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CHI HA PAURA DELLE PROVE INVALSI? *

Quest’anno, più che in passato, le prove Invalsi sono state accompagnate da proteste e polemiche. Sembra perciò utile ripercorrere tutta la vicenda. Dalle ragioni che nel 2008 hanno spinto il ministero dell’Istruzione ad avviare un sistema di rilevazione degli apprendimenti degli studenti, alla soluzione proposta dall’Invalsi, fino a discutere la questione delle prove e degli esami di terza media. Tutto il processo ha lo scopo di fornire informazioni comparabili per aiutare le scuole a compiere scelte didattiche consapevoli.

 

Nei giorni scorsi si sono svolte le prove Invalsi. Quest’anno, più che in passato, sono state accompagnate da proteste e polemiche per i presunti danni che arrecherebbero alla scuola italiana.

IL PROBLEMA

Forse è utile fornire qualche informazione che rimetta nella giusta prospettiva le ragioni che ormai tre anni fa spinsero il ministro dell’Istruzione a chiedere all’Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, un piano per dotare il nostro paese di un sistema di rilevazione degli apprendimenti degli studenti. La richiesta venne dall’allora ministro Giuseppe Fioroni e fu poi confermata dall’attuale ministro Mariastella Gelmini.
L’Invalsi predispose un piano che prevedeva l’entrata a regime del sistema in tre anni a partire dalla scuola primaria (a.s. 2008-09) per proseguire con quella secondaria di primo grado (a.s. 2009-10) e infine con la scuola secondaria di secondo grado (2010-11).
Nel farlo, l’Invalsi ha dovuto dare risposta ad alcune delle questioni che sono state discusse sui giornali in questi giorni; le soluzioni trovate sono documentate nei rapporti via via prodotti negli ultimi tre anni e disponibili sul sito dell’Istituto.
Senza dubbio, la più importante tra le questioni affrontate riguarda il perché della misurazione degli apprendimenti (incidentalmente va notato che l’Invalsi con riferimento agli apprendimenti ha sempre parlato di misurare o rilevare mai di valutare). Molta parte della discussione di questi giorni ruota consapevolmente o meno intorno a questa domanda. E da qui perciò occorre partire.

