La riforma dell’accesso alle facoltà sanitarie non è la “fine del numero chiuso”: mantiene una forma di selezione, ma la sposta alla fine del primo semestre. È ricalcata sul sistema francese. Garantirà un numero di medici adeguato alle necessità future?
Autore: Gilberto Turati Pagina 1 di 9
Gilberto Turati è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove coordina la Laurea Magistrale in Management dei Servizi e il Master in Economia e Politica Sanitaria di ALTEMS/Coripe presso il Campus di Roma. É vicedirettore dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Comitato Direttivo della Società Italiana di Economia Pubblica (Siep). Fa parte della redazione de lavoce.info, del comitato di redazione di “Politica Economica - Journal of Economic Policy” e del comitato di direzione del "Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo". È stato prima ricercatore, poi professore associato all’Università degli Studi di Torino. É stato membro del Board della European Public Choice Society (EPCS) per il term 2012-2015 e Presidente dell’Organismo Indipendente di Valutazione della Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino per il mandato 2019-2022.
Quattro regioni hanno chiesto maggiore autonomia su materie non-Lep, quelle che secondo la legge non dovrebbero ledere l’eguaglianza dei diritti civili e sociali. Pur nella totale mancanza di trasparenza del processo, alcuni esempi mostrano il contrario.
Sono sufficienti i fondi assegnati alla sanità dalla manovra di bilancio? In numeri assoluti lo stanziamento cresce, in percentuale è stabile intorno al 6 per cento del Pil. La vera questione è però come costruire e organizzare la sanità territoriale.
Per spiegare i vantaggi dell’autonomia differenziata sulla sanità, il presidente di Regione Lombardia cade sull’esempio sbagliato: una vaccinazione per neonati che le regioni non potrebbero somministrare perché non inserita nei Lea. In realtà già la fanno.
Definire i Lep non è sufficiente per garantire la stessa qualità dei servizi in tutto il paese, nella sanità come in altri settori. Bisogna attuare meccanismi di convergenza verso le esperienze migliori, E non basta aumentare i finanziamenti per riuscirci.
Non è la “secessione dei ricchi” perché le risorse per le materie devolute saranno decise anno per anno dallo stato centrale. Il pericolo per il paese è il moltiplicarsi di norme e burocrazie: può manifestarsi subito, a prescindere dalla stima dei Lep.
L’ultimo Rapporto sulla finanza pubblica italiana dedica un capitolo all’autonomia differenziata. Una simulazione mostra i limiti del Ddl Calderoli sul finanziamento delle materie devolute. Sarebbe più adeguato uno schema di compartecipazione dinamico.
Dopo la pubblicazione della Nadef, si è acceso un aspro dibattito sulle risorse da destinare alla sanità. Ma nessuno parla della vera questione: come riformare il sistema sanitario nazionale. È su questo tema che si dovrebbero chiedere risposte al governo.