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Autore: Lorenzo Stanghellini Pagina 2 di 3

stanghellini E' Professore Ordinario di Diritto commerciale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze. Ha ottenuto il Master in Laws alla Columbia University School of Law, New York. E’ stato Academic Visitor nella Faculty of Law della University of Cambridge e nella Faculty of Law della University of Oxford, presso le quali ha tenuto seminari, e Visiting Scholar nella University of California at Berkeley, School of Law e nella Columbia University, New York. È membro dell'Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto dell'impresa. Ha operato come consulente nella stesura della normativa speciale per il caso Parmalat e nella riforma della legge fallimentare. Nel 2007 ha pubblicato "Le crisi d’impresa fra diritto ed economia”, il Mulino.

GRAVISSIME RESPONSABILITA’ SE MANCASSE IL CARBURANTE PER GLI AEREI

Il primo dovere del commissario straordinario di Alitalia è assicurare il funzionamento dell’azienda. L’articolo 52 della legge sull’amministrazione straordinaria consente al commissario di accendere finanziamenti che godono di priorità assoluta su tutti gli altri debiti. Ciò è stato fatto per Parmalat, con una situazione debitoria superiore a quella di Alitalia, ed è atto normale in tante situazioni di dissesto, in Italia e all’estero.
Non era ragionevole ipotizzare che una soluzione definitiva per Alitalia si concretizzasse in sole due settimane dall’apertura della procedura, nemmeno quella della vendita a CAI, che si dice dovrebbe iniziare a volare dal 1° novembre. Per questo, era preciso dovere del commissario sin dal suo insediamento il 29 agosto scorso, assicurarsi che vi fossero risorse sufficienti per la continuità aziendale fino alla vendita, o in mancanza, reperirle sul mercato dei finanziamenti.
Non è chiaro, ora, come l’eventuale firma dell’accordo fra CAI e i sindacati possa generare la liquidità per il carburante, se questa davvero non vi fosse. Le dichiarazioni odierne, secondo cui potrebbe mancare il carburante per gli aerei sin da lunedì, generano dunque seri interrogativi qualunque sia il loro grado di fondatezza.

VERO E FALSO NELLA PROCEDURA ALITALIA

Per quello che sappiamo oggi, lo scenario dell’immediato futuro di Alitalia si snoda in tre passaggi: in breve tempo, la vendita da parte del commissario di Alitalia delle rotte e degli aerei; in un tempo successivo, la vendita e il realizzo del resto dell’attivo; come ultimo atto, la distribuzione ai creditori di quanto è stato ricavato. Dato che l’attivo realizzato sarà verosimilmente inferiore ai debiti, esso verrà distribuito in parti uguali a tutti i creditori. Tentiamo di verificare, alla luce della legge, le affermazioni più frequentemente lette sui media in questi giorni.

UN DECOLLO CHE SFIDA LE LEGGI

Il mercato ha le sue leggi, una delle quali dice che un’impresa che spende più di quello che incassa prima o poi ne esce per liquidazione volontaria o per fallimento. Il mercato aveva già decretato la morte di Alitalia, in perdita da anni, in marzo. I sindacati hanno confidato nell’aiuto della politica e hanno avuto ragione, perché governo e il Parlamento hanno dato alla compagnia altro denaro da bruciare. Si è trattato, però, di una vittoria di Pirro. Dopo soli quattro mesi, i soldi sono finiti e siamo giunti al capolinea. Ora quali scenari si aprono con il decreto Alitalia?

CON IL COMMISSARIO NON SI VOLA

Cosa accadrebbe se Alitalia non trovasse un compratore? Cos’è il “commissariamento” di cui si parla come di uno spauracchio? Quali conseguenze scatterebbero per azionisti, creditori, lavoratori e viaggiatori? Se si trasformassero i debiti della società in azioni, come si è fatto con Parmalat, i suoi creditori avrebbero comunque il problema di un’impresa che perde. Occorre una soluzione industriale, perché la finanza ha già fatto tutto quello che doveva, e forse ha fatto anche troppo.

Crisi d’impresa, crisi di regole

Fino al dicembre del 2003, l’Italia aveva un apparato di regole sufficientemente moderno per le imprese che, pagando regolarmente i creditori, erano governate dai loro azionisti. Per un eventuale crisi, scattavano però regole la cui origine era rintracciabile nel medioevo. Un panorama sconfortante, cambiato sotto i colpi di maglio del caso Parmalat. Ora occorre fare tesoro di quest’esperienza, unica e che tale deve restare, e razionalizzare la normativa per tutte le imprese, grandi, piccole e medie.

Quella golden share che brilla sempre meno

La golden share può ostacolare la circolazione dei capitali all’interno del mercato comune europeo. Per questo la Corte di giustizia impone ai paesi che la contemplano di circoscriverne il raggio d’azione. Non sembra quindi ipotizzabile che il nostro governo possa esercitare il diritto di veto sulle operazioni Telecom di scorporo della rete fissa e mobile. Al massimo, può esigere che lo statuto della società cui è conferita la rete fissa contenga una golden share. Per mantenere gli stessi poteri di salvaguardia che ha oggi in caso di pericolo. Niente da fare invece per Tim.

Fallimenti, riforma a metà del guado

Dopo un difficile travaglio, questa settimana il Governo potrebbe varare lo schema di decreto legislativo di riforma del diritto fallimentare. Acquisito il parere delle Camere, la bozza potrebbe quindi diventare legge e, all’inizio del prossimo anno, entrare in vigore, svecchiando la nostra decrepita legge fallimentare. Anche se la riforma deve essere giudicata positivamente, è bene sottolineare che costituisce solo una tappa intermedia verso una vera modernizzazione del sistema, ormai impossibile in questa legislatura.

Fallimenti, riforma a piccoli passi

Perduta la speranza di approvare in questa legislatura una riforma complessiva della legge fallimentare, il Governo ne ha approvato tre importanti modifiche. Si tratta solo di un ritocco per decreto della legge fallimentare del 1942, ma le novità sono importanti e devono nel complesso essere viste con favore. Prevedono una riduzione dell’azione revocatoria, una revisione del concordato preventivo e una disciplina degli accordi privati fra debitore e creditori. Resta il rimpianto di non essere riusciti ad approvare una riforma che avrebbe consentito una vera svolta.

Il mondo cambia, la legge fallimentare no

La legge attuale va riformata perché dà una chance di salvarsi solo alle grandi imprese. Ma ai vari progetti si oppongono antichi retaggi e importanti interessi costituiti. Privando così il paese di un diritto fallimentare moderno, che potrebbe dare grande forza all’economia. Tanto più che i tecnici di maggioranza e opposizione potrebbero lavorare in sostanziale sintonia. Basta che il Governo non pensi di agire a colpi di maggioranza. Per superare le resistenze in nome di una riforma vera, sono infatti necessarie intese più larghe.

Parmalat, il fronte delle parti civili

La scommessa di azionisti e obbligazionisti Parmalat è coinvolgere nella responsabilità del crack le banche e gli intermediari finanziari. E in questo primo processo penale chiedono la costituzione di parte civile, molto meno costosa di un’azione civile per danni. Ma ottenere il risarcimento è così molto più complesso. La nuova legge di tutela del risparmio dovrebbe perciò sancire il diritto dei risparmiatori ad agire collettivamente contro chiunque li abbia danneggiati, con una class action che suddivide il costo dell’azione fra i tantissimi interessati.

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