A COSA SERVE LA RILEVAZIONE

Vale la pena osservare che la rilevazione degli apprendimenti è pratica comune nei paesi avanzati: 18 tra i 25 paesi Ocse per i quali sono disponibili i dati hanno un sistema di rilevazione degli apprendimenti con prove standardizzate. (1) Evidentemente, esiste un bisogno molto concreto di verificare se i ragazzi che frequentano un sistema scolastico, specialmente a frequenza obbligatoria, hanno risultati di apprendimento ragionevolmente comparabili tra scuola e scuola. È superfluo spiegare le ragioni di equità e di efficienza sottese a questo bisogno.
Ci sono molte opinioni contrastanti circa l’uso più opportuno dei risultati delle prove di apprendimento. Si può discutere se debbano essere messi a disposizione delle famiglie o dell’amministrazione centrale; se sia saggio o meno usarli quale strumento per differenziare le risorse tra scuole. Meno fruttuosa è forse la discussione se usarli per differenziare remunerazione e carriera degli insegnanti: molte ragioni teoriche e tecniche sconsigliano di farlo, e comunque praticamente non c’è sistema scolastico che lo faccia. Le diverse opinioni che si possono avere riguardo a queste questioni riflettono in genere il sistema di accountability preferito. La fattibilità pratica dalle soluzioni proposte dipende dalle concrete condizioni in cui ci si trova a operare.
Tre anni fa era chiaro che sarebbe stato impossibile arrivare a un ampio consenso su queste questioni. Pertanto la scelta fu quella di svincolare la rilevazione degli apprendimenti da qualsiasi modello di accountability, riconoscendo invece che misurare gli apprendimenti era necessario soprattutto per fornire alla singola scuola alcune informazioni essenziali per una condotta razionale dell’attività didattica. Infatti, in assenza di dati comparabili tra scuola e scuola o all’interno dello stesso istituto, la singola scuola non ha alcuno strumento per capire se e in che misura l’istruzione che sta realmente fornendo ai propri allievi corrisponde a quella che era nelle intenzioni fornire.
L’esigenza conoscitiva circa gli esiti formativi delle singole scuole non nasce con le prove Invalsi, ma è connaturata al servizio scolastico che, per sua natura, è diffuso sul territorio, fornito da operatori molto diversi operanti in strutture organizzative tutt’altro che omogenee.
Per molti anni il sistema scolastico italiano ha cercato di contenere l’eterogeneità degli esiti tra scuole e di assicurare uniformità di servizio attraverso la standardizzazione e l’allocazione centralizzata degli input, l’indicazione prescrittiva dei curriculum e dell’organizzazione della didattica, con un rigoroso controllo degli apprendimenti affidato agli ispettori dell’amministrazione centrale.
Per anni siamo vissuti nell’illusione che questo impianto garantisse uniformità degli esiti anche di fronte ai profondi cambiamenti della scuola e della società che hanno di fatto annullato la capacità dell’amministrazione centrale di garantire un servizio uniforme sul territorio nazionale. Basti citare l’autonomia scolastica e la scomparsa di fatto del corpo ispettivo. Così, gli indicatori tradizionalmente usati per monitorare gli esiti del servizio fornito dalle singole scuole non sono in grado di evidenziare le conseguenze della perdita di direzione da parte dell’amministrazione centrale.
Oggi questi indicatori restituiscono una immagine della scuola italiana come capace di fornire un servizio abbastanza uniforme sul territorio. I tassi di successo e i voti degli esami di terza media e di maturità non segnalano, infatti, grandi differenze geografiche. È questa la realtà della nostra scuola? I livelli di apprendimento sono davvero così uniformi sul territorio? Ovviamente no. Una evidenza statistica incontrovertibile mostra come la nostra scuola fornisca un servizio educativo molto diverso tra scuola e scuola della stessa città, dello stesso quartiere e addirittura tra classe e classe della stessa scuola. Chi dubita di queste affermazioni e non crede all’evidenza statistica può chiedersi perché ogni anno le famiglie con i figli in età scolare dedichino così tanto tempo nella ricerca della “buona scuola” o della “sezione giusta”. Evidentemente c’è la cognizione che ci sia differenza tra scuola e scuola e tra classe e classe.
Come può una scuola orientare le proprie scelte se gli indicatori che usa per monitorare gli esiti delle proprie azioni forniscono indicazioni del tutto fuorvianti? Le scelte compiute dall’Invalsi sono basate sul tentativo di dare risposta a questa domanda.

*Piero Cipollone è ex presidente Invalsi

(1) Vedi Education at a Glance 2008.

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HO GIOCATO TRE NUMERI AL LOTTO…

25 commenti

  1. Antonio

    Egregio Dottore, devo dire che lo condivido nel principio: difendere l’Invalsi. Mi sorgono, però, alcuni dubbi: secondo lei è giusto che un ente di valutazione, in questo caso di valutazione del sistema scolastico, dipenda e sia controllato nelle sue cariche direttive dal Governo? Non sarebbe meglio un ente sì statale ma indipendente? Racconto un aneddoto: di recente, in una libreria, ho letto un volume che trattava il “copiare in classe”. Al di là del quadro molto poco dignitoso che emerge dai dati e dal fatto che intellettualmente in Italia quest’argomento sembra essere totalmente ignorato, ho letto che proprio l’Invalsi e proprio nei periodi da lei segnalati non ha mai trattato il tema del “copiare in classe” ma ha prima parlato di “cheating” (concetto molto diverso dal copiare in classe) e poi addirittura sembra abbia rilevato dati che parlano di soluzione del problema: secondo l’Invalsi non si copia più nelle scuole italiane. Da quest’aneddoto ritorno la mia domanda: per fare un vero favore all’Invalsi non sarebbe meglio renderlo indipendente? Quale professionalità è più adatta a governare un ente del genere? Se parliamo di scuola non sarebbe meglio che siano “sociologi”?

