra Canada e Unione Europea. Anche un altro esponente del governo, Matteo Salvini, ha già annunciato di non volerlo ratificare. Aggiungendo, di fronte all’aumento delle importazioni di riso: “siamo pronti a bloccare le navi cariche di riso asiatico”.

Gli argomenti del governo a favore della chiusura alle importazioni appaiono approssimativi e incompleti. Al di là della necessità di mantenere le promesse elettorali, qual è davvero l’interesse nazionale?
Mantenere e difendere la qualità dei prodotti italiani – impegno dichiarato del nuovo corso protezionista – non sempre coincide con gli obiettivi effettivi delle politiche annunciate dal governo. L’interesse dei produttori italiani di veder riconosciute le certificazioni di qualità – e quello dei consumatori di poterle riconoscere e acquistare – è strumentalizzato per ottenere consenso su misure di dubbia efficacia e potenzialmente pure dannose. Per esempio, con il Canada l’Italia ha un interscambio importante, sia di import (circa 2 miliardi di dollari su 25 da tutta l’UE), sia soprattutto di export (circa 4 miliardi di dollari su 40 da tutta l’UE), con un saldo ampiamente positivo. Immaginare che l’accordo faccia aumentare solo le nostre importazioni e non contestualmente anche le nostre esportazioni è infondato e genera opinioni distorte. A ben vedere, gli accordi recenti siglati dall’UE, come quello con la Corea del Sud, tanto osteggiati dall’Italia, in realtà hanno favorito molto più le esportazioni europee delle importazioni, al punto che nel paese asiatico cresce la delusione per il mancato miglioramento del saldo commerciale. Eliminare i dazi con il Canada permetterà di aumentare la competitività dei prodotti europei sul mercato canadese. Mantenerli in vigore, invece, aprirà ancor di più la strada a prodotti di paesi terzi che faranno concorrenza a quelli europei.

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Tra l’altro, il Ceta prevede anche la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici, una clausola fortemente voluta dagli agricoltori europei, che rende l’accordo uno dei più avanzati finora siglati. Eppure, una delle maggiori critiche all’accordo è proprio la scarsa tutela dei prodotti agroalimentari italiani certificati. Ma se è vero che solo 42 dei 292 prodotti certificati sul territorio nazionale sono riconosciuti, è altrettanto vero che ciò corrisponde a quasi il 30 per cento delle 143 certificazioni riconosciute per tutta l’Unione.

Da dove arriva il riso

Un altro punto sollevato dai detrattori dell’accordo, che trovano ora sostegno nelle posizioni del governo, è che il Ceta “legittima l’Italian sounding, la contraffazione dei prodotti italiani e apre il mercato ai parmesan e alle mozzarille”.

Secondo l’avvocato Vito Rubino, esperto di diritto alimentare, invece, l’accordo rappresenta un risultato forse parziale, ma concreto nella lotta contro l’Italian sounding, in quanto, nell’impossibilità tecnica di impedire la commercializzazione di prodotti che imitano quelli italiani, costringe però i produttori a indicarne la vera provenienza geografica: ciò consente di dare al consumatore dei mercati terzi l’informazione che tali alimenti non hanno nulla a che vedere con i veri prodotti italiani, mentre il consumatore in Italia resta tutelato perché questi prodotti non potranno entrare nel nostro paese. Secondo Rubino, la sicurezza alimentare non è evidentemente un problema legato al Ceta: oggi solo il 3 per cento di tutte le importazioni sono sottoposte a controllo fisico, a campione, e questo è il risultato del processo di uniformazione alle procedure e ai tempi di sdoganamento nei paesi dell’Unione. In ogni caso, eventuali micotossine come quelle di cui si sospetta il grano canadese sono naturalmente presenti in tutti i raccolti, inclusi quelli nazionali.

Tuttavia, è vero che il settore alimentare in questo momento è sotto pressione per la concorrenza estera favorita dagli accordi, ma soprattutto per le importazioni dai paesi meno avanzati, che beneficiano di esenzioni tariffarie. E il riso è un comparto con più problemi di altri.
Il consumo europeo di riso è infatti coperto per il 50 per cento da importazioni che, per i due terzi, non pagano dazio. Ma non si tratta tanto e solo di riso asiatico: Cambogia, India, Pakistan, Tailandia e Vietnam sono ampiamente superati dalla Guyana (22 per cento delle importazioni italiane nel 2017).

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D’altra parte, le dodici allerte sanitarie da contaminazione per il riso e i prodotti a base di riso provenienti da paesi extracomunitari riportate nei dati del sistema di allarme rapido comunitario (Rasff) sono la prova che i controlli per proteggere il consumatore europeo ed educare il produttore estero funzionano. Al contempo, anche le esportazioni di riso italiano aumentano, di quasi il 13 per cento nella campagna 2017-2018 rispetto al periodo precedente (secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico elaborati da Enterisi), soprattutto verso l’extra-UE (Turchia, Giordania, Libia, Sudafrica, Serbia, Albania). Come in altri settori, anche nel riso la domanda nazionale si diversifica verso più varietà e livelli di qualità e prezzo. E lo stesso accade alla domanda estera, che dà più spazio al riso italiano e in generale all’alimentare italiano, uno dei settori del nostro export che ha registrato i risultati migliori nel 2017.

