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Autore: Marco Ponti Pagina 10 di 11

DSC_0025 Marco Ponti ha insegnato economia dei trasporti ed economia ambientale, prima a Venezia e poi per dieci anni come ordinario al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale (in 15 paesi in via di sviluppo), per la Commissione Europea, per l'OECD, per cinque ministri dei trasporti, per le Ferrovie dello Stato e per il ministero del Tesoro. E’ stato presidente o consigliere di amministrazione di diverse società pubbliche e private del settore. Svolge attività di ricerca nell'ambito delle analisi di fattibilità economica e finanziaria dei progetti, regolazione economica e politiche pubbliche del settore (investimenti e gestione). È stato recentemente coordinatore del gruppo di valutazione economica delle infrastrutture di trasporto ed esperto della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del primo governo Conte e membro dell'Advisory Board dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art). È attualmente responsabile dell'associazione non-profit Bridges Research, che svolge ricerche indipendenti nel settore.

Alle infrastrutture serve un’Autorità

I lavori di manutenzione infiniti sulla Cisa e le linee ferroviarie dell’alta velocità: due casi problematici, ed emblematici, che ripropongono la questione del controllo dei costi delle infrastrutture di trasporto. E sembrano suggerire che l’impegno contenuto nel programma di governo di costituire un’autorità indipendente per la regolazione delle infrastrutture e dei trasporti in generale, per i comparti non esposti alla concorrenza, non sia davvero più procrastinabile. Anche al fine di “liberare” risorse pubbliche per gli interventi urgenti nel settore.

In autostrada tra buone idee, ambiguità e pistole sul tavolo

L’intervento sulla normativa che regola le concessioni autostradali, contenuta nel decreto legge che ha preceduto la proposta di Finanziaria, è animato dall’intenzione di tutelare meglio gli utenti dalle rendite monopolistiche. Cerca di rimettere ordine nel sistema di regolazione del settore, che si è prestato negli anni passati a conflitti e a interpretazioni contrastanti. Ma l’azione appare un po’ troppo unilaterale, e forse con alcuni effetti negativi sotto il profilo della prassi regolatoria. Assai meno convincente è quanto previsto per il futuro dell’Anas.

Anas e oltre

L’Anas ha una lunga storia con alcune luci e molte ombre. Un riassetto dell’ente è indispensabile e urgente, definendo con nettezza i suoi compiti ed evitando la confusione di ruoli tra regolato e regolatore che oggi convivono in Anas. Tale riassetto può anche essere l’occasione per un ripensamento più complessivo della regolazione della rete stradale e autostradale.

La nazionalità del gaucho autostradale

Dopo l’annuncio della fusione tra la societ?Autostrade per l’Italia e il gruppo spagnolo Abertis, il Ministro Di Pietro ha sostenuto che la concessione non potesse passare di mano senza una approvazione preventiva del Governo, in ci?confortato da un Parere del Consiglio di Stato. La preoccupazione principale sembra quella del drenaggio di risorse “italiane?da destinarsi a investimenti in Italia da parte di un operatore straniero. Ma ci sono alcuni punti fondamentali da chiarire e una regolazione da riformare.

Il buon investimento si vede dall’analisi

L’analisi di un investimento pubblico può dare risultati diversi a seconda del metodo utilizzato. L’approccio valore aggiunto tende a essere molto più favorevole ai progetti di spesa. Quello costi-benefici è più “severo” e permette di considerare i costi ambientali e gli aspetti distributivi. Entrambi incorrono però in un problema di trasparenza e efficacia politica: le alternative da valutare. Se si confrontano più possibilità, anche l’analisi valore aggiunto può divenire meno ottimistica, mentre per quella costi-benefici si riducono i rischi di manipolazione.

Investimenti sregolati

Gran parte dei flussi economici che caratterizzano le concessioni autostradali, sia come spese che come ricavi da tariffa, sono commisurati agli investimenti (nuove tratte, ampliamenti e così via). Proprio la regolazione degli investimenti, però, presenta anomalie significative. Il price cap infatti dovrebbe agire anche su questi, in modo da indurre il gestore a effettuare tutti e soli quelli remunerativi, riuscendo così a lucrare extraprofitti, anche se temporanei.