    • La redazione

      Sull’indipendenza sono d’accordo. L’Invalsi ha bisogno di indipendenza. Però anche qui va fatta chiarezza. Formalmente le procedure di nomina dei vertici dell’Invalsi garantiscono il massimo dell’autonomia dal Governo e sono analoghe a quelle per la nomina dei vertici di una authority. Personalmente però ritengo che l’autonomia derivi prima di tutto dall’autorevolezza. L’invalsi sarà autonomo in quanto sara’ autorevole. Devo ammettere che la conquista di questa autorevolezza è ostacolata a volte dalle regole di finanziamento (i fondi vengono erogati anno per anno dal Ministero dell’Istruzione) e dalle procedure amministrative di controllo (tre ministeri vigilino sull’ente).
      Per quanto rigurda il cheating posso solo ribadire quello che dice l’evidenza empirica. Nelle prove della scuola primaria e quella della prima classe della scuola secondaria di primo grado non c’è evidenza di comportamenti opportunistici (per maggiori dettagli puo’ leggere il rapporto al sito). Nel test di terza media invece ci sono prove evidenti di comportamenti opportunistici, specialmente in alcune regioni dell’Italia meridionale . La buona notizia è che queste pratiche sono risultate meno frequenti lo scorso anno rispetto a due anni fa (per maggiori info si può guardare al rapporto) . Speriamo che questo trend positivo continui anche quest’anno.

  2. Methodologos

    Ma certo, chi può essere contrario a una valutazione del sistema scolastico nazionale? I problemi stanno in alcuni punti specifici e intorno ai quali ( anche nel sito della Voce ) continuano a essere ignorati. Amici economisti, quando parlate di educazione siete un po’ deludenti: guardate più il nordEuropa e un po’ meno gli Stati Uniti… Le questioni sono le seguenti: 1° Chi valuta. 2° Come valuta. 3° Perché valuta. 4° Che cosa valuta. 1° In una fase nella quale abbiamo una maggioranza politica ha per obiettivo dichiarato il ridimensionamento del sistema pubblico, i valutatori si sono costruiti una sufficiente credibilità e immagine di indipendenza? A mio parere no. 2° Le valutazioni si fanno a campione, con controllo diretto e non di massa con controlli indiretti. E poi bisogna costruire prove di buonsenso: l’anno scorso si ponevano domande a ragazzi di III media su un brano di F. Piccolo che avrebbe messo in difficoltà molti laureati. Insomma, se metto l’asticella a due metri la salta l’uno per cento, se la metto a un cm. la saltano tutti… 3° Ma che cosa vogliono valutare le prove? La preparazione o l’impreparazione degli studenti? degli insegnanti? dei presidi? …
    Perché non valutare lo stato delle scuole, l’assenza di strumenti didattici, le discontinuità scolastiche? 4° Bisogna far capire perché si valuta. Bisogna farlo condividere. Qualunque comunità umana si chiude a riccio se teme che una valutazione la danneggi. Non si mandano gli esattori delle tasse ( o coloro che appaiono tali ) a fare dei censimenti se si desidera che i censimenti siano significativi. In conclusione, sarebbe meglio non giocare all’equivoco. L’opposizione alle prove Invalsi è conseguenza del fatto che sono state realizzate male e non in relazione al fatto che molte persone non vogliono essere valutate. Tutti accettano di partecipare agli screening di massa anonimi, non a quelli nominativi nei quali, se vengo scoperto malato, vengo licenziato…

    • La redazione

      È difficile dare una risposta sintetica alle tante domande di Methodologos. Ribadisco che l’Invalsi non valuta. Molto più modestamente cerca di misurare gli apprendimenti e le abilità cognitive degli studenti. Lo fa per fornire informazioni alle scuole. Circa la raccolta di informazioni sullo stato delle scuole ect.. vale quanto detto sopra nelle risposta ad Andrea Zhok. Le prove si fanno a campione se si vuole avere una idea di come va il sistema scolastico nel suo complesso ( è quello che facciamo con Pisa o con Timms o Pirls). Si fanno su tutti gli studenti se si vogliono dare informazioni alle singole scuole.

  3. Andrea Zhok

    Questa difesa del test è convincente, in quanto disinnesca dalle prime righe lo spettro che vi aleggia, da quando è Ministro Mariastella Gelmini. Già, perché ad ogni occasione in cui la Ministra ha potuto esprimersi pubblicamente non ha mancato di sottolineare la funzione VALUTATIVA del test (non semplicemente misurativa), associandovi la questione della meritocrazia per gli insegnanti. Il che tradotto significa: questo test verrà usato, secondo modalità da decidere, per giudicare scuole ed insegnanti, e per premiare o punire di conseguenza (o nel migliore dei casi, verrà usato come clava contro il corpo insegnante nel corso del dibattito pubblico).
    Ora, di fronte a questa prospettiva le reazioni possibili sono due:
    1) Cercare a tutti i costi di ‘fare bene il test’, il che implica concentrarsi ad insegnare i modi per rispondere ai test invece di fornire strumenti culturali autentici; in alternativa, imbrogliare, aiutando gli alunni a rispondere bene (possibilità consentita dal modo di somministrazione).
    2) Rinunciare alla competizione, ritenendola degradante.

