Partecipazione civica e snellimento burocratico: insieme potrebbero sanare la distanza che si crea tra decisori e collettività quando si tratta di prendere decisioni in campo ambientale, soprattutto su rifiuti ed energia, evitando tensioni e inefficienze.
Autore: Antonio Pergolizzi
Analista ambientale, giornalista, scrittore, docente e consulente per enti privati e pubblici (da ultimo per il Commissario Straordinario per le bonifiche presso la Presidenza del Consiglio dei ministri), dal 2006 è curatore del Rapporto Ecomafia di Legambiente. Oltre a numerose pubblicazioni scientifiche, nel 2020 ha dato alle stampa Dalla parte dei rifiuti. La governance, l’economia, la società, lo storytelling e i trafficanti e nel 2018 Emergenza green corruption. Come la corruzione divora l’ambiente, entrambi per Andrea Pacilli Editore. Nel 2012 ha pubblicato ToxicItaly. Ecomafie e capitalismo: gli affari sporchi all’ombra del progresso (Castelvecchi 2012).
Sugli scarti tessili, il vero salto di qualità si misurerà nella capacità di incanalare i flussi verso percorsi di riciclo. Le filiere di distretto, concentrate geograficamente, rappresentano un contesto ideale per sperimentare una produzione circolare.
La moda è una delle industrie più inquinanti. L’Italia ha scelto di anticipare di tre anni l’obbligo di raccolta differenziata del tessile, al 1° gennaio 2022. Ma né i gestori della raccolta né le aziende manifatturiere sembrano pronte al cambiamento.
Attraverso la rigenerazione e il riuso dei prodotti si ottengono benefici ambientali ed economici. Ma in Italia queste attività sono ancora poco praticate, per la mancanza di regole chiare e la carenza di capacità organizzative e imprenditoriali.
Una circolare di fine 2020 del ministero dell’Ambiente chiede a chi gestisce in modo corretto gli pneumatici fuori uso di smaltire anche parte del mercato nero. A pagare sono i cittadini. Con quali strumenti si possono contrastare le pratiche illegali.
La gestione dei rifiuti in Italia vale circa 25 miliardi l’anno. Sono risorse che il Sud perde perché non ha saputo programmare e investire, affidandosi a improvvisazione e discariche. Ma proprio da qui può iniziare un nuovo sviluppo.
Il combustibile da rifiuti avrebbe le carte in regola per essere un sostituto “pulito” delle fonti fossili e una risposta all’eccessivo ricorso alle discariche. Potrebbe anche ridurre la dipendenza energetica del nostro paese. Eppure è poco utilizzato.
L’end of waste è una grande opportunità per un paese che ha bisogno di occuparsi di ambiente, sostenere lo sviluppo e contrastare lo smaltimento illegale dei rifiuti. Per superare l’attuale situazione di stallo si potrebbe dare più spazio alle regioni.