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Autore: Pietro Cipollone

CHI HA PAURA DELLE PROVE INVALSI? *

Quest’anno, più che in passato, le prove Invalsi sono state accompagnate da proteste e polemiche. Sembra perciò utile ripercorrere tutta la vicenda. Dalle ragioni che nel 2008 hanno spinto il ministero dell’Istruzione ad avviare un sistema di rilevazione degli apprendimenti degli studenti, alla soluzione proposta dall’Invalsi, fino a discutere la questione delle prove e degli esami di terza media. Tutto il processo ha lo scopo di fornire informazioni comparabili per aiutare le scuole a compiere scelte didattiche consapevoli.

LA SOLUZIONE DELL’INVALSI *

In risposta alla forte eterogeneità degli esiti tra scuola e scuola, l’Invalsi ha ritenuto che, nel contesto italiano, fosse assolutamente prioritario fornire alla singola scuola informazioni affidabili circa i livelli di apprendimento dei propri ragazzi comparati a qualche standard definito e a quelli dei ragazzi di altre scuole. In assenza di un sistema di rilevazione degli apprendimenti è impossibile per una comunità di educatori valutare se sta facendo bene o male, o giudicare se una certa strategia di insegnamento è migliore di un’altra o se una certa organizzazione della classe favorisce o deprime gli apprendimenti.
Viene in mente un bell’insegnamento di Seneca: “nessun vento è favorevole a chi non sa in che porto deve andare”. Senza informazioni comparabili le scuole sono come delle navi che non sanno con chiarezza in che porto sono (i nostri ragazzi stanno apprendendo più o meno degli altri?) e in che porto devono andare (per migliorare la comprensione della lingua dobbiamo migliorare la grammatica, il vocabolario, la sintassi ?).   

SCELTE DIDATTICHE CONSAPEVOLI

Si è così progettato un sistema di rilevazione per aiutare le scuole a orientare le loro scelte didattiche in modo consapevole. Da questa idea discendono le scelte operative, altrimenti incomprensibili, che hanno suscitato tante polemiche.
Per esempio, nei due anni passati l’Invalsi ha restituito i dati solo alle scuole, non alle famiglie, non all’amministrazione. La logica era quella di informare gli operatori della singola scuola, non quella di costruire ranking e graduatorie. I dati sono stati restituiti disaggregati a livello di singola domanda, mettendo a confronto i risultati della scuola e della classe con quelli di altre scuole vicine geograficamente e delle altre classi della stessa scuola. Il dettaglio di informazioni consente alla singola scuola, e alla singola classe, di capire quali siano i suoi punti di eccellenza e quali siano le sue debolezze, in modo da allocare le risorse educative dove sono più necessarie. Nessuna scuola va male o va bene in modo uniforme su tutti gli ambiti di una certa disciplina. Anche nelle scuole migliori ci saranno ambiti nei quali gli studenti sono più preparati e altri dove lo sono meno; si ha così una indicazione di quali punti occorra approfondire per migliorare ulteriormente i propri risultati. Di nuovo, il concetto fondamentale è che le scuole in assenza di informazioni comparabili con altre realtà non hanno indicazione di quale sia il livello di preparazione dei propri allievi e quali siano i punti di criticità.