Verso il piè di lista

In realtà, gli investimenti autostradali formalmente sono al di fuori di tale tipo di regolazione, e sono “richiesti” dal concedente (Anas) al concessionario, e poi remunerati in tariffa a un prezzo concordato ex-ante. Al concessionario, di fatto, rimane il solo rischio industriale, come per qualsiasi appalto pubblico: se spunterà costi minori di quelli concordati lucrerà extraprofitti, altrimenti incorrerà in perdite. Il sistema di remunerazione sta però evolvendo verso un “piè di lista”, con conseguente eliminazione anche del rischio industriale: in tariffa sono riconosciute al concessionario solo le spese realmente sostenute e documentate, anche per evitare gli inconvenienti di ricavi elevati in assenza di investimenti corrispondenti, fenomeno accaduto in modo clamoroso negli anni passati.
Anas formalmente esegue analisi del tipo costi-benefici per le singole opere, ne determina priorità, tempistica, e coerenza con la pianificazione generale. Sembrerebbe il “dominus” del processo, e il concessionario solo un docile esecutore di volontà politiche. Sarebbe dunque una struttura di “command and control” molto tradizionale, in antitesi rispetto a meccanismi di regolazione incentivante. E una struttura che non prevede nemmeno meccanismi di estrazione di “rendite informative”, che richiederebbero la combinazione strategica di remunerazioni “fixed price” e “cost plus“.

Qualche interrogativo

Il contesto nel quale vengono effettuati gli investimenti autostradali non è affatto quello di normali appalti in gara di opere pubbliche: siamo all’interno di un assetto con due soli attori, predefiniti e reciprocamente vincolati, senza alcuna autorità “terza” di regolazione, e quindi estremamente proclive a fenomeni di “cattura”. Come sono decisi i prezzi unitari o gli standard? Come sono raccordate le scelte di investimento autostradali con quelle, per esempio, ferroviarie? Quale è la possibilità di soggetti terzi di analizzare e contestare costi e analisi di fattibilità?
Un caso interessante, sotto questo profilo, è quello dell’autostrada tirrenica Livorno-Civitavecchia. Per rendere fattibile un investimento altrimenti ingiustificabile, il voluminosissimo studio di fattibilità effettuato, assumeva vincoli futuri di velocità sulla strada esistente di 30-40 km all’ora. Questa assurda quanto cruciale assunzione – la strada statale Aurelia consente oggi velocità autostradali per gran parte del tracciato – era descritta in non più di tre righe di testo. (1)
L’attuale piano di investimenti di Autostrade per l’Italia spa per 4,5 miliardi di euro, di fatto, è stato presentato dal concessionario: si fa un po’ fatica a credere che le decisioni siano state interamente prese da Anas, e che il concessionario ne sia un semplice esecutore. Certo, potrebbe trattarsi di un fortunato caso di “fruttuosa collaborazione” tra regolatore/concedente e regolato/concessionario. Ma se si parte dalla consolidata ipotesi della teoria economica per cui i soggetti (pubblici o privati che siano) sono mossi da obiettivi “egoisti”, le “fruttuose collaborazioni” sembrano più facilmente interpretabili come “cattura” (senza alcuno stigma morale). Anche altri piani di investimento sembrano formulati direttamente dai concessionari per ottenere il prolungamento senza gara della concessione, come ad esempio nel caso recente della Brescia-Padova. Sembra davvero impossibile non vedere qui in atto fenomeni difficilmente riconducibili all’interesse pubblico.
Ma anche in termini teorici, remunerare gli investimenti per via tariffaria apre rilevanti problemi di efficienza: vi sono aspetti legati alle perdite di benessere collettivo connesse al fatto che le autostrade sono un monopolio naturale. (2)
E anche l’eventuale quota di intervento pubblico a fondo perduto dovrebbe rispondere a criteri di efficienza, collegati alle politiche di trasporto complessive, al costo-opportunità marginale dei fondi pubblici, e così via [link Boitani]. Infine, se fossero considerazioni ambientali a indurre una politica di finanziamento degli investimenti autostradali basata sulle tariffe più di quanto accada, per esempio, nel settore ferroviario, ciò dovrebbe avvenire esplicitando i costi ambientali relativi caso per caso, tenendo conto dell’elasticità della domanda e di altri fattori.

