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LA SOLUZIONE DELL’INVALSI *

In risposta alla forte eterogeneità degli esiti tra scuola e scuola, l’Invalsi ha ritenuto che, nel contesto italiano, fosse assolutamente prioritario fornire alla singola scuola informazioni affidabili circa i livelli di apprendimento dei propri ragazzi comparati a qualche standard definito e a quelli dei ragazzi di altre scuole. In assenza di un sistema di rilevazione degli apprendimenti è impossibile per una comunità di educatori valutare se sta facendo bene o male, o giudicare se una certa strategia di insegnamento è migliore di un’altra o se una certa organizzazione della classe favorisce o deprime gli apprendimenti.
Viene in mente un bell’insegnamento di Seneca: “nessun vento è favorevole a chi non sa in che porto deve andare”. Senza informazioni comparabili le scuole sono come delle navi che non sanno con chiarezza in che porto sono (i nostri ragazzi stanno apprendendo più o meno degli altri?) e in che porto devono andare (per migliorare la comprensione della lingua dobbiamo migliorare la grammatica, il vocabolario, la sintassi ?).   

SCELTE DIDATTICHE CONSAPEVOLI

Si è così progettato un sistema di rilevazione per aiutare le scuole a orientare le loro scelte didattiche in modo consapevole. Da questa idea discendono le scelte operative, altrimenti incomprensibili, che hanno suscitato tante polemiche.
Per esempio, nei due anni passati l’Invalsi ha restituito i dati solo alle scuole, non alle famiglie, non all’amministrazione. La logica era quella di informare gli operatori della singola scuola, non quella di costruire ranking e graduatorie. I dati sono stati restituiti disaggregati a livello di singola domanda, mettendo a confronto i risultati della scuola e della classe con quelli di altre scuole vicine geograficamente e delle altre classi della stessa scuola. Il dettaglio di informazioni consente alla singola scuola, e alla singola classe, di capire quali siano i suoi punti di eccellenza e quali siano le sue debolezze, in modo da allocare le risorse educative dove sono più necessarie. Nessuna scuola va male o va bene in modo uniforme su tutti gli ambiti di una certa disciplina. Anche nelle scuole migliori ci saranno ambiti nei quali gli studenti sono più preparati e altri dove lo sono meno; si ha così una indicazione di quali punti occorra approfondire per migliorare ulteriormente i propri risultati. Di nuovo, il concetto fondamentale è che le scuole in assenza di informazioni comparabili con altre realtà non hanno indicazione di quale sia il livello di preparazione dei propri allievi e quali siano i punti di criticità.

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IL COINVOLGIMENTO DELLE SCUOLE