IL COINVOLGIMENTO DELLE SCUOLE

In questa logica di collaborazione tra la singola scuola e l’Invalsi non si capisce perché le scuole dovrebbero “allenare” gli studenti a risolvere le prove Invalsi, oppure perché gli insegnanti dovrebbero fornire un “aiutino” alla risoluzione. Perché le scuole dovrebbero “barare” se poi sanno che l’informazione che riceveranno in cambio non potrà essere utilizzata ai fini per cui era stata pensata?
Comportamenti opportunistici potrebbero emergere se le prove fossero utilizzate come strumento per misurare la performance della scuola. Ma questo non accade se si comprende che la finalità della rilevazione è diversa. E la scuola italiana sembra aver compreso pienamente questo messaggio. Per esempio, lo scorso anno tutti gli allievi delle classi II e V della scuola primaria e tutti quelli della classe I della scuola secondaria di primo grado hanno sostenuto le prove Invalsi; parliamo di poco meno di 100.000 classi e di 1,8 milioni di studenti, e le analisi statistiche condotte dall’Invalsi, ma anche da autorevoli statistici, non hanno rilevato alcuna traccia di comportamenti opportunistici (“aiutini o copiature”).
Anche le preoccupazioni relative al fatto che gli insegnanti potrebbero essere indotti a trascurare le competenze non verificate dalle prove non trova fondamento se è chiara la finalità della rilevazione quale strumento di orientamento della didattica.
In questo quadro si capisce perché l’Invalsi non abbia mai ritenuto accettabile un modello di somministrazione delle prove basato interamente su somministratori esterni, ma abbia invece cercato di coinvolgere direttamente gli insegnanti nella produzione, nella somministrazione e nella correzione delle prove. Si è puntato sulla collaborazione e sulla fiducia, per segnalare il senso di una operazione condivisa. Si è chiesto molto impegno agli insegnanti che, nella stragrande maggioranza, hanno risposto con generosità, specialmente dove la finalità dell’operazione era stata intesa con chiarezza.
I somministratori esterni sono stati inviati solo in quel campione di scuole i cui risultati sono poi utilizzati per costruire le medie di riferimento a livello di regione, di macro-area e nazionale. La logica dietro questa scelta è quella di garantire alle scuole che il punto di riferimento rispetto al quale confrontare i loro risultati non sia affetto da distorsioni dovute a possibili comportamenti scorretti. Così le scuole sanno che i dati sottostanti alla media nazionale provengono da istituti nei quali la somministrazione è avvenuta in presenza di un somministratore esterno e pertanto sono in un certo senso certificati. È una scelta a garanzia di chi vuole usare i dati nel modo in cui andrebbero usati. 
Questo lavoro di costruzione di un rapporto basato sul rispetto e sulla collaborazione tra le scuole e l’Invalsi è andato avanti con grande costrutto per diversi anni e sta dando i propri frutti. Chi gira per le scuole sa che nella stragrande maggioranza dei casi i dati restituiti dall’Invalsi sono usati per interrogarsi sulla didattica e sul perché di alcuni risultati inattesi, per identificare e lavorare su alcune aree di debolezza. In molte scuole gli insegnanti chiedono ai ragazzi di rifare le prove e di spiegare i ragionamenti che li hanno condotti a rispondere in un modo piuttosto che in un altro, in modo da identificare i possibili salti logici o gli errori nei ragionamenti. Molti insegnanti si interrogano sul perché i bambini che sanno perfettamente cosa sia un pronome non siano però in grado di riconoscerlo nel contesto di un testo scritto. Non so se questo sia allenare i ragazzi o se sia dannoso per la scuola. A me sembrano ottimi esempi di come ragionare sugli errori per migliorare.

*Piero Cipollone è ex presidente Invalsi

LE PROVE, L’INFORMAZIONE E GLI ESAMI DI TERZA MEDIA *

Molte delle polemiche di questi giorni derivano dalle preoccupazioni circa il possibile uso delle rilevazioni per finalità diverse. Preoccupazioni legittime, ma non radicate sulla realtà dei fatti perché non esiste al momento in Italia nessuna prospettiva di altro uso delle rilevazioni. Esistono invece delle sperimentazioni avviate dal ministro; ma si tratta per l’appunto di sperimentazioni. Per definizione una sperimentazione serve a studiare quali siano le conseguenze di certe scelte. Si ragionerà sui pro e i contro di possibili modelli di accountability quando avremo le evidenze prodotte dalle sperimentazioni. In assenza di evidenze empiriche continueremo ad avere un contrasto di opinioni, tutte legittime, ma comunque opinioni.