Altre anomalie regolatorie

Ma vi è un’altra anomalia rilevante, dovuta all’arbitrarietà delle dimensioni dei concessionari. Un investimento effettuato da un concessionario che ha una rete estesa viene recuperato in tariffa “distribuendo” l’aumento tariffario sull’intera sua rete. Un investimento di pari entità effettuato da un concessionario piccolo, invece, deve essere recuperato con incrementi unitari di tariffa molto maggiori, o addirittura essere pagato in parte dall’erario, per evitare shock tariffari o cali drastici di domanda per effetti di elasticità. Si possono immaginare le implicazioni distributive e di efficienza allocativa di questo aspetto delle tariffe, legato solo a un fattore “storico” quale le dimensioni delle concessioni.
Si pongono quindi, come riflessione “storica”, ma forse non inutile, significativi problemi di “dimensione minima efficiente”. Passando da una struttura concessoria pubblica a una privata, quali analisi sono state fatte per definire le dimensioni efficienti delle concessioni? Perché mai scegliere quelle “storiche”, e non dimensioni più elevate, o inferiori? (3) Non sarebbe stata best practice frazionare molto le reti – fare uno “spezzatino”, secondo un termine corrente -, lasciando poi al mercato determinare aggregazioni, cioè eventuali economie di scala? O di nuovo ha prevalso il discutibile obiettivo del “campione nazionale”, che è emerso anche nelle recenti vicende del sistema bancario italiano, e che sembra essere l’”ultima spiaggia” prediletta dai difensori del monopolio? (4)
In conclusione, sembra difficile trovare argomentazioni sia di efficienza economica (assenza di incentivi regolatori), che di efficienza allocativa (assenza di strategie di massimizzazione del surplus sociale) nell’attuale struttura del finanziamento degli investimenti autostradali. La sensazione è che si tratti sostanzialmente di un dispositivo di prelievo di risorse più “indolore” di altri, nella misura in cui fino ad oggi gli utenti e i contribuenti non hanno manifestato resistenze particolari, se non forse in relazione ad alcuni recenti disservizi. Ma sarà sempre così?

(1) In realtà, fenomeni di “gold plating”, o “effetti Averch-Johnson” sono del tutto verosimili in un meccanismo così “chiuso”.
(2) “Deadweight losses”, che postulerebbero almeno una riflessione su di un meccanismo di tariffazione del tipo Ramsey-Boiteaux.
(3) Si veda anche la ricaduta di questo problema sulla remunerazione degli investimenti.
(4) Per rimanere nel settore dei trasporti, si pensi anche al caso di Alitalia o di Fs.

Come migliorare la linea storica

Invece di costruire il tunnel per l’alta velocità Torino-Lione, si può intervenire sulla linea ferroviaria attuale. E’ un progetto altrettanto efficace per soddisfare la domanda di traffico merci, ma assai meno costoso. Fa leva su un programma di interventi mirati a incrementare radicalmente la capacità della linea storica, agendo anche sull’offerta di servizi di trasporto e non solo sull’infrastruttura, secondo standard internazionali consentiti dalla moderna tecnologia. Secondo calcoli prudenti si potrebbero così trasportare 48 milioni di tonnellate di merci all’anno.

Alitalia, una sopravvivenza politicamente garantita

La “privatizzazione” di Alitalia via aumento di capitale è un’operazione molto costosa per lo Stato. Ma tutta l’annosa vicenda è emblematica dei tarli che indeboliscono l’economia italiana. La débacle della compagnia non è dovuta a carenze tecnologiche né a insufficienza di capitali, ma a protezioni clientelari, a una sindacalizzazione corporativa, a scelte d’investimento sbagliate. Il danno per il paese è stato enorme. Non solo per le risorse bruciate, ma anche per la perdita di posti di lavoro qualificati e per i costi imposti al turismo dai prezzi del servizio.

Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare

Perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, sono così redditizie da scatenare
“guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati e conflitti tra amministrazioni locali? Si tratta spesso di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Sostanzialmente, una tassa impropria, che potrebbe rivelarsi efficiente se fosse tarata per il controllo della congestione. Quanto alla Serravalle, un privato ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato.

Ad alta velocità verso l’immobilismo

Sono in molti a considerare la Torino-Lione strategica per il futuro dell’Italia. Ma come può definirsi tale un’opera i cui costi superano largamente i benefici, pur stimati molto generosamente? Altre infrastrutture sarebbero più urgenti. Per esempio, il quadruplicamento dell’asse ferroviario del Brennero ha costi minori. E già oggi la domanda per merci e passeggeri sulla tratta Verona-Monaco è assai elevata e con un alto tasso di crescita. Ma con risorse pubbliche molto limitate, la dispersione dei finanziamenti rallenta tutte le realizzazioni, utili e inutili.

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