L’acqua dolce è diventata una risorsa scarsa, anche al Nord. Mentre l’Europa chiede nuovi impegni sugli inquinanti e sul riuso. Serve allora una strategia che dia indirizzi coerenti per affrontare la situazione in un’ottica di medio-lungo termine.
Autore: Donato Berardi Pagina 2 di 5
Si è laureato in Economia Politica presso l'Università Bocconi. È responsabile degli studi e delle analisi su prezzi e tariffe ed esperto di regolamentazione dei servizi pubblici, con particolare riferimento al servizio idrico, all’ambiente e all'energia. In REF Ricerche dirige il Laboratorio sui servizi pubblici locali ed è responsabile degli studi su prezzi e tariffe. Si è occupato a lungo di consumi e di distribuzione commerciale. E’ autore di pubblicazioni, saggi e articoli sulle tematiche afferenti gli interessi di ricerca.
Nella campagna elettorale per le regionali in Lazio, il tema della gestione dei rifiuti è rimasto sottotraccia. Ma in una regione che produce 2,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani non si può più tergiversare. È tempo di prendere decisioni nette.
Partecipazione civica e snellimento burocratico: insieme potrebbero sanare la distanza che si crea tra decisori e collettività quando si tratta di prendere decisioni in campo ambientale, soprattutto su rifiuti ed energia, evitando tensioni e inefficienze.
La riforma della gestione dei servizi idrici prevista nel Pnrr è piuttosto promettente e, complici anche gli obblighi europei, sembra procedere di buon passo. Sarà compito del nuovo governo attuarla nei tempi stabiliti.
La siccità, conseguenza dei cambiamenti climatici, si può affrontare con un piano in cinque passi. Si avrebbero benefici reali in poco tempo. Ci vuole però consapevolezza che l’acqua dolce è un bene scarso e prezioso.
Il Pnrr riconosce le carenze attuali del servizio idrico, ma stanzia risorse inferiori ai fabbisogni. Sulla gestione dei rifiuti si limita invece all’enunciazione di principi generali, senza una strategia per costruire una rete integrata di impianti.
Il riassetto del servizio idrico al Sud è una vicenda ormai trentennale. La situazione è grave perché impedisce l’accesso ai fondi pubblici europei. Dove mancano operatori industriali deve essere obbligatorio l’affiancamento di soggetti qualificati.
L’Italia produce più rifiuti da attività economiche degli altri grandi paesi europei. È lo specchio di un modello orientato al riciclo. I margini di miglioramento sono ampi: richiedono regole precise e una spinta su efficienza e simbiosi industriale.
In Italia si ricicla molto. Ma la produzione di rifiuti delle attività economiche rimane saldamente “ancorata” all’andamento del Pil, a differenza di quanto accade in altri paesi europei. Mancano infatti impianti adeguati alla chiusura del ciclo.
Sugli scarti tessili, il vero salto di qualità si misurerà nella capacità di incanalare i flussi verso percorsi di riciclo. Le filiere di distretto, concentrate geograficamente, rappresentano un contesto ideale per sperimentare una produzione circolare.