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Per la sicurezza conviene garantire un lavoro ai migranti

  1. Savino

    Con Salvini e Trump aumenterà nel mondo solo la produzione di caffè di cicoria.

  2. Savino

    Salvini non sta svolgendo il ruolo di Ministro dell’Interno secondo quanto prevedono la Costituzione e le leggi.
    La tutela dei diritti civili e delle minoranze è in capo al Ministro dell’Interno, così come il potere di sciogliere le associazioni politiche ritenute di stampo fascista, razzista e xenofobo.
    I servizi dell’Interno sono di sicurezza e rappresentanza sul territorio, mentre la sicurezza alimentare è in capo al Ministro della Salute e tutta la disiplina import export è del Ministro dello Sviluppo, ora anche Ministro del Lavoro.

    • And

      Non per polemica politica ma essendo un operatore del settore mi permetto: la tutela della sicurezza alimentare dovrebbe essere in capo al Ministero della Salute (è comunque una semplificazione), peccato che gli ultimi (non so quanti) governi, oltre ad aver impiegato 6 anni per scrivere un decreto sanzioni a seguito dell’approvazione del Regolamento CE 1169/2011 (entrato effettivamente in vigore a Dicembre 2014) e lasciando il settore in un regime di totale anarchia per quasi 4 anni, hanno spostato il regime sanzionatorio in capo al Ministero dell’Agricoltura (per precisione all’ICQRF, tra l’altro dotato di scarsi mezzi) compresi gli aspetti che riguardano la salute pubblica, esautorando quasi di fatto l’autorità sanitaria. Si aggiungano poi gli errori fatti dall’ultimo governo (Martina, Calenda, Olivero) con i decreti di origine delle materie prime spinti da assurde campagne di allarme sanitario fomentate da Coldiretti ed emanati in spregio alle tanto richiamate norme europee, causando oltretutto danni non indifferenti agli operatori del settore. Non si preoccupi, i danni al tanto sbandierato settore alimentare sono assolutamente bipartisan e in troppi ci mettono le mani da sempre, sono solo in attesa dei prossimi.

  3. And

    Mi permetta alcune precisazioni sull’import di riso: il dato riportato della Guyana è a mio avviso da una parte significativo e dall’altra fuorviante, fino alla campagna 2013/14 le importazioni da quel paese sono pari a zero, nel momento in cui vengono esentati dai dazi i paesi Cariforum le importazioni passano per il 2014/15 a 23369 t di riso base lavorato (in realtà sotto forma di 37298 t di risone) cioè il 18% delle importazioni extra UE (a mio avviso non ha molto senso raffrontarle con il valore totale delle importazioni essendo ovviamente le UE considerabili di fatto come domestiche), per la campagna 2015/16 si passa a 57068 t con una percentuale del 42% sul totale e si scende a 36737 t con una percentuale del 30% per la campagna 2016/17 (sempre con i criteri di cui sopra). I dati disponibili oggi indicano un’ulteriore diminuzione e un recupero dei paesi asiatici, con importanti riposizionamenti dopo il divieto di utilizzo di un fungicida nella UE ancora utilizzato in alcuni paesi. I produttori sono ora preoccupati delle quote esenti che potrebbero arrivare dai paesi Mercosur. Tralasciando ogni considerazione politica, ricordo che il settore agricolo svolge anche un’importante funzione di tutela e manutenzione del territorio, posso assicurare che già oggi senza gli aiuti Pac molte realtà anche di dimensioni non indifferenti sarebbero destinate alla chiusura (e non solo nel settore risicolo). Siamo sicuri che così com’è costruito il mercato agricolo funzioni?

  4. Aram Megighian

    La mia semplice e limitata impressione, è che non esista affatto alcuna lontana idea di un progetto a lungo termine e di una visione chiara su cosa si intende fare.
    Sono chiaramente, ogni giorno o minuto idee raccolte leggendo qualche dato raccolto qua e là, ma mai valutato in modo generale e nel contesto in cui si trova.
    Questo si traduce nell’ “assenza” cronica (indipendentemente dai governi) del Governo italiano ai tavoli più importanti, che sono i tavoli tecnici dove gli aspetti particolari e specifici vengono messi nero su bianco. Gli esempi sono numerosissimi. Il protocollo di Dublino è stato firmato dal Governo italiano e lì c’era scritto nero su bianco il fatto che gli immigrati dovevano essere accolti nel primo paese di entrata. Data la posizione geografica dell’Italia, non era difficile capire chi pagava. Nell’ERC dove si discute come impiegare le risorse della ricerca, i nostri poveri ricercatori devono andare a sostenere panels dove i loro colleghi stranieri arrivano con i tecnici dei Ministeri della Ricerca che li supportano nella parte tecnico-amministrativa. Nella ripresa produttiva del Nord Italia e soprattutto del NordEst, a fronte di proclami sul notevole ruolo di scambio economico con l’Oriente dell’antica Venezia, non ho ancora sentito alcuno parlare della notevole opportunità del progetto della via della Seta del Governo cinese e quindi dell’opportunità di potenziare porti (Venezia, Trieste) e trasporti del NordEst. Silenzio totale.

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