    Prima di stupirsi per le reazioni, bisognerebbe che qualcuno avvertisse la Gelmini circa il senso del test.

    • La redazione

      E’ fuori dalla mia portata la discussione delle scelte del Ministro. Posso solo dare qualche elemento informativo che può aiutare a capire. Il Ministro ha instituito una commissione di esperti con il compito di sviluppare un possibile progetto di accountability delle scuole. La commissione ha lavorato a lungo ed proposto di sperimentare alcune modelli che meglio sembrano adattarsi alla nostra realtà. Da quello che mi risulta in nessun caso si è pensato di basare il modello di accountability solo ed esclusivamente sui test Invalsi. In ogni caso si tratta di sperimentazioni cioè di uno strumento per acquisire utili informazioni sulla base delle quali procedere al disegno di possibili modelli di accountability.
      Posso aggiungere che l’Invalsi stesso ha lavorato sul tema cercando di rispondere alla seguente domanda: quali informazioni sono necessarie ad una scuola per monitorare la qualità del proprio servizio tenuto conto di tutte le condizioni di contesto? E’ stato prodotto un modello di rilevazione (Valsis) basandosi sull’esame dei modelli di monitoraggio del servizio scolastico di quasi tutti i paesi Ocse. Per chi voglia documentarsi il rapporto e’ pubblicato alla pagina web.

  4. giuliano

    Spero che ci si renda conto che i test invalsi somministrati agli studenti italiani misurano una parte minima delle capacita’ degli studenti, sono lontanissimi dai sistemi di insegnamento, di studio e di valutazione delle scuole italiane. Mio figlio ha affrontato lo scorso anno il test durante l’esame di terza media, è un ragazzo di buona cultura e capacità, un’ottima proprietà di linguaggio, un discreto profitto scolastico; ebbene quella prova andò abbastanza male (problema condiviso da oltre il 90% della sua classe)… E’ impreparato o stupido lui oppure sono i test ad esserlo?

    • La redazione

      Le prove Invalsi misurano quello che si può misurare con prove standardizzate, cioè livelli di apprendimento e abilità cognitive. Non è poco. Non misurano però tante altre cose, come ad esempio la capacità di espressione in forma scritta e orale o le abilità non cognitive. Questo è pacifico, ed infatti la valutazione degli studenti è e rimane una prerogativa degli insegnanti. Circa la distanza delle prove dalle pratiche didattiche mi permetto di dissentire per le ragioni che ho cercato di spiegare nel testo. Mi spiace che suo figlio, con la sua classe, abbia trovato difficile la prova di terza media dello scorso anno. Come può immaginare, l’Invalsi dedica moltissima attenzione alla predisposizione delle prove e alla verifica delle loro qualità sia prima che dopo la loro somministrazione. In particolare la verifica ex post viene eseguita attraverso una serie di analisi statistiche, definite secondo un protocollo standard, sulle risposte di un campione di circa 30.000 studenti. Se ha tempo può leggere i dettagli nel rapporto sulla prova pubblicato ad agosto dello scorso anno. Se ha tempo può leggere i dettagli nel rapporto sulla prova pubblicato ad agosto dello scorso anno o nella sua sintesi. Queste evidenze suggeriscono che in realta’ la prova dello scorso anno era molto equilibrata.

  5. Marco

    Mi sembra che, come nell’articolo precedente, emerga un problema abbastanza chiaro che condivido. Confondere misurazione omogenea dei risultati e utilizzo per il governo unificato delle scuole può portare al boicottaggio del test. Eppure non posso che condividere che una misurazione omogenea di standard (comunque fatta) sia praticamente una necessità. La si può utilizzare anche solo per segnalare problemi di apprendimento su cui intervenire, più che per premiare i migliori. Ho studiato i test per l’accesso alle carriere in Europa, e non riesco a capire come si faccia a negare che alcune abilità di ragionamento logico e matematico, e di lettura/scrittura, non debbano comporre il fabbisogno di apprendimenti fondamentale per il futuro di un individuo, che sia nato a Sciacca o a Cerveteri o a Riga. Trovo a volte ideologico sia chi vuole fare del test strumento unico per risolvere tutti i problemi sia chi nega del tutto fondamento a metri di giudizio omogenei. E’ bene al limite giudicare i test, dibattere se/come siano migliorabili e integrabili, o come e quanto usarli, ma negarne del tutto un’utilità mi sembra assurdo.

