La fecondità è di solito una decisione di coppia. Ma determinante non è la condizione economica del partner maschile, come vorrebbe la visione tradizionale dei ruoli di genere. È la situazione lavorativa delle donne a influenzare la nascita di un figlio.
Autore: Elisa Brini
Elisa Brini è ricercatrice in demografia presso il Dipartimento di Statistica, Informatica, Applicazioni “Giuseppe Parenti” dell'Università di Firenze. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale presso l'Università di Trento. La sua ricerca si focalizza sulla bassa fecondità e sulle diseguaglianze sociali ed economiche connesse al corso di vita e alle dinamiche familiari. È membro delle unità di ricerca UPS (Population and Society Unit), CSIS (Center for Social Inequality Studies).
La legge di bilancio prevede varie misure per le famiglie. La novità che potrebbe incidere sulla natalità è la decontribuzione per le lavoratrici madri. Riguarda però solo donne con almeno tre figli, mentre servirebbero riforme universali e strutturali.
Lo svantaggio lavorativo delle donne registrato in vari paesi durante la pandemia ha portato molti a parlare di “she-cession”: una recessione che, in campo lavorativo, ha colpito soprattutto le donne. Ma in Italia i numeri dicono qualcosa di diverso.