TEST PREPARATI DAGLI INSEGNANTI

In molti commenti le prove vengono accusate di essere come i quiz della patente, fuori dalla pratica delle scuole, calate dall’alto e subite dagli insegnanti, nozionistiche, difficili, incoerenti. Non sempre questi giudizi sono radicati nella conoscenza dei fatti.
Forse è utile spiegare come la produzione delle prove avvenga in strettissima collaborazione tra le scuole e l’Invalsi. Il processo di predisposizione di una prova dura diciotto mesi e vede coinvolte professionalità molto diverse. Le prove somministrate nei giorni scorsi sono state prodotte e inviate all’Invalsi tra gennaio e marzo 2010 da insegnanti sparsi per tutta l’Italia; sono state sottoposte a un primo controllo da parte di un gruppo di insegnanti esperti di predisposizione di prove standardizzate; tra maggio e settembre del 2010 sono state testate su un campione rappresentativo di studenti (tra i 1000 e i 1500); sulla base degli esiti del pre-test, le prove sono state riviste nell’autunno del 2010 e, a seconda dei casi, validate direttamente, sottoposte a nuovi pre-test o scartate definitivamente. In genere solo una prova su tre sopravvive a questo rigoroso processo di selezione. Una volta che la prova è stata somministrata agli studenti se ne vaglia di nuovo la qualità attraverso un insieme di procedure statistiche, comuni nella pratica internazionale, i cui risultati vengono regolarmente pubblicati nei rapporti accessibili sul sito dell’Istituto. In ogni caso le prove sono liberamente disponibili il giorno stesso della prova e chiunque può leggerle, esaminarle e farsi un’idea sulla loro qualità. 

L’INFORMAZIONE ALLE SCUOLE

Un secondo chiarimento sulla informazione è necessario.
Il piano di rilevazione dell’Invalsi è noto fin dall’anno 2008, quindi già dall’ottobre del 2008 le scuole sapevano in quale anno sarebbero state interessate dalla rilevazione. Di questo le scuole sono state informate con una lettera del presidente dell’Istituto dell’inizio 2009 e da quelle successive inviate ogni anno all’indomani della uscita delle direttive ministeriali che chiedevano all’Invalsi di eseguire le rilevazioni. Le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria dei lavoratori della scuola sono state regolarmente informate sui piani di rilevazione in un incontro con i vertici dell’Istituto molti mesi prima della rilevazione (normalmente i resoconti di questi incontri erano sui siti web delle organizzazioni la sera stessa dell’incontro). In occasione della prima rilevazione del 2009 l’Invalsi ha organizzato seminari con tutti i dirigenti delle scuole coinvolte. All’indomani della prima rilevazione, l’Invalsi ha organizzato oltre cento seminari con i dirigenti scolastici e un altro rappresentante per ciascuna scuola in tutte le provincie d’Italia per illustrare le modalità di restituzione alle scuole degli esiti della rilevazione. La carenza di fondi ha impedito una replica di questa iniziativa nell’anno successivo. Quando invitato, il personale dell’Invalsi ha partecipato a incontri sul tema delle rilevazioni organizzati da singole scuole, reti di scuole, organizzazioni di categoria, organizzazioni sindacali. Non più tardi di agosto di ogni anno l’Invalsi ha pubblicato i rapporti sugli esiti delle rilevazioni svoltesi nel maggio precedente, dandone ampio risalto sui media. In occasione delle somministrazioni, la stampa ha pubblicato ampli stralci delle prove stesse, peraltro disponibili sul sito dell’Istituto. Insomma, si può certamente fare di meglio, ma la scuola non è stata certo colta di sorpresa dalle somministrazioni del 2011.

L’IMPATTO SUL VOTO DI TERZA MEDIA

Un ultimo punto va chiarito relativamente all’esame di stato al termine del primo ciclo, l’esame di terza media. In questo caso, la prova Invalsi contribuisce alla valutazione finale dello studente come previsto dalla legge n. 176 del 25 ottobre 2007.
La prova nazionale si è svolta per la prima volta nel giugno del 2008 e non ha avuto alcun effetto sul voto finale dell’esame. L’anno successivo, nel giugno del 2009, la decisione circa l’importanza da attribuire agli esiti della prova nazionale nella definizione del voto finale dell’allievo è stata demandata alle singole commissioni di esame. Nell’anno scolastico 2009-2010 il ministero ha deciso che la prova dovesse contribuire per un sesto sul voto finale. Nella concreta applicazione della prova nazionale i punteggi attribuiti alle singole prove erano tutti compresi nel range di voti tra 4 e 10. Pertanto la differenza massima nel punteggio finale tra chi ha fatto molto bene nella prova nazionale e ha avuto un 10 e chi non ha fatto altrettanto bene e ha avuto un 4 è di un voto. Quest’anno il peso della prova nazionale è ulteriormente sceso a un settimo.
È credibile che una prova standardizzata con effetti di questa entità sui voti degli studenti  nell’esame di terza media produca i guasti di cui si è parlato sulla stampa in questi giorni?

*Piero Cipollone è ex presidente Invalsi

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