    • La redazione

      Condivido in pieno l’atteggiamento laico verso le prove standardizzate. Non possono risolvere i tutti i problemi della scuola. Pero’ sono molto utili per informare le scuole. Senza informazione e’ difficile disegnare interventi correttivi.

  6. uqbal

    Ma c’e’ veramente stato in Italia un periodo in cui gli ispettori riuscivano a vincolare le scuole ad un criterio di uniformita’?Ed era da considerarsi cosa buona e giusta? Non ho capito poi il passaggio sull’autonomia scolastica: lo si considera una reazione del sistema scolastico alle mutate condizioni o un elemento digregativo (e negativo) di quella uniformita’? La prima mi sembrerebbe piu’ verosimile, ma il testo rimane ambiguo. L’Invalsi fa benissimo a misurare i livelli di apprendimento. Vorrei pero’ fare un passo avanti: come conciliare una misurazione standardizzata con lo non-linearita’ di ogni apprendimento? Forse e’ piu’ utile una misurazione alla fine del processo, piuttosto che in itinere (penso alle superiori). Come trovare poi una sintesi tra la necessita’ reale di una misurazione uniforme e l’impossibilita’ di insegnare a tutti le stesse cose? Io considero la lettura forzosa dei Promessi Sposi in tutti i secondi anni di sup. sec. della Repubblica una iattura. La mia domanda non e’ una critica all’Invalsi (che sostengo e approvo), ma uno spunto di riflessione.

    • La redazione

      Non so se le visite ispettive fossero in grado di garantire uniformita’ di apprendimenti. Quello che cercavo di dire nel testo e’ che l’impianto originario prevedeva un meccanismo di verifica dell’uniformita’ degli apprendimenti. Penso che l’autonomia scolastica sia un importante e positivo strumento di adattamento della scuola alle realta’ locali; proprio per questo deve essere accompagnata da un meccanismo di misurazione degli esiti. Capisco l’esigenza di un apprendimento tarato sui singoli. Questo pero’ non contraddice il possibile uso delle prove invalsi come strumento in mano al corpo docente e al dirigente scolastico per capire le difficoltà delle scuola o della singola classe , non del singolo studente.

  7. Raffaello Carinci

    Mio padre, per 25 anni apprezzatissimo preside di scuola media, ammoniva a guardarsi dai “pedagogisti del ministero”, perché persone prive di adeguata conoscenza “sul campo” della scuola e dei suoi problemi. Come padre di tre figli (uno in terza media, che lunedì prossimo sarà sottoposto alla famigerata “prova Invalsi”) capisco quanto avesse ragione. Vorrei che mi si spiegasse. Se si tratta di uno strumento di valutazione dell’insegnamento e della sua qualità, per avere senso dovrebbe presupporre che TUTTE le scuole abbiano le stesse strutture, gli stessi supporti, la medesima organizzazione, identica composizione sociale del corpo discente, e che gli insegnanti abbiano “curricula” almeno omogenei. O no? Ma sappiamo tutti che così non è. Di fronte alla “varietà” della realtà scolastica italiana, che senso ha una valutazione come quella imposta dai “pedagogisti del ministero”? Ancora e soprattutto: perché valutare la scuola attraverso i ragazzi, e fare dei test Invalsi un momento di valutazione dei ragazzi? Infine: quei test sono FATTI MALE, ANZI MALISSIMO, sono astrusi e colmi di imprecisioni e di genericità (ne ho esaminato uno di “analisi di un testo”).

