L’ingresso in Italia di lavoratori stranieri è regolato da un percorso burocratico lungo e complesso, incompatibile con le esigenze dell’economia. Il problema riguarda in particolare agricoltura e turismo, che hanno bisogno di manodopera stagionale.
Autore: Enrico Di Pasquale Pagina 2 di 8
Ricercatore della Fondazione Leone Moressa. Esperto di immigrazione e di euro-progettazione. Ha collaborato in diversi progetti sui seguenti temi: integrazione socio-economica, associazionismo, formazione e comunicazione. Dal 2013 collabora alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Collabora con "Lavoce.info", "Il Mulino", "Neodemos.it".
Entra in vigore il decreto flussi, che permette l’ingresso in Italia di più di 60mila lavoratori extra-Ue. La procedura, lunga e complicata, riguarda un numero di lavoratori superiore rispetto agli anni scorsi, ma in buona parte ancora stagionali.
Entro fine anno il “decreto flussi” 2021 dirà quanti lavoratori stranieri possono fare ingresso in Italia. Non è un’apertura incondizionata delle frontiere, ma il tentativo di rispondere a un bisogno dell’economia attraverso una pianificazione ragionata.
Diminuite poco anche nel periodo più critico della pandemia, quest’anno le rimesse degli immigrati verso il paese di origine dovrebbero tornare a crescere. Sono somme che andrebbero canalizzate verso programmi di sviluppo, gestiti dalle diaspore.
Da tre anni il numero degli stranieri in Italia si è attestato a quota 5 milioni e il lieve calo del 2020 nasconde molte sfaccettature. Innanzitutto, sono cambiate composizione e struttura di questa popolazione. E poi ci sono i ragazzi nati nel nostro paese.
Un calcolo “economicistico” dei costi e dei benefici dell’immigrazione rischia di oscurare aspetti etici fondamentali. Ma è anche normale che l’opinione pubblica si chieda se il fenomeno è un peso per le casse dello stato. I risultati di un rapporto.
L’emergenza umanitaria in Afghanistan ha riportato l’attenzione sul tema dei rifugiati. Probabilmente non si ripeterà quanto successo nel 2015 con i profughi siriani. Ma in Europa sarebbe stato utile aver attuato le riforme invocate nei momenti di crisi.
Sono le donne straniere le più colpite dalla crisi dovuta al Covid-19. Lo confermano i dati sugli occupati nel 2020. Perché sono più spesso occupate in lavori precari. Così blocco dei licenziamenti e cassa integrazione sono stati di ben poco aiuto.
Dal 2015 l’Italia ha speso più di un miliardo tra fondi propri o comunitari per fermare gli sbarchi nel Mediterraneo. È una politica condivisa in Europa, ma restano dubbi sulla sua efficacia. L’approccio delle politiche migratorie andrebbe ripensato.
Anche nell’anno della pandemia, l’imprenditoria immigrata in Italia ha continuato a crescere e rappresenta ora quasi il 10 per cento del totale. Un’opportunità per tutto il paese, a patto di creare le condizioni per attrarre competenze e talenti.