In questa logica di collaborazione tra la singola scuola e l’Invalsi non si capisce perché le scuole dovrebbero “allenare” gli studenti a risolvere le prove Invalsi, oppure perché gli insegnanti dovrebbero fornire un “aiutino” alla risoluzione. Perché le scuole dovrebbero “barare” se poi sanno che l’informazione che riceveranno in cambio non potrà essere utilizzata ai fini per cui era stata pensata?
Comportamenti opportunistici potrebbero emergere se le prove fossero utilizzate come strumento per misurare la performance della scuola. Ma questo non accade se si comprende che la finalità della rilevazione è diversa. E la scuola italiana sembra aver compreso pienamente questo messaggio. Per esempio, lo scorso anno tutti gli allievi delle classi II e V della scuola primaria e tutti quelli della classe I della scuola secondaria di primo grado hanno sostenuto le prove Invalsi; parliamo di poco meno di 100.000 classi e di 1,8 milioni di studenti, e le analisi statistiche condotte dall’Invalsi, ma anche da autorevoli statistici, non hanno rilevato alcuna traccia di comportamenti opportunistici (“aiutini o copiature”).
Anche le preoccupazioni relative al fatto che gli insegnanti potrebbero essere indotti a trascurare le competenze non verificate dalle prove non trova fondamento se è chiara la finalità della rilevazione quale strumento di orientamento della didattica.
In questo quadro si capisce perché l’Invalsi non abbia mai ritenuto accettabile un modello di somministrazione delle prove basato interamente su somministratori esterni, ma abbia invece cercato di coinvolgere direttamente gli insegnanti nella produzione, nella somministrazione e nella correzione delle prove. Si è puntato sulla collaborazione e sulla fiducia, per segnalare il senso di una operazione condivisa. Si è chiesto molto impegno agli insegnanti che, nella stragrande maggioranza, hanno risposto con generosità, specialmente dove la finalità dell’operazione era stata intesa con chiarezza.
I somministratori esterni sono stati inviati solo in quel campione di scuole i cui risultati sono poi utilizzati per costruire le medie di riferimento a livello di regione, di macro-area e nazionale. La logica dietro questa scelta è quella di garantire alle scuole che il punto di riferimento rispetto al quale confrontare i loro risultati non sia affetto da distorsioni dovute a possibili comportamenti scorretti. Così le scuole sanno che i dati sottostanti alla media nazionale provengono da istituti nei quali la somministrazione è avvenuta in presenza di un somministratore esterno e pertanto sono in un certo senso certificati. È una scelta a garanzia di chi vuole usare i dati nel modo in cui andrebbero usati. 
Questo lavoro di costruzione di un rapporto basato sul rispetto e sulla collaborazione tra le scuole e l’Invalsi è andato avanti con grande costrutto per diversi anni e sta dando i propri frutti. Chi gira per le scuole sa che nella stragrande maggioranza dei casi i dati restituiti dall’Invalsi sono usati per interrogarsi sulla didattica e sul perché di alcuni risultati inattesi, per identificare e lavorare su alcune aree di debolezza. In molte scuole gli insegnanti chiedono ai ragazzi di rifare le prove e di spiegare i ragionamenti che li hanno condotti a rispondere in un modo piuttosto che in un altro, in modo da identificare i possibili salti logici o gli errori nei ragionamenti. Molti insegnanti si interrogano sul perché i bambini che sanno perfettamente cosa sia un pronome non siano però in grado di riconoscerlo nel contesto di un testo scritto. Non so se questo sia allenare i ragazzi o se sia dannoso per la scuola. A me sembrano ottimi esempi di come ragionare sugli errori per migliorare.

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*Piero Cipollone è ex presidente Invalsi

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HO GIOCATO TRE NUMERI AL LOTTO…

  1. uqbal

    Quest’anno ho avuto una quinta ginnasio in cui ho insegnato italiano, e qualche allenamento l’ho fatto. Di certo la mia prima preoccupazione è stata, in maniera quasi istintiva, di far sì che i test andassero bene. Ho apprezzato il modo in cui erano strutturate molte domande di grammatica: permettevano di testare le conoscenze grammaticali a prescindere dalla terminologia adottata in classe. La domande sulle figure retoriche, però, finiscono secondo me per essere nozionistiche e per costringere parte della didattica in un approccio standardizzato (è chiaro che io ho le mie idee sulle figure retoriche, la cui conoscenza non considero un fatto fondamentale). Per quanto assurdo possa sembrare, penso anche che la poesia non dovrebbe entrare in questi test: la polisemia tipica della poesia, l’allusività, il suo "indefinito" in senso leopardiano finiscono per non prestarsi alle esigenze del test. La poesia la terrei fuori dai test ma dentro le classi, ovviamente.

    • La redazione

      Non so se le visite ispettive fossero in grado di garantire uniformità di apprendimenti. Quello che cercavo di dire nel testo è che l’impianto originario prevedeva un meccanismo di verifica dell’uniformità degli apprendimenti. Penso che l’autonomia scolastica sia un importante e positivo strumento di adattamento della scuola alle realtà locali; proprio per questo deve essere accompagnata da un meccanismo di misurazione degli esiti. Capisco l’esigenza di un apprendimento tarato sui singoli. Questo però non contraddice il possibile uso delle prove invalsi come strumento in mano al corpo docente e al dirigente scolastico per capire le difficoltà delle scuola o della singola classe , non del singolo studente.

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