    • La redazione

      Non e’ facile rispondere a questa fila di domande. Molte trovano risposte nel testo, specialmente quelle relative al perche’ non si guarda anche alle condizione delle scuole. Come ho cercato di spiegare, questo e’ esattamente quello che si cerca di fare con Val-Sis. Altra cosa e’ la Prova Nazionale, che e’ prevista da una legge dello Stato e cerca di aggiungere un minimo di uniformita’ a valutazioni che non hanno nessuna confrontabilita’ tra commissione e commissione. Nonostante la mancanza di uniformita’ queste valutazioni hanno valore legale. Non so se si e’ riflettuto abbastanza su questo. Nel caso degli esami di maturita’ la contraddizione e’ impressionante. Ad esempio il voto espresso dalle commissioni nell’esame di stato, che a luglio e’ una certificazione del Ministro dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca, a settembre dello stesso anno non e’ considerato affidabile dalle Universita’ Pubbliche, cioe’ sempre dallo stesso Ministro dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, che infatti sottopongono i candidati a test di ammissione.
      Sulla qualita’ delle prove tutte le opinioni sono legittime. Tuttavia l’evidenza statistica prodotta dall’Invalsi e regolarmente pubblicata, alla quale rimando ancora una volta, da indicazioni diverse rispetto alle impressioni del lettore.

  8. Francesco

    Un grosso errore legato a queste prove e’ il loro utilizzo e il peso che si dà ad esse negli esami di terza media per arrivare al voto finale degli studenti. E’ assurdo che questi test asettici, corretti poi in modo automatico e acritico, incidano come le altre prove nel definire il voto finale. Ho letto alcune di queste prove Invalsi e non sempre le risposte sono “matematiche”. Soprattutto nelle domande di interpretazione di parti di testo (e gia’ il fatto che siano parti rende le domande e le relative risposte spesso poco chiare e non univoche) piu’ risposte sono logiche soprattutto per chi, come uno studente delle medie, non ha avuto modo di studiare per intero gli autori di quei brani. Tre anni di lavoro fatti magari ad altissimo livello da parte dello studente rischiano cosi di essere ridimensionati da un voto costruito con il contributo paritario di simili test. Si facciano pure, dunque, le prove Invalsi ma le si usi in modo corretto per valutare capacita’ di studenti e di scuole, ma non contino per il 20-25% del voto.

    • La redazione

      La prova Invalsi di terza media vale molto meno del 20-25% suggerito da Francesco. Come spiegato nel testo, lo scorso anno la prova contribuiva al voto complessivo con un peso di un sesto, cioe’ poco meno del 17 per cento. Quest’anno il peso e’ sceso al 14 per cento.

  9. Daniela Menga

    Collegandomi brevemente anche al dibattito relativo alle prove Invalsi nelle scuole superiori, vorrei dire che sono pienamente d’accordo sul fatto che le prove standardizzate non valutino lo studente nel suo complesso, ma possiamo almeno verificare se lo studente, al termine di un percorso durato otto (terza media) o dieci anni (biennio delle superiori) sia in grado di decodificare un testo letterario o non letterario a prima vista, come credo ancora prevedano le prove nei nostri Conservatori? Quest’anno durante sorveglianza ho potuto notare l’atteggiamento degli studenti, attento e non superficiale, dinanzi ad una prova su cui non potevano formulare le normali previsioni: ovvio che se il docente ha appena spiegato l’ablativo assoluto, nella versione del compito ce ne saranno almeno tre. Perché la scuola ha paura di valutare (scomparsi gli esami in quinta elementare, la prova Invalsi “forche caudine” di quelli di terza media), anche quando valuta le competenze, come se, ad un anno dalla patente il neopatentato riesce ad andare da Reggio Calabria a Milano senza incidenti? Mi sarebbe anche piaciuto sapere cosa è cambiato in questi due anni: perché, invece di valutare la singola perfomance?

  10. leonardo

    Al di là dei problemi oggettivi, i test Invalsi sarebbero una procedura corretta in un sistema in cui lo Stato investe, le famiglie accettano i giudizi degli insegnanti, questi ultimi non sono ridotti a malpagati travet. Nel caso italiano, non credo servano i test per vedere come è ridotta la scuola: a forza di riforme tese solo a risparmiare abbiamo perso per strada insegnanti e tempo pieno (alla elementare), 2a lingua e laboratori (al liceo, dove dallo scorso anno abbiamo ripristinato la riforma Gentile di quasi cento anni fa, 5 ore di lezione in meno alla settimana, alla fine è come conseguire un diploma di 4 anni invece che di 5). Provate a vedere i programmi dei paesi con cui vogliamo confrontarci: il ministro ha detto che facciamo le stesse ore di lezione (teorica), poi i nostri ragazzi vanno a casa, gli altri cominciano i laboratori. Mi viene in mente la barzelletta che ci raccontavamo da bambini, dello scienziato che studia il sistema uditivo della mosca, le intima di saltare e ogni volta che la mosca salta toglie una zampa. Finite le zampe, la mosca non salta e lo scienziato annota: la mosca, privata delle zampe, diventa sorda.

