La flat tax è un regime fiscale originariamente pensato per essere semplice. Nella realtà si rivela molto complicato e consente vari calcoli di convenienza fiscale. Senza dimenticare che determina un trattamento fiscale molto differenziato tra lavoratori dipendenti e autonomi.
Autore: Silvia Giannini Pagina 2 di 9
Ha studiato economia nelle Università di Bologna e di Cambridge (UK). Nei suoi studi si è occupata prevalentemente degli effetti economici della tassazione dei redditi di impresa e di capitale, della valutazione di proposte di riforma fiscale e dei problemi di coordinamento in ambito comunitario. Ha collaborato con istituzioni e centri di ricerca nazionali e internazionali e ha partecipato a numerosi gruppi e commissioni di lavoro istituiti presso il Ministero delle Finanze. Attualmente è componente della Commissione ministeriale sulle spese fiscali. Professore ordinario di Scienza delle finanze presso l’Università di Bologna (dal 1993), è stata successivamente Vicesindaco del Comune di Bologna, con delega al bilancio, al patrimonio e alle società partecipate, nel mandato amministrativo maggio 2011-giugno 2016.
Confrontare il cuneo fiscale di dipendenti e autonomi non è semplice perché la struttura delle aliquote contributive è molto variegata. Ma i calcoli mostrano che è la flat tax a produrre una chiara iniquità tra le due tipologie di lavoratori.
Il disegno di legge di bilancio 2023 prevede norme che contribuiscono a erodere ulteriormente la base imponibile Irpef e aumentano la complessità e l’iniquità del sistema. La più importante riguarda l’estensione della “flat tax delle partite Iva”.
Coalizioni e partiti hanno visioni molto diverse del fisco. Ma in tutti i programmi manca un disegno complessivo di riforma fiscale, che invece servirebbe per rispettare gli impegni del Pnrr e, soprattutto, per garantire una crescita equa e sostenibile.
È finalmente possibile utilizzare i dati dell’Archivio dei rapporti finanziari per identificare i comportamenti a più alto rischio di evasione. Il Pnrr ha dato infatti una spinta decisiva per risolvere le questioni legate alla privacy dei contribuenti.
Con un nuovo testo concordato tra i partiti della maggioranza, riprende il percorso parlamentare della legge delega sulla riforma fiscale. I cambiamenti apportati rischiano di far prevalere uno status quo che tutti giudicano complesso, iniquo e inefficiente.
Il numero degli scaglioni e delle aliquote non determina la progressività dell’Irpef. Lo dimostra il confronto fra l’imposta di oggi e quella di quaranta anni fa. Il problema è l’erosione, con le tante agevolazioni che riducono la base imponibile.
Le riforme dell’Irpef degli ultimi dieci anni, inclusa quella che entrerà in vigore nel 2022, hanno un effetto distributivo marcatamente progressivo. Se però si considera anche il passaggio all’assegno unico per i figli, il discorso in parte cambia.
La manovra di bilancio per il 2022 conterrà novità di rilievo sulla struttura dell’Irpef. C’è ancora incertezza sulla struttura definitiva che verrà presentata in Parlamento, ma i tratti salienti della proposta sembrano ormai chiari.
Dalle imposte sui redditi a quelle indirette fino alla revisione del catasto, la delega approvata dal governo è ambiziosa ma ancora molto vaga nei contenuti. Tutto dipenderà dai decreti attuativi e dall’ammontare delle risorse messe in campo.