    • La redazione

      Nel 2000 la scuola non aveva ancora subito tutte i tagli di cui si dice nel commento. Nonostante questo i risultati dei test PISA furono impietosi. Dico questo non per sottovalutare l’effetto della scarsita’ delle risorse sugli esiti, ma perche’ proprio in un mondo di risorse scarse occorre trovare il modo di usarle al meglio. Come ho cercato di spiegare nel mio intervento, le prove INVALSI possono aiutare le scuole ad indirizzare le loro scarse risorse dove sono piu’ necessarie. Non parlo di fanta-scuola: ci sono delle Regioni d’Italia che hanno usato i risultati dei test INVALSI per individuare le scuole piu’ in difficolta’ e assegnare loro risorse aggiuntive.

  11. davide

    Credibilità, autonomia e indipendenza dovrebbero essere conditio sine qua non dell’attività dell’invalsi, a cominciare proprio dalle prove che vengono predisposto e dalla coerenza fra risultati delle prove e loro utilizzo. tutto questo ad oggi non c’è stato, e l’ex presidente invalsi non può chiamarsi fuori, limitando la discussione alle tecnicalità. mi chiedo e le chiedo: come si fa ad essere credibili, autonomi e indipendenti con un organico di 22 lavoratori in pianta stabile, 46 a tempo determinato e 10 collaboratori? da quanto dura questa situazione? per quanto ancora? cosa si è fatto? lungi da me costruire nessi causali semplicistici, ma eventi come quelli circolati sulla stampa nazionale negli ultimi giorni sono ferite gravissime inferte alla credibilità dell’ente e delle sue prove. direi quindi di invertire l’ordine del ragionamento e l’onere della prova: prima si ridefinisca l’operatività piena dell’ente, si rivendichi con i fatti autonomia e indipendenza dalla moda politica di turno e poi si torni a chiedere chi possa temere cosa dalle prove Invalsi. http://nero.noblogs.org/post/2011/06/22/invalsi-insegnante-precario-batte-gelmini-e-ministero-istruzione.

    • La redazione

      Prendo lo spunto della risposta a questo commento per dare una mia valutazione di quanto successo in occasione della prova nazionale. Concretamente si e’ trattato di un baco nel software fornito alle scuole per calcolare il punteggio in decimi da attribuire alla prova. In un caso specifico di un particolare punteggio il software dava una indicazione di voto in decimi sbagliata. A quello che mi risulta L’INVALSI  non ha nascosto il problema, la cui probabilita’ di verificarsi in concreto era estremamente ridotta, ma con onestà e trasparenza ha immediatamente segnalato il problema alle scuole e altrettanto tempestivamente si è attivato per la risoluzione. Credo che si tratti di un comportamento civicamente apprezzabile che dimostra ancor più che dell’INVALSI ci si possa fidare. E’ comprensibile l’irritazione dei docenti, sia in generale, visto il quadro complessivo della situazione nella quale si trovano ad operare, sia in particolare per l’aver dovuto ricontrollare i punteggi. Tuttavia l’episodio va considerato per quel che è stato realmente: un banale disguido informatico, che certamente ha richiesto ai docenti un ulteriore impegno, ma che non ha alcuna connessione con la qualità del lavoro di rilevazione degli apprendimenti e che non ha comportanto alcun tipo di svantaggio per gli studenti. Del resto incidenti simili coinvolgono quotidianamente grandi imprese, enti pubblici e privati in Italia e all’estero, molto meglio strutturate dell’INVALSI, e impongono costi e disagi a molte persone. Non e’ una scusa e’ solo la costatazione del fatto che incidenti simili possono accadere.

      Visto da lontano, resta l’amarezza per il disagio causato e per il fatto che questo incidente ha di colpo cancellato i risultati conseguiti. Negli ultimi tre anni l’INVALSI, utilizzando al meglio le scarse risorse umane e finanziarie disponibili, ha condotto imponenti rilevazioni sugli apprendimenti che hanno coinvolto milioni di alunni senza sbavature organizzative: sono state stampate decine di milioni di fascicoli, che sono stati spediti a milioni di alunni nelle migliaia di scuole sparse in tutto il territorio nazionale; il recupero dei dati è avvenuto senza problemi e la restituzione al sistema e alle scuole è stata rapida e produttiva.

      Venendo alla sostanza della domanda posso dire che sulla credibilita’ non posso commentare avendo un chiaro conflitto di interesse. Circa l’autonomia e l’indipendenza posso riassicurare. Questo nonostante una situazione di precarieta’ e scarsita’ di risorse che affligge l’INVALSI da molto tempo. Prima del 2007 l’INVALSI aveva oltre 110 collaboratori a contratto e comandati da altre amministrazioni ma nessun dipendente proprio. Nei limiti di quanto consentito dalla legge si e’ cercato di sanare questa situazione riempiendo la pianta organica con procedure di equiparazione del personale comandato e di reclutamento tramite concorsi pubblici aperti a tutti. Ammetto che nonostante tutti gli sforzi non si e’ riusciti finora a completare il reclutamento di tutto il personale previsto dalla pianta organica ne ad allargare la stessa.

  12. angelo agostini

    Penso che le prove Invalsi vadano corrette ed ottimizzate, e si può discutere del loro peso nella valutazione. Ma la loro esistenza è da considerarsi benvenuta. Questa polemica un po’ provinciale rischia però secondo me di farci perdere di vista un tema fondamentale, e cioè la posizione che occupa il sistema italiano della formazione nello scenario internazionale. Perché è in quel campionato che i nostri ragazzi dovranno giocare, non sempre ed esclusivamente in gironi di provincia! Così dico che dovremmo prestare maggiore attenzione ai risultati dei tests Pisa, che ci danno in forte svantaggio come risultati. Inoltre, dovremmo studiarli con attenzione per capire “che cosa” il consesso di tutti i paesi avanzati ritiene importante e significativo per la formazione di un individuo. Secondo me scopriremmo, tanto per cambiare, che le nostre polemiche sono da tempo superate da un mondo che corre, mentre noi siamo fermi. Questo ci permetterebbe di orientare i programmi delle nostre scuole sulle esigenze del mondo “reale”, non sull’autoreferenzialità del sistema.

    • La redazione

      Sono assolutamente d’accordo con questo commento. Studiamo i test PISA. L’Invalsi e’ tanto convinto di questa necessita’ che nel 2009 ha finanziato con fondi propri l’estensione del campione nazionale al livello regionale cosi’ da consentire ad ogni regione dell’Italia di misurare il livello delle competenze dei propri quindicenni cosi come misurate nell’Indagine PISA. I Risultati sono disponibili sul sito dell’Istituto. Come potra’ leggere per la prima volta dal 2000 i nostri ragazzi hanno fatto meglio che nella rilevazioni precedenti, specialmente quelli delle regioni del Sud. Non abbiamo la prova scientifica ma c’e’ un qualche sospetto che questo miglioramento possa avere a che fare con un mutamento profondo del modo di fare scuola, che si e’ andato diffondendo grazie all’introduzione dei test standardizzati e al lavoro di diffusione della conoscenza delle prove standardizzate che l’Invalsi ha condotto, su commissione del Ministero, nelle regioni Meridionali dell’obiettivo convergenza. Tra i materiali usati per questo programma di alfabetizzazione alle prove standardizzate (che nel 2008 ha coinvolto tutti gli insegnanti di Italiano e matematica del biennio delle scuole meridionali) mi permetto di segnalare il compendio PISA nel quale per ciascuna item PISA reso pubblico sono riportati gli esiti per area geografica, con un commento e una spiegazione circa le finalita’ dell’Item stesso. Molti insegnanti lo hanno ritenuto un strumento utilissimo per sviluppare un nuovo modo di fare didattica.

  13. enzo bilanceri

    Vi allego il testo din articolo che faccio mio di un altro ex presidente invalsi. aggiungo che la struttura invalsi ha 43 precari su 60 circa dipendenti per preparare i test e le verifiche. alla faccia della continuità del controllo! Inoltre parte dei test vertevano sulla condizione sociale ed economica delle damiglie degli alunni, prefigurando una vera e propria schedatura P:S: sono un ex insegnante in pensione da ormai 4 anni e quindi fuori dagli interessi diretti su questo problema rimando a questolink all’articolo di cui sopra.

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